«Contrastiamo “l’ageismo” per curare meglio gli anziani e rendere più efficiente il SSN»

Il nuovo approccio dei geriatri sta rivoluzionando l’assistenza agli anziani. Ungar (SIGG): «Età biologica del paziente più importante dell’età anagrafica ai fini della prognosi»

Curare bene la terza età vuol dire anche utilizzare al meglio le risorse a disposizione del SSN. TrendSanità ne ha parlato approfonditamente con il professor Andrea Ungar, che dal 2023 presiede la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria.

In Italia oggi manca all’appello un geriatra su due. Le scuole di specializzazione sul territorio nazionale riescono a riempire solo la metà dei posti a disposizione. Eppure, l’invecchiamento progressivo e costante della popolazione italiana rende facile presagire come in futuro serviranno sempre più medici specializzati proprio nella cura dei pazienti più anziani.

Nel tempo questa specialità medica ha fatto grossi passi avanti e oggi è in grado di incidere in maniera decisiva sull’efficienza del servizio sanitario nazionale. Basti pensare che la metà delle ospedalizzazioni e dei ricoveri nei nosocomi riguarda proprio gli anziani, che sono i destinatari principali delle cure mediche ospedaliere erogate dal sistema.

Cos’è la vecchiaia?

«L’inizio della vecchiaia vera e propria viene sancito convenzionalmente dai sessantacinque anni in avanti – spiega il geriatra –. Oggi, tuttavia, è anacronistico parlare di anzianità prima dei settantacinque anni. Naturalmente si tratta di una condizione soggettiva e l’inizio di questa fase della vita varia da soggetto a soggetto; prima dei sessantacinque anni e fino ai settantacinque però in geriatria si parla di ‘giovani anziani’, mentre dagli ottant’anni in su di grandi anziani, quelli in cui il deterioramento delle funzioni cognitive e le malattie croniche hanno una maggior incidenza sulla vita della persona».

Età cronologica, biologica e psicologica

Sebbene l’anzianità sia a tutti gli effetti la parte finale del ciclo vitale, caratterizzata da un progressivo indebolimento dell’individuo, non si può dire che essa sia legata solo all’età. «L’età cronologica è un fatto insindacabile – spiega Ungar –, ma ci sono fattori ben più importanti da valutare, fra cui lo stato funzionale del paziente, le sue condizioni fisiche (fra cui la presenza o meno di una o più patologie croniche), il livello cognitivo e la condizione sociale ed economica in cui versa». L’età può pesare più o meno sull’individuo a seconda del contesto sociale in cui questo è inserito: «Il fattore psicologico ha una sua importanza. Diversi studi hanno dimostrato come la solitudine, che affligge in Italia il 30% degli anziani ultrasettantacinquenni, li renda molto più vulnerabili, più soggetti alle cadute e meno resistenti alle malattie», afferma il professore.

I test sull’invecchiamento

Cosa si può fare per valutare le condizioni di un anziano? Oltre all’esame obiettivo geriatrico, esistono diversi test che sono in grando di “misurare” il livello di invecchiamento di un individuo. Uno dei più dirimenti prende in esame la velocità del passo su 4 metri: se il ritmo di deambulazione scende sotto 0,8 metri al secondo significa che l’individuo è affetto da un decadimento fisico e che sarà più soggetto a possibili cadute. Anche la qualità della camminata, il grado di stabilità e le oscillazioni eccessive sono oggetto di osservazione attenta dello specialista.

Un altro test utilizzato è quello chiamato chair stand test, che prevede che il paziente si alzi dalla sedia ripetutamente con le braccia incrociate, con la sola forza delle gambe. «Nella geriatria moderna abbiamo superato il concetto secondo cui lo stato di invecchiamento è determinato principalmente dal numero e dalla gravità delle patologie del paziente – spiega il presidente SIGG –, ormai siamo consapevoli di come il grado di salute sia invece legato allo stato funzionale del paziente, indipendentemente dall’età e dalle malattie di cui è affetto che, se ben curate, non impattano così significativamente sul suo stato di invecchiamento».

La lotta all’ageismo

La Legge 33 del febbraio 2023 e il suo decreto attuativo hanno rappresentato un passo importante e sancito il bisogno di una modifica di paradigma nelle cure dei pazienti anziani. Le cure domiciliari, la prossimità fra ospedale e territorio e la cosiddetta “geriatrizzazione” degli ospedali, luoghi in cui gli anziani possano essere curati a partire dalla propria età biologica e non a discapito di quella cronologica, sono tutti passi in avanti che la legge tutela ma che ancora non vedono la piena applicazione in Italia.

Andrea Ungar

«Nel febbraio 2024 abbiamo firmato la Carta di Firenze contro l’ageismo all’interno del progetto Age-It – continua il presidente -, ad aprile la SIGG ha organizzato un panel con esperti provenienti da tutto il mondo, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per spiegare a medici provenienti da tutti i continenti come sia necessario modificare radicalmente l’approccio nelle cure degli anziani: un nuovo modello che metta il fattore età solo fra uno dei tanti aspetti da considerare e centralizzi il ruolo di test delle capacità funzionali e cognitive del paziente per un corretto approccio alla cura». Gli ospedali sono popolati da persone appartenenti alla terza età almeno per il 50 per cento dei casi. In molti di questi l’ospedalizzazione è necessaria, in molti altri invece potrebbe essere evitata a beneficio del paziente in cambio di ospedalizzazione domiciliare, che riduce sia i costi sanitari che i rischi di complicanze per i pazienti.

L’esempio virtuoso del progetto Girot: l’ospedale a domicilio

La pandemia ha portato la regione Toscana a testare già nel 2021 un protocollo di cura in cui sono i medici dell’ospedale a visitare i pazienti più anziani a casa loro e ad eseguire lì la terapia: «L’abbiamo chiamato progetto Girot ed è partito 4 anni fa – spiega Ungar, che è stato fra i promotori dell’iniziativa -. L’acronimo sta per Gruppi di Intervento Rapido Ospedale Territorio. Nell’arco del primo anno di sperimentazione delle 3mila visite effettuate con una presa in carico media di 8-10 giorni a paziente, solo il 7% dei casi trattati ha dovuto essere ricoverato in ospedale a seguito dell’intervento domiciliare e la mortalità media dei pazienti è passata al 5% rispetto al 20% della media nazionale».

Il beneficio, secondo i geriatri, è evidente: migliori cure per il paziente, meno ospedalizzazioni e riduzione dei costi sanitari. D’altro canto, anche il modello anti-ageistico, che parte dal considerare lo stato funzionale del paziente e non la sua sola età anagrafica, fa risparmiare soldi al sistema: «Nel momento in cui è necessario determinare l’efficacia di interventi e terapie specifiche, come ad esempio quelle dell’ipertensione di cui sono affetti il 70 per cento degli ultrasettantacinquenni – spiega Ungar –, l’età biologica del paziente è più importante dell’età anagrafica ai fini della prognosi. L’accesso alle cure, così come la somministrazione delle terapie nella terza età dovrebbero quindi sempre passare attraverso quella che in gergo chiamiamo ‘riconciliazione’, ovvero da una rivalutazione geriatrica di tipo prognostico, nell’interesse di tutte le parti in gioco e dell’efficienza del sistema sanitario stesso».

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Sofia Rossi
Giornalista specializzata in politiche sanitarie, salute e medicina