La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una patologia importante che rappresenta la terza causa di morte a livello mondiale ed è ritenuta una vera e propria problematica rilevante per la sanità pubblica, in considerazione dell’elevato impatto economico e sociale che comporta. Molto spesso, infatti, nonostante i progressi in campo clinico, la BPCO risulta scarsamente controllata e vede una rapida evoluzione verso forme gravi. Permangono inoltre alcuni problemi importanti nella gestione di questa patologia e dei pazienti che ne sono affetti, come ad esempio la sottostima della diagnosi, l’uso non sempre appropriato delle terapie e la gestione integrata tra specialisti e medici di medicina generale.
Qual è il reale peso di questa patologia e quali sono le necessità di medici e di pazienti per gestirla al meglio?
Tanto è vero che anche l’Aifa è intervenuta in questi anni, ad esempio con la nota 99 che ha ampliato la prescrizione di alcune terapie inalatorie contro la BPCO anche ai medici di famiglia, proprio nell’ottica di migliorare la presa in carico complessiva del paziente. Qual è il reale peso di questa patologia e quali sono le necessità di medici e di pazienti per gestirla al meglio? Ne abbiamo parlato in una recente Live con il professor Pierachille Santus, Ordinario di Malattie dell’apparato respiratorio presso l’Università degli Studi di Milano e Direttore dell’Unità operativa complessa di Pneumologia dell’Ospedale Sacco di Milano, e con il professor Adriano Vaghi, past President dell’Associazione italiana pneumologi ospedalieri AIPO-ITS, ora referente delle sezioni regionali e già direttore dell’Unità operativa di Pneumologia presso la ASST Rhodense di Garbagnate Milanese.
Lo stato dell’arte della BPCO nel nostro paese: i numeri della patologia
La BPCO è una patologia complessa, con un alto impegno sociosanitario e dagli alti costi sociosanitari, in termini economici ma anche di vite umane. Sottolinea il professor Santus: “La BPCO non è una malattia rara ed è strettamente legata al fumo. La sua prevalenza si assesta intorno al 7-8% della popolazione generale. Quindi il numero di pazienti affetti da questa patologia è piuttosto elevato anche se, come detto, rimane una patologia ancora sottodiagnosticata”.
La maggior parte dei pazienti è in età avanzata: la malattia compare in genere dai 45 anni ma la prevalenza aumenta notevolmente oltre i 65 anni, molto spesso in pazienti che presentano altre comorbidità. Questo aspetto si ripercuote con forza sulla gestione sanitaria globale, perché questi pazienti richiedono un elevato impegno del sistema sociosanitario nazionale, in termini di visite programmate non solo per la BPCO ma anche per le comorbilità, che si influenzano vicendevolmente in modo negativo. Allo stesso tempo questi pazienti, soprattutto nelle fasi più avanzate di malattia, vanno incontro a episodi di riacutizzazione che molto spesso si estrinsecano anche con quadri di insufficienza respiratoria che richiedono l’accesso in pronto soccorso e/o il ricovero ospedaliero. Questo, di nuovo, significa un elevato impatto sul sistema sociosanitario sia in termini di prestazioni sanitarie sia di accessi in pronto soccorso e di giornate di ricovero. Inoltre, proprio per le caratteristiche fisiopatologiche di questa malattia, per la presenza di insufficienza respiratoria e comorbidità che creano un quadro clinico complesso, la BPCO è caratterizzata anche da un’elevata mortalità, altro elemento che impatta in modo rilevante sull’aspetto sociosanitario e di popolazione generale.
L’aderenza, nelle cosiddette broncopneumopatie cronico ostruttive, asma e BPCO, è intorno al 30% perché c’è poca coscienza di malattia
Nonostante ciò, l’aderenza al trattamento è una delle criticità importanti della patologia. Da che cosa dipende? Risponde il professor Vaghi: “L’aderenza, nelle cosiddette broncopneumopatie cronico ostruttive, asma e BPCO, è intorno al 30% perché c’è poca coscienza di malattia. L’asma viene ritenuta una malattia lieve, la BPCO viene considerata come una conseguenza del fumo e c’è poca consapevolezza del fatto che invece sono malattie gravi: esiste l’asma fatale e la BPCO, se non diagnosticata in modo precoce e se non adeguatamente curata comporta negli stati finali una grave insufficienza respiratoria. Effettuare una sottodiagnosi strumentale probabilmente ha contribuito alla sottostima della patologia, perché il paziente iperteso o con colesterolo alto può misurarlo ed è consapevole di avere una malattia e che deve curarla mentre, se la diagnosi è solo clinica, il paziente è più propenso a sottostimarla. Questo è un pregio della nota 99 che, pur con i problemi che comporta a livello organizzativo, sicuramente è importante perché genera una maggior coscienza di patologia”.
Conferma il professor Santus: “Sull’aderenza influiscono tanti fattori. Per aumentarla è necessario innanzitutto dare una maggiore diffusione alla conoscenza della patologia e alle informazioni sull’utilità delle terapie inalatorie, che possono presentare difficoltà di somministrazione per il paziente, ma che sono fondamentali. Ora ci sono due aspetti importanti da sottolineare, e cioè la possibilità di inizio precoce della terapia inalatoria, con l’influenza successiva sulla progressione di malattia, e il dato relativo alla mortalità: oggi abbiamo dei dati che sottolineano come l’intervento con tre farmaci inalatori nella cura della BPCO sia in grado di ridurre il tasso di mortalità, aumentando la sopravvivenza di questi pazienti”.
La nota Aifa 99 come spunto positivo per un trattamento più adeguato
“Un trattamento può essere adeguato solo a valle di una diagnosi corretta – sottolinea il professor Vaghi. È esperienza comune dei medici di base che spesso hanno dei pazienti con una storia di fumo e con bronchiti recidivanti che giungono infine allo specialista. La possibilità di eseguire una spirometria in questi pazienti consentirebbe la cosiddetta emersione della patologia”.
Infatti, le bronchiti recidivanti in un soggetto fumatore non devono essere intese come singoli episodi acuti ma nel loro complesso definiscono una patologia cronica: in questi casi, la diagnosi sarebbe molto semplice ed è sufficiente eseguire una spirometria. Che può essere fatta come spirometria di primo livello direttamente negli studi dei medici di base oppure in ambiente ospedaliero.
In questo senso il professor Vaghi riporta dei dati interessanti: “In alcuni studi recenti, la percentuale di pazienti con flusso-limitazione, cioè il rapporto FEV1/FVC inferiore al limite inferiore di normalità (LLN) o a 0,7, che vengono diagnosticati come BPCO può arrivare a circa il 40%. Ma c’è anche un problema di sovrastima considerando che, sempre secondo la letteratura scientifica, il 40-50% dei pazienti che vengono diagnosticati come BPCO a livello clinico, da parte del medico di base o con una diagnosi puramente basata sui sintomi (dato che i sintomi tosse e dispnea sono estremamente aspecifici), non sono affetti da BPCO. Lo sforzo che ci chiede la nota 99 è quindi uno sforzo di maggior chiarezza e di appropriatezza”.
Prosegue il professor Vaghi: “La nota 99 ci insegna anche un’altra cosa: che la spirometria non deve essere eseguita solo una volta ma che va ripetuta nel tempo, magari per rinnovare il piano terapeutico. L’esecuzione della spirometria con cadenza periodica ravvicinata, ad esempio ogni due anni, può consentire di identificare i pazienti che hanno un danno funzionale ma sono dei rapidi declinatori. Questo esame semplicissimo offre al clinico molte possibilità: ancora, ci servirà per una segmentazione corretta del paziente che deve essere trattato con LABA/ICS, LABA/LAMA o, previa verifica dello specialista tramite esami specifici come il test della diffusione o la spirometria globale, la triplice terapia. Finalmente anche i pneumologi, come cardiologi, oggi hanno a disposizione un farmaco che riduce la mortalità: infatti la triplice terapia in pazienti fragili e con polimorbilità che riacutizzano frequentemente ha dimostrato per la prima volta di essere la terapia inalatoria che può ridurre la mortalità in un certo gruppo di soggetti”.
L’accessibilità del Fascicolo Sanitario Elettronico in maniera condivisa potrebbe migliorare la rapidità del riscontro per i medici di medicina generale
A due facce il risvolto della nota 99 anche per il professor Santus: l’aspetto positivo riguarda lo stimolo, anzi l’obbligo, come detto in precedenza, di eseguire la spirometria, che rappresenta il gold standard per la diagnosi; l’aspetto negativo riguarda invece gli aspetti organizzativi. “La necessità di effettuare la spirometria a fini diagnostici ha creato un importante collo di bottiglia nel percorso dei pazienti, perché il sistema, purtroppo, non è stato in grado di reagire con le risposte adeguate – sottolinea Santus – Non è la nota Aifa 99 ad essere sbagliata, è la mancanza di implementazione di un sistema diverso. In questo senso l’accessibilità del Fascicolo Sanitario Elettronico in maniera condivisa con tutti i medici che seguono il paziente con BPCO potrebbe migliorare la rapidità del riscontro per i colleghi della medicina generale. Non in tutte le strutture, infatti, il referto dell’esame diagnostico viene consegnato in tempo reale al termine dell’esame stesso e poter consultare direttamente il FSE potrebbe consentire di accelerare e facilitare tutto il sistema”.
La nota 99 è importantissima ma bisogna intervenire per poterla applicare al meglio: serve sicuramente una discussione condivisa per cercare di implementare dei sistemi adeguati. “In quest’ottica – prosegue Santus – in Lombardia noi stiamo portando avanti un progetto con la Società italiana di pneumologia e le istituzioni, sia Regione che Ats, relativamente alla possibilità di introdurre nella medicina generale un sistema esperto di Machine Learning che potrebbe, con buona accuratezza, identificare in modo prioritario il rischio di trovarsi di fronte ad una patologia ostruttiva (non alla BPCO ma ad una patologia ostruttiva) e quindi poter prescrivere, se viene raggiunto un certo cut-off di probabilità, una terapia in modo appropriato e adeguato. Quindi senza sovrastimare ma nemmeno sottostimare”.
La gestione integrata del paziente, tra nota 99 e PNRR
Un altro elemento chiave nella gestione del paziente con BPCO è l’integrazione tra la medicina specialistica e quella generale. Questa criticità è stata al centro di alcuni interventi fondamentali negli ultimi anni da parte delle istituzioni a partire, come detto, dall’emanazione della nota 99 da parte di Aifa, fino a giungere, in maniera più complessiva, non solo dedicata ai pazienti con BPCO, a quanto previsto dal PNRR.
Spiega nel dettaglio il professor Vaghi: “Insieme al rinnovamento tecnologico, l’integrazione ospedale/territorio è il punto cardine del PNRR in sanità, con la proposta è di aprire quasi 1.700 tra Case della comunità e Ospedali della comunità.
Le case della comunità possono essere dei punti di incontro tra la medicina specialistica e la medicina di base: nelle case di comunità e negli ospedali di comunità si può pensare alla creazione di hub diagnostici attrezzati con un certo numero di pletismografi e personale adeguato, in modo da rendere molto agevole il percorso diagnostico per il paziente.
Le case della comunità possono essere dei punti di incontro tra la medicina specialistica e la medicina di base
Inoltre il rapporto che si viene a creare tra lo specialista e il medico di base crea la continuità, favorendo un trasferimento di cultura dallo specialista al medico di base: lo specialista può rendersi meglio conto delle problematiche connesse alla gestione di questa patologia, che va da forme lievissime a forme complicatissime; il medico di base imparerà che non è solo il rapporto FEV1/FVC o una semplice spirometria a consentirci di porre una diagnosi di BPCO perché questa definizione fisiopatologica può comprendere tante altre malattie, come l’asma cronica e le bronchiectasie”.
Conferma il professor Santus: “Su questo aspetto, siamo ad un punto di inizio non alla fine. Servono degli step migliori di integrazione e condivisione, a partire dal Fascicolo Sanitario Elettronico e fino alla possibilità di condividere o di collaborare nella nostra specialità sul percorso diagnostico del paziente, dividendo quello che può essere un primo livello da un secondo livello. La spirometria è un esame specialistico e, come tale, necessita di una particolare competenza. Per ora abbiamo iniziato su questa strada ma abbiamo fatto ancora pochi passi, bisogna fare di più per ottimizzare questa integrazione”.
La stratificazione del rischio per rispondere alle priorità dei pazienti
Il Piano Nazionale Cronicità mette il paziente al centro, ma questo concetto può apparire arduo da realizzare nella pratica. Come si possono individuare i bisogni e le esigenze dei pazienti e agire per rispondere nella maniera più efficiente?
Molto concreta è la risposta del professor Vaghi: “Mettere il paziente al centro del sistema significa che deve avere una piena accessibilità ai servizi. Ma i bisogni, come tali, sono bisogni infiniti. Quindi una buona sanità, e una buona sanità che sa programmare, è quella che definisce la stratificazione del rischio. Nella gestione del paziente con BPCO la spirometria è fondamentale ed è uno degli elementi che servono per stratificare il rischio. Stratificare il rischio vuol dire valutare la gravità dell’ostruzione, la gravità dei sintomi, il rischio futuro (cioè il rischio di riacutizzazione e di declino funzionale, quindi il passaggio verso l’insufficienza respiratoria) e le comorbidità.
Una buona sanità che sa programmare è quella che definisce la stratificazione del rischio, per seguire meglio il paziente nelle sue necessità
Effettuata una stratificazione del rischio si possono, tramite dei PDTA (che possono essere elaborati a livello regionale o aziendale), definire quali sono i percorsi. Che saranno, per il paziente che abbia delle forme lievi o moderate, percorsi di facilitazione ambulatoriale, quindi prevedendo l’accesso alle terapie educazionali, alla spiegazione della propria patologia, alla spirometria e a tutti gli esami, mentre per i pazienti più gravi dovrà essere prevista la possibilità di seguire effettivamente il paziente anche al proprio domicilio. E qui si apre il grosso problema dell’assistenza domiciliare, che costituisce un altro importante capitolo del PNRR, prevedendo una decuplicazione dei fondi ma soprattutto, ed è la novità del PNRR, che l’aspetto sanitario non verrà disgiunto dall’aspetto sociale: attraverso questo nuovo modello organizzativo si andrà a seguire il paziente al proprio domicilio”.
Le potenzialità della telemedicina
Case di comunità (nella misura in cui decolleranno come momento di incontro tra la medicina specialistica e la medicina di base) e assistenza domiciliare per i pazienti con forme gravi di BPCO saranno sicuramente strumenti chiave per affrontare questa patologia al meglio. Ma anche nella gestione della BPCO la telemedicina, che ha avuto uno sviluppo molto intenso con l’emergenza Covid, potrà trovare un suo utile impiego, a partire dal Fascicolo Sanitario Elettronico che, come già sottolineato, sarà uno degli strumenti fondamentali di condivisione tra lo specialista e il MMG, e nelle diverse forme che la caratterizzano.
Teleriabilitazione e teleassistenza sono fondamentali per il paziente con BPCO
Sul tema, il professor Vaghi ricorda l’importanza della riabilitazione nei pazienti con BPCO e sottolinea il possibile ruolo della teleriabilitazione: “Non è utile riabilitare il paziente solo per 15 giorni l’anno. La riabilitazione, nel momento in cui è uno stile di vita, deve essere effettuata tutti i giorni e quindi la teleriabilitazione diventa uno strumento quotidiano”. E prosegue: “La teleassistenza è fondamentale in alcuni snodi particolari: sappiamo dal Piano Nazionale Esiti che dal 10 al 15% della mortalità per BPCO si verifica nei 30 giorni dopo le dimissioni ospedaliere. Implementare un percorso di teleassistenza in quei 30 giorni diventa estremamente importante: in quel caso sarà una teleassistenza intensiva, mentre dopo i 30 giorni si potrà prescrivere una forma di teleassistenza meno intensiva, magari con incontri settimanali di verifica. Gli scenari sono tanti e, in questo senso, siamo solo all’inizio”.
Il ruolo dell’equipe medica e il coinvolgimento dei pazienti
Nella gestione dei pazienti con BPCO è stata sottolineata l’importanza dell’integrazione tra medicina specialistica e del territorio, ma in questi ambiti è fondamentale il ruolo di tutte le figure professionali, e non solo.
Ricorda il professor Vaghi: “Dobbiamo parlare di equipe medica: non si tratta di un’unica figura sanitaria medicalizzata ma tutte partecipano allo stesso modo ed hanno un contributo importante alla gestione corale del paziente. E chi può offrire al paziente la miglior continuità assistenziale, chi può parlare a volte anche in modo più confidenziale, cogliendone gli aspetti di fragilità è soprattutto l’infermiere. Esistono già infermieri che sono figure specializzate nelle cure domiciliari ed ora, con il PNRR, l’infermiere sarà uno dei protagonisti delle case della comunità. Ma non bisogna dimenticare altre figure, come il fisioterapista, che dovranno essere sempre più in grado di accompagnare il paziente anche a casa, come primo luogo di cura”.
Conclude il professor Santus: “Anche il coinvolgimento dei pazienti e delle associazioni dei pazienti riveste un ruolo chiave per migliorare l’approccio del SSN alle diverse patologie. Le associazioni dei pazienti sono estremamente attive e nella mia esperienza, durante le attività che ho intrapreso con le istituzioni, la presenza delle associazioni di pazienti ha sempre dato la possibilità di avere risposte più forti dalle istituzioni, che quando ne riscontrano l’attività, sono più sensibili e più attente”.