Web e tutela dei minori: è una questione di salute

Si chiama “Connessioni delicate” il primo progetto nazionale di salute digitale a tutela dei minori. Promosso dalle associazioni di pediatri Acp, Fimp e Sip in collaborazione con Meta e Fondazione Carolina, l’obiettivo è sensibilizzare le famiglie sul corretto utilizzo di internet

Per i minori usare correttamente internet è anche una questione di salute. Ne sono convinte le associazioni di pediatri ACP, FIMP e SIP che, in collaborazione con Fondazione Carolina e Meta, hanno avviato un sondaggio per indagare sul rapporto con il digitale nelle famiglie con figli di età compresa tra 0 e 15 anni.

Un team di medici pediatri ha sottoposto a circa 800 famiglie italiane un questionario anonimo sulle abitudini e i comportamenti sul web. Questa ricerca fa parte del progetto “Connessioni delicate” che persegue l’obiettivo di sensibilizzare i genitori rispetto all’uso dei device digitali da parte di bambini e ragazzi e promuovere buone pratiche per tutelarli online.

È un’iniziativa partita da poco, ma fa già emergere dei dati da non sottovalutare, confermando una scarsa consapevolezza da parte delle famiglie sulle conseguenze di un uso scorretto degli strumenti digitali per i minori. Ad esempio, nella fascia 0-2 anni, il 72% delle famiglie ammette di utilizzare social, chat ed e-mail durante i pasti dei propri figli, mentre il 26% lascia che i bambini utilizzino i device in completa autonomia.

Ivano Zoppi

Dobbiamo cominciare a considerare il benessere digitale un tema di salute, perché l’esposizione prolungata ai device, il precoce accesso a questi strumenti, rende necessario un intervento articolato. È difficile raggiungere molti genitori, perché non sentono questa come una questione fondamentale nella crescita e nell’educazione dei propri figli. Per questo abbiamo coinvolto i pediatri. Grazie al sondaggio si possono comprendere quali sono le abitudini delle famiglie italiane rispetto al web e dai dati raccolti la situazione non è rosea. In particolare, la precocità di accesso degli strumenti: quando si deve fare altro, si mette il bambino davanti allo schermo o si delega perfino la fiaba della buona notte ad Alexa. Direi che in termini educativi e di costruzione del rapporto genitore/figlio non è un comportamento sano”. È quanto afferma Ivano Zoppi, Segretario Generale della Fondazione Carolina Onlus.

Si tende quindi a delegare ai dispositivi digitali parte del ruolo genitoriale, anche nei momenti di presenza. Sono, infatti, almeno l’84% delle famiglie intervistate a usare i device per far addormentare il figlio (fascia 0-2 anni), mentre il 59% ammette di usarli durante l’allattamento o al momento dei pasti.

Antonio D’Avino

“Il numero delle mamme che allattano guardando il cellulare o facendolo guardare al neonato è un dato preoccupante. Oggi i device, come smartphone, tablet, ecc., fanno parte della quotidianità tanto da “invadere” perfino un momento come l’allattamento, essenziale per stabilire la diade madre-figlio. Oppure la sostituzione della voce della mamma, del papà o dei nonni per la lettura della fiaba serale, un rituale di buonanotte genuino e condiviso, direi sano, con una voce artificiale, anonima” aggiunge il Presidente FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri), Antonio D’Avino.

Dispositivi multimediali e rischi per la salute dei più giovani

Uno studio del 2018 pubblicato su Italian Journal of Pediatrics ha evidenziato i rischi per la salute psicofisica dei minori da un uso precoce, prolungato e non mediato dagli adulti, dei device nei bambini da 0 a 8 anni. Tra questi, le interferenze sullo sviluppo neurocognitivo, sull’apprendimento, sul benessere, sulla vista e sull’udito, sulle funzioni metaboliche e cardiologiche. Inoltre, altri studi, come quello americano pubblicato su Pediatrics, dimostrano che l’utilizzo dei dispositivi mobili da parte dei genitori influenza il senso di sicurezza dei bambini, il benessere emotivo e le interazioni familiari. Infatti, i dispositivi distraggono genitori e figli dalle interazioni faccia a faccia, con un impatto significativo sullo sviluppo cognitivo, linguistico ed emotivo dei più giovani.

Elena Bozzola

È quanto conferma anche Elena Bozzola, Consigliere Nazionale SIP (Società Italiana di Pediatria). “Infatti, se l’uso di applicazioni educative ben strutturate può promuovere l’apprendimento nei bambini in età prescolare e nei primi anni delle elementari, in realtà per un bambino piccolo, per apprendere nuove parole attraverso i device, sono necessarie alcune condizioni come la presenza di un adulto che lo affianchi e lo aiuti. Bisogna prestare particolare attenzione poi a una prolungata esposizione allo schermo, perché vi è il rischio di una scarsa attenzione e alterazione dell’umore, difficoltà nella socializzazione, comunicazione e interazione con gli altri bambini, nonché disturbi nel sonno. Ma vi possono essere anche conseguenze fisiche, tra cui disturbi alla vista, come fotofobia, bruciore, secchezza oculare e all’udito. Passare troppo tempo davanti al tablet può correlarsi anche a maggior sedentarietà, eccesso alimentare, con rischio di sovrappeso e obesità”.

Dai risultati del sondaggio emerge un’insufficiente percezione sui rischi dell’uso improprio della tecnologia

Dai risultati del sondaggio per “Connessioni delicate” emerge un’insufficiente percezione sui rischi dell’uso improprio della tecnologia digitale da parte delle famiglie: dai sintomi della dipendenza, ai principali pericoli in termini di salute psicofisica, come sexting e grooming. In particolare, alla domanda su cosa sia il sexting, il 34% dei genitori della fascia 6-10 non ha saputo rispondere, così come il 49% nella fascia 11-15.

Anche alla domanda “qual è l’età sotto la quale è sconsigliato l’uso della tecnologia o per quante ore bambini e ragazzi possono essere esposti agli schermi” circa la metà delle famiglie intervistate non ha saputo rispondere e ha ammesso di non conoscere l’opinione della comunità medico-scientifica a riguardo.

L’età giusta

Il rischio di un pesante condizionamento del percorso di crescita delle nuove generazioni è dunque concreto. Studi recenti nel campo della neurofisiologia e delle neuroscienze hanno evidenziato che durante l’adolescenza il cervello attraversa alcuni stadi nel suo processo evolutivo che rendono le sue funzioni diverse da quelle del cervello adulto. In altre parole, negli adolescenti il cervello è ancora work in progress, non ha acquisito tutte le sue competenze, soprattutto negli impulsi e nell’autocontrollo, azioni regolate dalla corteccia prefrontale non ancora del tutto matura in questa età della vita.

Stefania Manetti

“L’esposizione a fattori traumatici e tossici può quindi alterarne lo sviluppo cognitivo. Per esempio, la riduzione delle ore di sonno per l’utilizzo dei mezzi digitali comporta spesso problemi sul rendimento scolastico. Inoltre, un uso non regolamentato dello smartphone rischia di causare dipendenza e scarse relazioni sociali in un momento della vita in cui la socialità, reale e non virtuale, assume un ruolo importante per lo sviluppo di autonomia, senso critico, nonché della personalità. I genitori di oggi, di fronte a queste problematiche complesse, devono essere supportati nell’assumere posizioni educative più appropriate”. È quanto afferma Stefania Manetti, Presidente ACP (Associazione Culturale Peditri).

Tutto ciò che viene fatto davanti a un device deve essere fatto insieme al bambino

Qual è quindi l’età giusta? Per D’Avino i bambini devono evitare di utilizzare i device per tutta la prima infanzia. In linea di principio, quanto più si riesce a vivere all’aria aperta, a tornare a quelle sane abitudini del gioco con i coetanei, ma anche con i familiari, meglio è per la salute del bambino. Questo è il messaggio che deve passare. Sì all’utilizzo delle tecnologie digitali, perché sono comunque un’innovazione fondamentale, ma non possono sostituire le figure genitoriali in molte circostanze. Quello che dico sempre alle mamme è che tutto ciò che viene fatto davanti a un device deve essere fatto insieme al bambino, deve esserci sempre il filtro dei genitori”.

La tecnologia pertanto non va rifiutata, ma utilizzata al meglio, tenendo conto dell’età e dello sviluppo dei più piccoli. La Società Italiana Pediatria, infatti, sconsiglia l’esposizione a smartphone e tablet prima dei due anni, durante i pasti e prima di andare a dormire, soprattutto se lo scopo è calmare o zittire l’espressione dei bisogni del bambino. È bene poi limitarne l’uso a non più di un’ora al giorno nei bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni e due per quelli tra i 5 e gli 8 anni.

Bilancio di salute digitale                                                                        

L’assenza o la scarsità di controllo sulla qualità dell’esperienza online nei bambini e negli adolescenti conferma la necessità di elaborare un “Bilancio sulla salute digitale”. Si tratta di un documento che non solo descrive il rapporto tra il minore e la famiglia quando si è online, ma vuole definire un Piano nazionale, da avviare nel corso del 2023, iniziando proprio dalla formazione continua dei pediatri. Dal progetto “connessioni delicate” è scaturita anche una guida sulla sicurezza in rete dei minori, realizzata dalla Fondazione Carolina e Meta. “Sono una serie di consigli e di attenzioni che i genitori devono avere per accompagnare i propri figli all’interno del modo digitale” – spiega Zoppi. “Come quando si va dal pediatra che prescrive un certo alimento o consiglia di fare sport ecc., così il bilancio di salute digitale è una guida con le indicazioni necessarie sul tema del benessere digitale. L’esperienza della rete può essere gioiosa e positiva, cerchiamo però di gestirla con responsabilità e con delle regole che possono essere seguite da tutti, ricordando che i device non sono bay-sitter”.

Di solito ci si concentra sulla responsabilizzazione dei ragazzi, ma si perdono di vista i genitori

Analizzando i dati del sondaggio, non solo emerge una bassa consapevolezza dei rischi della rete per i più piccoli e i più giovani, ma anche una fotografia di un profondo cambiamento culturale che la famiglia sta attraversando. “C’è da chiedersi se c’è ancora il senso della famiglia –  afferma Zoppi -. L’esposizione ai device e l’utilizzo della rete forse è solo una conseguenza. Dobbiamo interrogarci sul perché, qual è la vera causa. È una normalizzazione di comportamenti che probabilmente non garantisce un percorso di crescita costruttivo. Faccio un esempio molto banale. Se prima del compimento del quinto anno di età, i genitori arrivano a condividere fino a 1500 foto e video del figlio, è evidente che c’è un problema. Al di là della questione di sicurezza relativa alle foto dei propri figli che girano in rete senza alcun controllo, è un problema di esempio. Perché se un bambino cresce con il modello genitoriale, il suo primo riferimento, è chiaro che sarà normale poi per lui/lei condividere foto e video senza alcuna attenzione. Di questo tanti genitori non hanno davvero coscienza. Ci si concentra sui ragazzi, si fanno ottimi progetti a scuola sull’utilizzo responsabile alle nuove tecnologie ma si perdono di vista i genitori”.

Il senso del progetto è quindi educare e responsabilizzare. Per questo è stata coinvolta anche la società Meta, quella di Facebook, perché è importante far capire anche a chi vende tecnologia quanto è importante promuovere una cultura di attenzione al digitale legato al tema della salute.

Aggiunge il Consigliere nazionale SIP: “L’educazione digitale dei minori è molto importante, così come lo è insegnare ai giovani come difendere la propria privacy, proteggendo, ad esempio, il proprio account e non pubblicando foto o video personali”.

Internet Addiction Disorder (IAD)

La scienza si interessa sempre di più ai cambiamenti che si verificano nella psiche umana in relazione alla diffusione di internet, analizzandone non solo i benefici, ma i rischi psicopatologici connessi al suo abuso. La rete, infatti, è un mezzo sempre più accessibile, annulla le distanze spazio-temporali, è una fonte di stimoli e consente perfino l’anonimato.

È il 1996 l’anno in cui la statunitense Kimberly Young pubblica su  CyberPsychology & Behavior il suo articolo “The Emergence of a New Clinical Disorder” in cui ipotizza e documenta per la prima volta la IAD, Internet Addiction Disorder, una forma di “dipendenza senza sostanze”.

I genitori devono capire che la tecnologia è uno strumento di cui avvalersi ma che non può e non deve sostituirli

Sono passati molti anni da allora e l’online e i device sono ormai parte integrante della vita quotidiana di adulti, ragazzi e bambini. Proprio per questo i genitori sono chiamati a sorvegliare e a fare attenzione ad alcuni sintomi che possono segnalare la presenza di questo disturbo. “Il bambino usa i device quasi in modo compulsivo, diventa una specie di droga. Rispetto al gioco con i coetanei, preferisce il mondo virtuale che lo porta a isolarsi socialmente. Questo, a lungo andare, può diventare il preludio di condizioni più estreme come il fenomeno Hikikomori, in cui l’adolescente si isola dal mondo esterno e vive in un mondo non reale. Tutto quello che riduce i rapporti relazionali è da guardare con molta diffidenza. È importante che i genitori capiscano che la tecnologia è uno strumento di cui avvalersi ma che non può e non deve sostituirli”, conclude D’Avino.

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