Una resistenza culturale alla prevenzione e l’assenza di un percorso di counselling genetico rendono il tumore della prostata particolarmente complesso da contrastare. Con 37.000 nuovi casi in Italia ogni anno, rappresenta oltre il 19% di tutte le neoplasie diagnosticate alla popolazione maschile.
A differenza di altre patologie (come il cancro del colon-retto, il tumore della cervice uterina e il cancro della mammella) non è previsto uno screening di popolazione, anche perché l’esame del Psa, da solo, non basta per avere la certezza di trovarsi di fronte a un tumore.
“Il Psa è un indicatore importante, ma non è tumore-specifico – ricorda Giario Conti, Segretario della Società Italiana di Uro-Oncologia (SIUrO) – Assistiamo per esempio a una sua variazione anche nel caso di ipertrofia prostatica benigna o di prostatiti”.
Se a questo si unisce la ritrosia di molti uomini nell’approcciarsi all’urologo o anche solo al medico di medicina generale a fronte di sintomi circoscrivibili all’apparato genitourinario, si comprende la difficoltà dell’ottenere diagnosi precoci non solo per quanto riguarda il tumore della prostata, ma per tutto ciò che attiene alla salute sessuale maschile.
L’anno scorso la Società italiana di Andrologia, all’interno della campagna “Amore senza ostacoli”, aveva rilevato che nel nostro Paese un ragazzo su tre fra i 14 e i 20 anni presenta una patologia andrologica che in un caso di 10 può avere ricadute sulla fertilità. Eppure, appena il 2% si controlla.
C’è un gap evidente nell’attenzione che i maschi ripongono nella loro salute sessuale rispetto alle donne
Uno scenario confermato anche da Conti: “Molti anni fa, all’interno di una collaborazione con il distretto militare dei giovani maschi alla visita di leva, riscontrammo la presenza di varicocele nel 25% dei casi. Si tratta di una patologia che può dare problema di fertilità. Purtroppo esiste un gap evidente nell’attenzione che i maschi ripongono nella loro salute sessuale rispetto alle donne, la maggior parte delle quali entro i 20 anni effettua una visita ginecologica che ripeterà con regolarità per tutta la vita”.
Il libro bianco della Fondazione Onda
I numeri ci dicono che, laddove si riesce a intercettare precocemente la patologia, la sopravvivenza migliora. Sebbene infatti il tumore della prostata sia il più frequente nella popolazione maschile dei Paesi occidentali e la sua incidenza sia aumentata nel tempo per il progressivo invecchiamento della popolazione, la maggiore probabilità di diagnosticare precocemente la malattia ha portato a una continua riduzione della mortalità.
In Italia sono 564.000 gli uomini che convivono con una diagnosi di tumore della prostata. Oltre alla prevenzione primaria, fondata su corretti stili di vita, in particolare alimentazione corretta e attività fisica regolare, è la prevenzione secondaria a rappresentare la strategia più efficace, poiché consente di intercettare il tumore in fase iniziale, anche prima della comparsa dei sintomi, aumentando le possibilità di cura e di guarigione, riducendo la mortalità e migliorando la qualità della vita dei pazienti.
Recentemente la Fondazione Onda, da sempre attenta alla salute femminile e che da qualche tempo segue più in generale la salute di genere, ha pubblicato il libro bianco “Tumore alla Prostata, Stato dell’arte e nuove prospettive”, per analizzare le diverse strategie adottate fin qui, dalla prevenzione alla diagnosi precoce e alla sorveglianza attiva, fino alle più recenti opzioni terapeutiche, alle tecnologie più innovative e alla gestione multidisciplinare del paziente. Sono stati considerati anche gli aspetti psicologici e sociali. Per quanto il cancro in generale venga ancora molto temuto, quello della prostata pone infatti delle sfide peculiari intaccando le dimensioni più profonde dell’individuo.
Il documento segue l’indagine “La consapevolezza sul tumore della prostata”, realizzata dalla Fondazione in collaborazione con Elma Research nel 2021 e secondo la quale solo tre uomini su dieci si ritengono sufficientemente informati relativamente al carcinoma prostatico. Dalla survey emergeva che sono le donne, in molti casi, a intervenire nel motivare gli uomini a eseguire controlli.
“Secondo il 54% delle donne, gli uomini di fronte a sintomi genito-urinari reagiscono con comportamenti che non favoriscono la condivisione con il medico, minimizzando il problema e temporeggiando. Bisogna mettere in pratica una strategia di intervento che promuova in modo deciso presso gli uomini la prevenzione di questo tumore, la diagnosi precoce e l’accesso a percorsi specialistici multidisciplinari”, afferma Nicoletta Orthmann, coordinatrice medico-scientifica Fondazione Onda.
Le raccomandazioni europee sugli screening
Il libro bianco si inserisce nel solco delle raccomandazioni europee che suggeriscono di rivedere le modalità di screening, pur senza fornire indicazioni operative. Per quanto riguarda il carcinoma prostatico, secondo i consulenti scientifici della Commissione, proprio in considerazione delle evidenze preliminari e della quantità significativa di screening opportunistici in corso, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione un approccio graduale, che comprenda la sperimentazione e ulteriori ricerche per valutare la fattibilità e l’efficacia dell’attuazione di programmi per garantire una gestione e una qualità appropriate sulla base dell’analisi del Psa, in combinazione con un’immagine a risonanza magnetica supplementare come test di follow-up.
Da qui le linee strategiche di intervento proposte da Fondazione Onda alle istituzioni:
- promuovere una corretta educazione alla salute sessuale e riproduttiva presso la popolazione maschile, fin dalla giovane età, abbattendo i tabù e valorizzando il ruolo del medico specialista di riferimento nella sua tutela
- incrementare l’informazione e la consapevolezza sul tumore della prostata, con particolare riferimento ai fattori di rischio e al ruolo della diagnosi precoce, evidenziando l’importanza di sottoporsi regolarmente a controlli specialistici urologici, in particolare dopo i 50 anni (dopo i 40 anni, in caso di familiarità positiva) pur in assenza di sintomatologia
- garantire l’accesso a un’informazione chiara e corretta sui benefici e sui rischi della diagnosi precoce per il carcinoma prostatico, nonché sui limiti delle tecniche attualmente in uso per lo screening
- garantire un accesso equo e omogeneo su tutto il territorio nazionale alla diagnosi precoce del carcinoma prostatico con copertura della popolazione interessata e secondo linee guida condivise dalla comunità scientifica
- potenziare il ruolo del medico di medicina generale nella promozione della salute maschile e nella prevenzione attiva primaria e secondaria del tumore della prostata, investendo nella formazione specifica sul territorio nazionale
- promuovere attività di informazione e sensibilizzazione sulla prevenzione e diagnosi precoce del tumore della prostata rivolte anche alle donne, in considerazione del ruolo femminile nel favorire una prevenzione urologica attiva da parte del proprio partner, nell’intercettare i primi campanelli di allarme e nel sollecitare un tempestivo accesso ai percorsi specialistici di diagnosi e cura.
La sfida, adesso, è riuscire a rendere operative queste indicazioni: “Invieremo il documento alle istituzioni centrali e regionali, oltre che a quelle europee – chiosa Orthmann – Sarebbe bello riuscire a organizzare tavoli di lavoro a livello regionale, per declinare gli interventi a livello locale”, auspica la coordinatrice medico-scientifica di Fondazione Onda.
La sfida delle valutazioni genomiche
I dati in possesso di Health Search, una banca dati della medicina generale, indicano un trend in costante ascesa del tumore della prostata, passato dall’11,7% del 2010 al 16,7% del 2019 con un picco di prevalenza negli ultra85enni (88,4%).
Per gli esperti responsabilizzazione, monitoraggio e formazione sono i messaggi da trasmettere alla popolazione e agli operatori sanitari per arrivare ad una diagnosi precoce che permetta di curare al meglio questa patologia.
Qualora esista un rischio eredo-familiare di sviluppare un tumore della prostata, bisognerà cercare di anticipare le valutazioni specialistiche. È un campo nuovo e aperto
Dal punto di vista sanitario, la grande sfida che ci aspetta nei prossimi anni riguarda le valutazioni genetiche. “Fino a poco tempo fa, le linee guida dicevano che dovevano essere sottoposti a visita urologica e a screening di secondo livello i pazienti sintomatici oppure quelli a rischio, coloro cioè che avevano parenti di primo o secondo grado con tumore della prostata o che appartenevano a un’etnia con un’incidenza più alta rispetto alla popolazione caucasica – riassume Conti – Oggi cominciamo a sapere che esiste una trasversalità tra parenti che hanno avuto tumore della prostata, della mammella, dell’ovaio e del pancreas. Questo significa che occorre rivedere il rischio eredo-familiare di sviluppare un tumore della prostata. Qualora questo esista, bisognerà cercare di anticipare le valutazioni specialistiche. È un campo estremamente nuovo e aperto”.
Un esempio? Oggi conosciamo molto bene le mutazioni di Brca1 e Brca2 per quanto riguarda il tumore alla mammella. “Stiamo vedendo che i pazienti maschi con queste mutazioni esprimono tumori prostatici molto aggressivi – rende noto Conti – Esistono oggi terapie per questi soggetti, gli inibitori di Parp, che funzionano nei pazienti che hanno queste mutazioni”.
La difficoltà, a questo punto, sta nel capire a chi effettuare il counselling genetico e come. Un ambito, quello dei test genomici, che soffre della frammentarietà regionale e – a volte – della scarsa conoscenza degli strumenti a disposizione.
“Chiaramente se non vediamo mai il paziente non lo faremo mai – sospira Conti – Occorrerebbe sensibilizzare anche i medici di medicina generale: una raccolta di anamnesi che faccia capire quali sono le familiarità potrebbe contribuire a far sospettare un quadro di rischio familiare. Si tratta di una nuova frontiera che si sta aprendo e che apre scenari molto complessi. In definitiva, bisognerà poi dimostrare con studi validati che questi strumenti servano davvero a migliorare la sopravvivenza e la qualità della vita dei pazienti, che resta sempre il nostro obiettivo finale”.