Il batterio “mangia-carne” spaventa il Giappone. Ci sono rischi per l’Italia?

Si chiama sindrome da shock tossico streptococcico (STSS) ed è un’infezione batterica rara, con una letalità superiore al 30% e sta colpendo anche molti giovani. Gli esperti Andreoni (SIMIT) e Menichetti (GISA) valutano i rischi per il nostro Paese

Il soprannome è inquietante: “Batterio mangia-carne”. E, secondo quanto riportato dal The Japan Times, le autorità sanitarie giapponesi hanno segnalato un aumento dei casi di quella che ufficialmente si definisce sindrome da shock tossico streptococcico (STSS), causata dal ceppo V1UK dello streptococco di gruppo A.

Anche se non si tratta di una patologia altamente trasmissibile, è interessante comunque notare e monitorare l’aumento del numero dei casi

Per fare chiarezza e valutare i rischi dalla prospettiva italiana, TrendSanità ha parlato di STSS con Massimo Andreoni, ordinario di Malattie Infettive all’Università di Roma Tor Vergata e Direttore scientifico SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e tropicali) e Francesco Menichetti, già ordinario di Malattie Infettive all’Università di Pisa e Presidente GISA (Gruppo Italiano per la Stewardship Antimicrobica).

Immagine del National Institute of Infectious Diseases Giappone

Il governo di Tokyo ha diffuso l’allarme dopo che i casi di infezione hanno superato la metà del totale dello scorso anno, con 88 contagi nella capitale (517 infezioni in tutto il Paese) al 17 marzo. Nel 2023 i casi furono 141, con 42 decessi. Solitamente la STSS è preceduta dalla necrosi del tessuto sottocutaneo (fascite necrotizzante) e ha un tasso di mortalità molto alto, circa il 30% nel 2023. L’allarme lanciato dalle autorità giapponesi evidenza la gravità di queste infezioni batteriche e la necessità di una rapida risposta sanitaria per contenere la loro diffusione e mitigare gli impatti sulla popolazione.

Perché è definito batterio mangia-carne?

«Per la capacità di produrre una tossina che causa la necrosi del tessuto sottocutaneo e dei muscoli – risponde Menichetti –. La necrosi comporta la distruzione del tessuto colpito, rendendo l’infezione grave e pericolosa per l’arto interessato e per la sopravvivenza. Si parla quindi di fascite necrotizzante, la malattia conseguente all’attività della tossina, i cui sintomi iniziali possono essere facilmente sottovalutati, poiché all’esame obiettivo si vede poco, la cute della gamba, del braccio o della zona interessata appare leggermente pallida, fredda e dura, ma non giustifica il dolore intenso lamentato dal paziente. Ed è proprio l’intensità del dolore che dovrebbe far sospettare la presenza della fascite necrotizzante. La discrepanza tra sintomi lamentati e scarsità di segni visibili è il segnale che i medici non devono sottovalutare. Invece, capita che si considerino esagerate le lamentele del paziente, proprio perché l’azione del batterio, inizialmente, non si vede in superficie. Per questo è imperativo l’approccio chirurgico per la rimozione del tessuto necrotico, l’unico intervento salva vita, che deve essere tempestivo e reiterato. I medici devono saper riconoscere i sintomi della fascite e agire rapidamente, quindi è necessario che siano adeguatamente preparati su questa grave infezione batterica».

Siamo di fronte a una nuova potenziale pandemia?

Massimo Andreoni

«Nonostante la mortalità sia molto elevata – risponde Andreoni –, i casi sono normalmente isolati e non provocano cluster epidemici. Quindi, no, direi che non siamo di fronte a una nuova possibile pandemia. In passato, le infezioni che oggi stiamo osservando erano piuttosto rare: un caso ogni 300mila o un milione di persone. Nonostante il recente incremento, è importante mantenere un approccio cauto e non precipitarsi a definire la situazione come un’epidemia. Non c’è stata un’esplosione improvvisa di casi, essendosi registrati meno di 100 casi in 3-4 mesi. Tuttavia, con una mortalità che varia dal 30% al 60%, la gravità di questa malattia non è da sottovalutare. Anche se non si tratta di una patologia altamente trasmissibile, è interessante comunque notare l’aumento del numero dei casi, probabilmente per una maggiore vulnerabilità immunitaria della popolazione. Ma lo ripeto, nonostante la sua gravità, questa malattia non presenta le caratteristiche per diventare una pandemia, data la sua modalità di trasmissione limitata. In Giappone la situazione è attentamente monitorata».

Francesco Menichetti

Aggiunge Menichetti: «Non esiste al momento un rischio concreto per l’Italia. Nel nostro Paese, i casi di infezione da streptococco di gruppo A, variante V1UK, sono fortunatamente sporadici, senza evidenza di focolai epidemici significativi. Nonostante i casi segnalati in Giappone, da noi non ci sono segnali di possibile rischio. Certo, è importante mantenere alta la vigilanza e la consapevolezza pubblica. I dati giapponesi testimoniano un fenomeno in atto, un incremento di queste forme di infezione streptococcica che merita di essere monitorata con attenzione».

Come si trasmette e chi è più a rischio?

«La sindrome da shock tossico non è un fenomeno nuovo – ci dice Andreoni –, nonostante l’attenzione che sta ricevendo in questi giorni. È una condizione causata dalle tossine liberate da uno specifico streptococco, lo Streptococcus pyogenes. Il quadro clinico che ne deriva è piuttosto severo, con sintomi come febbre alta, rash cutanei e, nei casi più gravi, malfunzionamento multiorganico che può evolvere in shock grave. Spesso è descritta appunto una fascite necrotizzante. Lo streptococco è normalmente presente sulla nostra pelle, diventa pericoloso solo quando acquisisce la capacità di produrre esotossine. Non si trasmette per via aerea ma, più frequentemente, attraverso il contatto diretto. L’uso di tamponi interni durante il ciclo mestruale è uno degli esempi più noti di situazioni che possono favorire lo sviluppo della sindrome. Non è necessariamente una malattia dei soggetti immunodepressi o fragili e può colpire anche individui in perfetto stato di salute».

Aggiunge Menichetti: «Infatti, la cosa più interessante è proprio il coinvolgimento di individui più giovani, con circa un terzo degli over 30 che ha contratto l’infezione deceduto. È proprio quest’anomalia che ha richiamato l’attenzione della comunità medico-scientifica ed è il motivo per cui è un evento che non va sottovalutato. Occorre vigilare e registrare i possibili sviluppi».

Quali possono essere le cause dell’aumento della prevalenza di questo patogeno? Si parla di indebolimento del nostro sistema immunitario nativo causato dal covid-19 e dalla minore esposizione alle infezioni date le misure di sicurezza anti-contagio…

Non esiste al momento un rischio concreto per l’Italia. Nel nostro Paese, i casi di infezione da streptococco di gruppo A, variante V1UK, sono fortunatamente sporadici

Risponde Andreoni: «Recentemente, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che la pandemia da covid-19 abbia potuto indebolire l’immunità innata a livello globale, favorendo così la diffusione di infezioni batteriche, tra cui quelle causate dallo streptococco. È interessante notare che le misure di distanziamento sociale abbiano significativamente ridotto l’incidenza di infezioni respiratorie come l’influenza, ma hanno in qualche modo ridotto l’esposizione ai patogeni, abbassando così potenzialmente l’efficacia dell’immunità, soprattutto nei bambini. Quindi, è possibile che il sistema immunitario possa essere stato indebolito dalla pandemia, interferendo con i meccanismi che normalmente rafforzano l’immunità innata. L’utilizzo di mascherine e il rispetto del distanziamento sociale, pur essendo misure essenziali per contenere la diffusione del virus, hanno comportato un effetto collaterale non trascurabile, cioè un’immunità potenzialmente indebolita».

È un batterio che ha sviluppato resistenza agli antibiotici?

«Lo streptococco, in generale, mantiene una buona sensibilità agli antibiotici – afferma Andreoni –. In particolare, lo Streptococcus pyogenes. Ma la gravità clinica di questa condizione non è legata alla resistenza agli antibiotici, ma piuttosto alla capacità del batterio di produrre una tossina particolarmente pericolosa».

I cambiamenti climatici e l’inquinamento potrebbero essere una possibile causa della diffusione del batterio?

«Il riscaldamento globale influisce sulla proliferazione batterica, tuttavia non ritengo che possa giustificare completamente l’aumento delle infezioni da streptococco che stiamo osservando – conclude Andreoni –. Più specificamente, le variazioni climatiche potrebbero non essere direttamente correlate all’aumento dei casi di shock tossico. Benché sia vero che un incremento di uno o due gradi, così come un clima più umido, possano estendere la sopravvivenza e la diffusione delle zanzare, applicare questo ragionamento ai germi patogeni è prematuro. È noto che l’innalzamento delle temperature influisce sulla presenza di batteri nelle acque marine e dolci, modificando gli ecosistemi in cui questi si sviluppano. Tuttavia, collegare direttamente questi cambiamenti all’aumento di incidenza di certi ceppi batterici, come quello dello streptococco, richiede ulteriori evidenze e studi più approfonditi».

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute