Per la prima volta in Italia si presenta un documento condiviso da ben 16 società scientifiche e sanitarie in materia di telemedicina. Sono coinvolte Associazione Italiana Neurologi Ambulatoriali Territoriali (AINAT), Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO), Associazione italiana Sanità digitale e Telemedicina (AiSDeT), Associazione Medici Diabetologi (AMD), Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI), Società Italiana di Cardiologia (SIC), Società Italiana di Diabetologia (SID), Società Italiana di Endocrinologia (SIE), Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici (SIFO), Società Italiana di Neurologia (SIN), Società Italiana di Nefrologia (SINefrologia), Società Italiana di Reumatologia (SIR), Società Italiana Unitaria di Endocrinochirurgia (SIUEC), Società italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) e Società Italiana per la Direzione e il Management delle professioni Infermieristiche (SIDMI).
L’appuntamento è a Roma, il 24 maggio, presso l’Auditorium “Cosimo Piccinno” al Ministero della Salute – Lungotevere Ripa, dalle 10.30. L’incontro sarà l’occasione per la presentazione del documento promosso dalle società scientifiche e sanitarie con l’obiettivo di affiancare fattivamente e in modo cooperativo il generale processo di costruzione dell’ecosistema digitale della sanità. Questo per evitare che le trasformazioni e gli interventi in atto possano giungere senza tenere conto del punto di vista importante degli operatori sanitari e dell’impatto che modelli avanzati possano avere sui modelli organizzativi e fare in modo che l’innovazione possa decisamente essere messa a sistema utilizzando a pieno i fondi destinati dal PNRR.
Com’è nato il documento e con quali obiettivi? A spiegarlo è Massimo Caruso, Segretario generale AiSDeT.
“Le norme e indicazioni che sono arrivate nel tempo in materia di telemedicina parlano chiaramente di un coinvolgimento delle società scientifiche e sanitarie sugli aspetti come l’eleggibilità dei pazienti che devono essere destinati alla televisita o l’efficacia clinica dell’attività di telemonitoraggio: non sono tematiche che possano essere affrontate da team di carattere tecnologico, ma richiedono la presenza di figure mediche e sanitarie.
Un altro grande tema è l’organizzazione dell'”ultimo chilometro”, cioè della presa in carico a distanza, al domicilio dei paziente, che sarà affidata ai caregiver e alle professioni sanitarie. Serve che vengano stabilite, a fronte della riorganizzazione del processo, le regole di comportamento dei vari professionisti sanitari in esso coinvolti”.
Come vi siete mossi?
Il lavoro è cominciato più di un anno fa, quando abbiamo iniziato a coinvolgere le società scientifiche per chiarire aspetti del processo di cura e fornire valutazioni e validazioni delle tecnologie e contributi sul modello organizzativo che regge questo processo. I risvolti sono innumerevoli. Pensiamo all’aspetto logistico: le televisite dove si faranno? Circola l’idea di uno spazio comune tipo call center in cui tutti i professionisti si rechino a una cert’ora per la telemedicina. Folle, ma pare che alcune direzioni sanitarie si stiano organizzando in questo modo. Questo tipo di valutazioni non possono prescindere dalla presenza di figure scientifiche e sanitarie e di una riflessione sul modello organizzativo.
L’ambiente digitale è per natura fortemente integrato con l’azione di governo dell’azienda sanitaria
Sulla base di questo punto di partenza, la nostra associazione ha lanciato una chiamata alle società scientifiche per mettere insieme una piattaforma di ragionamento comune per capire bene innanzitutto due cose. La prima, come le società scientifiche si devono agganciare al perimetro normativo. Il mondo scientifico e sanitario è abituato a operare in modo un po’ autonomo, ma quando si entra e si comincia a lavorare in un ambiente digitale, che per suo statuto è integrato, le cose cambiano. Questo non è un processo verticale, ma deve essere integrato e interloquire con i sistemi informativi aziendali, con il Cup, il controllo di gestione, l’IT manager. Non è possibile pensare che, come accadeva tempo fa, il fornitore proponga al medico uno strumento e quello lo adotti e faccia telemedicina, perché l’ambiente digitale è un ambiente di sistema fortemente integrato con l’azione di governo dell’azienda sanitaria.
Com’è andata?
È stata un’operazione complicata, perché non tutti sono stati abituati a una logica di carattere sistemico. Qualcosa che oggi è invece fondamentale, tanto più se parliamo di approcci come One Health e medicina personalizzata. Il primo problema, anche affascinante da affrontare, è stato quindi allineare le professioni. Nel gruppo ci sono società scientifiche che hanno già fatto molte cose nel settore, come l’AIPO, e altre realtà che si affacciavano alla telemedicina per la prima volta. Siamo partiti da una forte asimmetria di esperienze e la piattaforma è stata importante per l’allineamento su un linguaggio e un orizzonte comuni, per far conoscere la normativa, che cosa si sta facendo in quest’ambito, cosa significa integrare una piattaforma di telemedicina locale con una nazionale. Un mondo che non spetta solo al tecnico, ma deve essere demandato anche al medico.
Un caso concreto. Bisogna monitorare al domicilio alcuni parametri: cardiovascolari, diabetologici e altri. Come procedere, non essendoci un device multifunzione ma tanti device, ognuno dedicato al proprio obiettivo? Se ne possono dare al paziente quattro o cinque, uno da usare alle 8, uno alle 10 e così via? Un progetto già fallito, perché non tiene conto di un altro aspetto importante qual è il carattere friendly delle tecnologie. Una domanda che il medico si deve porre, non limitandosi al proprio ruolo di garantire un servizio di salute al cittadino.
Cosa è emerso da questo dibattito tra le società?
La necessità di creare un tavolo lavoro in cui cominciare a ragionare sui Pdta digitali. Le società scientifiche si impegneranno a produrre dei modelli di Pdta digitali che verranno pensati in una logica di natura ecosistemica. Questo è fondamentale perché non è sufficiente scomporre il Pdta e andare a inserire in qualche punto le tecnologie digitali. Bisogna pensare a un Pdta che sia integrato. Ad esempio, devono essere ricomprese le altre figure professionali che entrano nel percorso di cura insieme alla telemedicina.
Qual è l’altro aspetto su cui vi siete soffermati?
Serve un ragionamento approfondito sul modello organizzativo
Serve un ragionamento molto approfondito sul modello organizzativo, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di natura legale e di rischio, per tutelare sia il paziente che il medico. Il quadro normativo, oltre a essere vecchio, è frammentato e non particolarmente pertinente: bisogna metterci mano, per arrivare a un quadro che sia unitario.
Un ulteriore fronte su cui insistiamo è il carattere formativo e informativo della nostra iniziativa. Abbiamo sentito spesso discutere di competenze digitali, ma il vero problema è la conoscenza: non posso avere competenze senza conoscenza. Devo innanzitutto capire in quale contesto mi muovo, pertanto è importante che i medici siano coinvolti nella comprensione dei nuovi paradigmi culturali dell’innovazione. Dopo si procede con una formazione mirata: i medici non devono sapere tutto, ma saper usare gli strumenti necessari per il loro modello organizzativo, che possono migliorare il processo dell’assistenza al paziente. Ecco quindi il progetto di un programma di informazione e formazione orientato in questo modo. La chiave di successo, secondo noi, è la presenza capillare delle società sul territorio: si va a sistema.
Cosa succederà dopo la presentazione del documento?
Il lavoro proseguirà con una proposta organica alla Regione Puglia, che è benchmark per la telemedicina, per collaborare e accompagnare la realizzazione del piano operativo regionale. Al Ministero chiederemo la costituzione di un tavolo di lavoro e confronto non per discutere, ma con un obiettivo concreto: quello che le società scientifiche producano dei documenti che possano essere condivisi e diventare patrimonio della comunità scientifica e sanitaria. Partiamo dai bisogni.