Prosegue con questa intervista la rubrica di colloqui con i membri del Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti dall’attuazione del Regolamento dell’assistenza ospedaliera (DM70) e dall’attuazione del Regolamento dell’assistenza territoriale (DM77)
Criticità peculiari del Dm 70 o del Dm 77, ma anche problemi comuni: su tutte, il carico burocratico che grava sui medici ospedalieri e del territorio, a discapito del tempo da dedicare al paziente. Il punto con il presidente dell’Ordine dei Medici di Ancona Fulvio Borromei, che siede al Tavolo in rappresentanza della Federazione nazionale degli ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO). Un contributo che, sottolinea, porterà alla luce della sua esperienza come medico “in trincea”: oltre quarant’anni di servizio come medico di medicina generale, dell’emergenza-urgenza e nelle cure palliative.
Quali sono a suo parere le principali criticità del Dm 70/2015 sugli standard dell’assistenza ospedaliera?
La riflessione prioritaria che tengo a stimolare riguarda l’organizzazione del lavoro, che è estremamente importante perché deve sottendere a liberare il più possibile il tempo clinico del medico, cioè il tempo di cura. Il medico ospedaliero in tutte le vesti si è visto negli anni portar via il tempo di cura da incarichi burocratici, lacci e lacciuoli che non dovrebbero ricadere su di lui: è come se un ricercatore non avesse il tempo di studiare.
Mi capita di lanciare una provocazione, che però tale non è: se non ha più tempo di fare il medico, il medico perderà la sua efficacia professionale. Quindi, tutta l’organizzazione del lavoro deve essere proiettata a questo: tempo clinico e di cura.
La professione nel tempo ha perso attrattività nel nostro Paese
Un secondo punto centrale è che la nostra professione nel tempo ha perso attrattività in Italia. Il disagio che il medico vive sul posto di lavoro è diventato così rilevante che fare il medico non è più attrattivo e i medici giovani se ne vogliono andare: il medico, che storicamente è uno stakanovista, si allontana e quando lo fa è sollevato, si sente libero da una zavorra. Nessuna organizzazione del lavoro seria può avvenire se non tiene in considerazione gli aspetti psicologici e relazionali del medico e il disagio che lo affligge.
Terzo: la conflittualità, che ha raggiunto estremi impensabili. Chiediamoci: i chirurghi, i medici del pronto soccorso e del 118, quelli più esposti agli attacchi, alle osservazioni e alle recriminazioni sul loro operato, come vanno al lavoro? Tant’è che c’è una grave carenza di questi professionisti.
Un ulteriore aspetto secondo me importante è che il medico non fa più carriera, ma che professionista è quello che non ha prospettive di carriera? Carriera non significa solo ambizione e desiderio di raggiungere un grado di potere rilevante, ma, nel tempo, poter modulare le proprie competenze dedicandosi a questioni più complesse ed essere tutor di altri professionisti in crescita.
Ancora, c’è il discorso del rapporto intraprofessionale e interprofessionale. Al Tavolo tecnico, così come nel lavoro di tutti i giorni, dobbiamo essere in grado di fare progetti insieme, nel rispetto del ruolo, delle abilità e del curriculum delle diverse professioni, nell’interesse nostro e del paziente.
E il Dm 77/2022 sugli standard dell’assistenza territoriale?
Il medico di medicina generale, che è il più prossimo al paziente, è anche il più trascurato
Territorio, questo sconosciuto. Su questo fronte finora non è stato fatto un granché. Andando nelle specifico delle criticità che possiamo elencare, partiamo da questa: tra le potenzialità del territorio, la più importante è il rapporto medico-paziente e in primis la relazione del medico di medicina generale (Mmg) con il paziente. Tra i medici, questo è il più vicino al malato e anche il più trascurato. Negli anni ci siamo trovati a ragionare su formule che dovevano essere applicate di noi ma venivano attinte da altri Paesi dopo uno studio su un sistema piuttosto che un altro. Invece, secondo me, dovremmo partire dall’analisi di chi nel territorio ci lavora, perché il rapporto fiduciario medico-paziente che esiste nella dimensione del territorio deve essere tutelato.
La riforma che viene proposta, anche sulla base della spinta del PNRR, deve essere ben progettata, perché se vogliamo costruire delle Case della Salute che possano davvero avere un ruolo, questo non deve essere fatto a discapito del rapporto medico-paziente. Ciò va sottolineato anche perché quando si lavora sulle criticità non bisogna dimenticare le cose che funzionano. Tra queste resiste, nonostante si possa sostenere che per varie ragioni nell’arco degli ultimi dieci anni sia calato, il rapporto fra medico di medicina generale e paziente.
Torno poi a ripetere che sia sui medici dell’ospedale che del territorio nel tempo sono ricaduti compiti e funzioni cui nemmeno grazie ai sistemi avanzati informatici e al personale di studio riusciamo a tenere testa: una serie di richieste di tipo burocratico che anche a che opera sul territorio toglie tempo clinico. Un importante filo conduttore che pesa sia sull’ospedale che sul territorio.
Oggi il vero lavoro si può fare solo in équipe
Un altro aspetto per me cruciale è che come si instaura un legame con il medico di medicina generale, servirebbe anche uno specialista di fiducia, e che questo dovrebbe lavorare in collaborazione con il Mmg, con l’infermiere, lo psicologo, il fisioterapista di fiducia. Ecco che vengo a delineare la mia idea di lavoro in équipe, perché oggi il vero lavoro si fa in équipe e su questo ho anche una solida esperienza da mutuare come palliativista.
Tutte queste istanze si sommano nell’esigenza di una migliore assistenza: a rischio c’è la nostra salute.