La bozza della manovra finanziaria continua il suo iter che la porterà a diventare legge dello Stato entro fine anno. E TrendSanità la segue passo passo, con l’intento di raccontare le sue evoluzioni e trasformazioni al passaggio nelle aule parlamentari.
Dopo la presentazione dello schema base della legge, i diversi schieramenti politici hanno avuto modo di presentare i propri emendamenti – un numero che è partito da oltre seimila per arrivare a poche centinaia – che passeranno al vaglio della V Commissione del Senato e poi saranno votati dal Parlamento. Ma la sanità, che in prima battuta sembrava essere uno dei tavoli su cui si giocava il grosso della Finanziaria, è stata retrocessa da protagonista a semplice comparsa. Almeno per il momento.
Sanità e salute
Tra i diversi capitoli, quelli relativi a sanità, salute e affini dovevano farla da padrona, nell’ambito del dialogo politico per la definizione della nuova legge di Bilancio. E in effetti in un primo momento maggioranza e opposizione avevano presentato un numero di emendamenti davvero corposo. Del resto, si sa, toccare la salute fa sempre presa sull’elettorato, che immagina che l’agone politico si concentri molto proprio sui temi che toccano direttamente i cittadini. Non ultimo l’aspetto del finanziamento disponibile per il Servizio sanitario nazionale. Tutto al netto del balletto delle cifre del corposo investimento (6,7 miliardi di euro) sciorinato dal Governo in piazze e trasmissioni Tv e ridimensionato dai tanti tecnici ed esperti che con i numeri ci lavorano e che, scevri da un colore politico di appartenenza, hanno rilevato che ci attestiamo – euro più euro meno – a 2,4 miliardi.
Per il momento la sanità è passata da protagonista a semplice comparsa
Moltissimi sono stati i temi toccati dagli emendamenti presentati inizialmente, sia gruppi parlamentari sia da monofirmatari, dal finanziamento per la sanità alle terapie innovative, dalla sanità digitale ai tetti di spesa per farmaceutica e dispositivi medici, toccando payback e farmacie.
Poco rimane, purtroppo, per la sanità e la salute degli italiani, dopo un primo riconfronto politico, stando al Fascicolo provvisorio degli emendamenti segnalati, depositato alle 22:30 del 19 novembre.
In questo articolo vi presentiamo la situazione attuale, mettendola a confronto con quella che si prospettava solo alcuni giorni fa, senza la pretesa di essere esaustivi, ma presentando le proposte che a nostro giudizio potevano essere tra le più significative. E con l’avvertenza che nelle settimane che ci separano dalla conversione della bozza della manovra in legge dello Stato molto potrebbe accadere. Potendo infatti il Parlamento, che dovrà esprimersi su questo disegno di legge, ripescare emendamenti che in prima battuta sembravano essere diventati lettera morta.
Ma andiamo con ordine.
Fondo sanitario nazionale: le proposte di incremento
Dal momento che la tenuta del nostro Ssn si basa sulla dotazione del Fondo sanitario, cioè del bacino di finanziamenti su cui la sanità pubblica può contare per pagare beni, farmaci e servizi da erogare ai cittadini secondo i principi di universalità ed equità previsti dall’articolo 32 della Costituzione, la politica aveva proposto di incrementare le previsioni di investimento che lo Stato dedica proprio alla sanità. E quindi, aumentare i 2,4 miliardi previsti dalla bozza della legge di Bilancio. Anche se si condivideva un aumento progressivo nel tempo a partire dal 2026, il quantum non era uniformemente uguale per tutti. C’era chi proponeva 10.500 milioni per il 2026, 14.200 milioni per il 2027 e 14.700 milioni dal 2028 (Magni, De Cristofori e Cucchi) e chi invece era di manica più stretta e proponeva 6.400 milioni per il prossimo anno invece dei 2.400 previsti, 6.650 per i due anni successivi (Castellone, Mazzella, Damante, Pirro) e chi stava nel mezzo con la proposta di 2,65 miliardi per il 2026 e 3,079 miliardi dal 2027 (Paroli, Lotito).
Il tema del reperimento dei fondi rimane centrale nella discussione della manovra per il prossimo anno
Di tutto questo, oggi rimane solo una sintesi. Quella di Paroli e Lotito, che propone di aumentare il fondo sanitario da 2.400 a 2.829 milioni nel 2026 e da 2.650 a 3.079 per il 2027. Sintesi che Boccia, Patuanelli, De Cristofaro, Paita indicano in un “incremento del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard” […] “tale da raggiungere gradualmente una percentuale di finanziamento annuale non inferiore al 7,5 per cento del Pil, il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato è ulteriormente incrementato di 2.500 milioni di euro per l’anno 2026, di 3.000 milioni di euro per l’anno 2027 e di 5.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2028”.
Ma si sa che la coperta è corta e, qualunque possa essere l’incremento di spesa sanitaria, dove si reperiranno i fondi? La politica in questo caso pare coesa nella sua proposta, che ricade per molti proponenti sulla riduzione del fondo per gli interventi strutturali per la politica economica di cui, come si legge negli emendamenti “all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è ridotto di 429 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026”. Anche se Mazzella, Damante, Pirro, Castellone, Guidolin avevano suggerito anche di attingere le risorse necessarie dal settore degli armamenti attraverso “un’imposta straordinaria, a carattere temporaneo, a carico dei soggetti che esercitano, nel territorio dello Stato, attività di produzione, vendita, importazione e commercializzazione di beni e prodotti inerenti il predetto settore”.
Emergenza-Urgenza: no a indennità, esclusività e fiscalità agevolata
Praticamente scomparse le previsioni di modifica inerenti il sostegno al bistrattato universo dell’Emergenza-Urgenza. E così, stralciate le proposte di modifica alla bozza della Legge di Bilancio riguardanti coloro che lavorano nei Pronto Soccorso (Ps) – medici, sanitari e infermieri del Sistema di Emergenza Territoriale che avrebbero potuto veder valorizzate le proprie condizioni di lavoro “nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale, nei limiti dell’importo complessivo di 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2026, una specifica indennità di natura accessoria correlato al rischio ambientale e biologico”. Niente di fatto anche per la dirigenza medica di Ps e per i reparti di Emergenza-Urgenza che avrebbero potuto vedere “un’indennità di esclusività nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale raddoppiata, nei limiti dell’importo complessivo di 100 milioni di euro annui a decorrere dal 2026”. Con l’interessante proposta che i “compensi erogati per lo svolgimento delle prestazioni aggiuntive dal personale del Sistema di Emergenza Territoriale 118” siano “soggetti a una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 15 per cento, nei limiti dell’importo complessivo di 15 milioni di euro annui a decorrere dal 2026”.
Case e Ospedali di Comunità, personale e nuove deroghe
Cadute anche le interessanti proposte su cui la politica si era espressa a favore del nodo tanto discusso della necessità di riempire di professionalità le case e gli ospedali di comunità, che rappresentano alcuni dei pilastri della nuova concezione di sanità territoriale, finanziata anche grazie al Pnrr. Depennato l’emendamento di Mazzella, Damante, Pirro, Castellone e Guidolin che proponeva di andare in “deroga ai vincoli in materia di spesa di personale previsti dalla legislazione vigente”, dedicando “150 milioni di euro per l’anno 2026, 300 milioni di euro per l’anno 2027, 500 milioni di euro per l’anno 2028 e 1.000,00 milioni di euro a decorrere dall’anno 2029 a valere sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale, “con riferimento ai maggiori oneri per la “la spesa di personale dipendente”.
Cadute anche le principali proposte sulle professionalità da dedicare alle Case e Ospedali di Comunità
Stessa sorte, sempre in tema di salute e territorio, per quanto ipotizzato da Lorenzin, Misiani, Zampa, Manca, Camusso, e Zambito che avrebbero voluto istituire un “Fondo strutturale per l’assistenza territoriale, con una dotazione di 1.100 milioni di euro annui a decorrere dal 2026, destinato a garantire la sostenibilità e la piena operatività delle Case della Comunità, degli Ospedali di Comunità e delle Centrali Operative Territoriali realizzati nell’ambito del Pnrr”. Investimenti che avrebbero potuto anche “finanziare modelli di presa in carico integrata sviluppati in collaborazione tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici ospedalieri, infermieri, professionisti sanitari e sociali, enti locali e soggetti del Terzo Settore, per assicurare continuità assistenziale e prossimità dei servizi”.
Idem come sopra la sorte del potenziamento della sanità di prossimità ipotizzato da Zampa, Manca, Camusso e Zambito che indicavano che la strada da percorrere fosse quella di autorizzare “la spesa di 50 milioni a decorrere dall’anno 2026” da dedicare “ai medici di medicina generale e ai laureati in medicina e chirurgia abilitati all’esercizio professionale, iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale” che si vedrebbero “assegnati gli incarichi convenzionali relativi agli ambiti territoriali vacanti, in via subordinata rispetto ai medici in possesso del relativo diploma e agli altri medici aventi, a qualsiasi titolo, diritto all’inserimento nella graduatoria regionale in forza di altra disposizione, prevedendo la corresponsione, del trattamento economico previsto dall’accordo collettivo nazionale”.
Personale sanitario: niente incentivi contro la fuga verso il privato
Dato per assodato che uno dei nodi da sciogliere in tema di sanità territoriale (e non) è proprio quello del personale, anche la politica ne ha preso coscienza e aveva messo sul tavolo la possibilità di incentivare economicamente le professioni sanitarie così da contrastare il deleterio spillover verso il privato e persino verso altri Paesi, a cui assistiamo ormai da tempo. E così la soluzione sarebbe potuta essere quella di gratificare solo coloro che “non esercitano la possibilità di cui all’articolo 13 del decreto legge 30 marzo 2023, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2023, n. 56”, cioè coloro che restano fedeli al rapporto di lavoro con la sanità pubblica, con “un’indennità di esclusività del rapporto di lavoro, a valere sul trattamento economico fondamentale, disciplinata dalla contrattazione collettiva nazionale del comparto della sanità pubblica per il triennio 2025-2027, nel limite di 750 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026”. Anche in questo caso nulla di fatto.
BTP Sanità: un nuovo modello di finanziamento del personale
Rimane invece nella lista degli emendamenti che la Commissione V e il Parlamento dovranno valutare una proposta di particolare interesse: l’emendamento ora a firma Gasparri (in origine Mennuni) che propone un nuovo sistema di finanziamento della spesa per il personale sanitario. Si tratta di istituire dei nuovi buoni del Tesoro chiamati “BTP Sanità” finalizzati “esclusivamente al finanziamento delle spese relative al personale del Ssn, comprese le assunzioni, la stabilizzazione del personale con contratto a tempo determinato, l’incremento delle ore del personale convenzionato e lo sviluppo delle équipe territoriali multidisciplinari”, “con particolare riferimento all’assistenza territoriale e ai servizi distrettuali”. La raccolta di finanziamenti concorrerebbe a costituire il “Fondo per il personale del Servizio sanitario nazionale territoriali, con dotazione variabile in funzione delle sottoscrizioni dei titoli obbligazionari, e sarebbe ripartito annualmente tra le Regioni e le Province autonome” in concerto tra Salute e Tesoro “sulla base dei fabbisogni assistenziali territoriali e delle carenza di personale”.
Terapie avanzate: no a a fondo sperimentale, HTA e modelli di pagamento
Nulla di fatto per uno degli emendamenti, a nostro avviso meglio scritti, che riguardava le terapie avanzate. Trattasi di quello proposto dalla compagine Zaffini, Zullo, Cantù e Ambrogio che lanciavano l’idea di un fondo sperimentale di cinque anni dedicato alle Atmp, con una “dotazione iniziale pari a euro 80.000.000” per il “rimborso dell’acquisto dei medicinali per terapie avanzate”. Nulla di nuovo in termini di misura (un fondo) da adottare.
Ciò che invece pareva più interessante era la previsione di creare una valutazione di Hta rispetto alla “misurazione dei risparmi generati per il Ssn dalla somministrazione dei medicinali per le terapie avanzate che hanno accesso al Fondo”, “calcolati sulla base di un monitoraggio degli effetti del loro utilizzo sul costo del percorso terapeutico assistenziale complessivo”.
Nulla di fatto per le proposte riguardanti le Atmp (Advanced Therapy Medicinal Products – Prodotti Medicinali di Terapia Avanzata)
Ancora più interessante il fatto che la proposta prevedesse la definizione da parte di Aifa di “criteri di accesso al Fondo, valorizzando la riduzione del ricorso ad altre prestazioni rese da enti e professionisti del Ssn ai pazienti, con conseguente riduzione dei costi per il sistema; la riduzione delle perdite di produttività relativamente a coloro che si trovano in età lavorativa, con relativi benefici per il sistema previdenziale e il sistema economico in generale; gli impatti organizzativi positivi per le organizzazioni sanitarie modificando in modo rilevante i processi assistenziali; l’impatto significativo sulla qualità della vita dei pazienti, delle famiglie dei pazienti e dei loro caregiver”.
Non ultimo, di interesse per le imprese farmaceutiche titolari dell’Aic dell’Atmp il fatto che esse potessero definire con Aifa “modelli negoziali di pagamento pluriannuali condizionati ai risultati clinici attesi” e il fatto che “le terapie avanzate che hanno accesso al Fondo restano escluse … dal calcolo dell’ammontare complessivo della spesa farmaceutica per gli acquisti diretti ai fini del rilevamento del superamento del tetto e dalla determinazione della quota di mercato a carico della rispettiva azienda farmaceutica titolare Aic”.
Aifa: niente potenziamento con 150 nuove assunzioni
Scomparso anche un emendamento importante, proposto da Zaffini, Zullo, Cantù e Gelmetti che vedeva protagonista l’Aifa. L’idea era di favorire il potenziamento dell’organico dell’agenzia regolatoria, permettendo l’assunzione a tempo indeterminato entro i prossimi due anni di “94 dirigenti di cui 20 dirigenti medici, 74 dirigenti sanitari di altre professionalità, 47 funzionari e 9 assistenti”. Un totale di 150 nuove unità i cui stipendi si ipotizzavano pagati grazie a una “spesa massima di euro 8.485.032, per l’anno 2026, e di euro 16.970.064, a decorrere dall’anno 2027, cui si provvede mediante le risorse disponibili nel bilancio dell’Aifa, per ciascun anno, destinate alle spese di funzionamento, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
Farmaci orfani, innovativi e accesso precoce
Avrebbe interessato molto sia i pazienti sia le aziende farmaceutiche con prodotti di frontiera l’emendamento, purtroppo cassato, proposto da Zambito, Zampa, Manca e Camusso sulle “Misure per favorire l’accesso e la rimborsabilità precoce dei farmaci orfani”.
In sostanza, la proposta prevedeva un “accesso e rimborso anticipato con conguaglio” a “livello nazionale” per “medicinali orfani o destinati a patologie per cui non siano disponibili alternative terapeutiche, first in class e best in class, immediatamente dopo l’approvazione dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema)”.
Nonostante la valenza sociale dei farmaci orfani riconosciuta dalle diverse forze politiche sono state stralciate diverse proposte
In sintesi, i titolari di questi farmaci avrebbero potuto fare richiesta di accesso precoce ad Aifa subito dopo l’approvazione di Ema, avendo la facoltà di definire liberamente il prezzo di rimborso da parte del Ssn. Nel frattempo, da un lato i pazienti avrebbero potuto ricevere il farmaco e contestualmente sarebbe iniziata la negoziazione del prezzo-rimborso con Aifa. Qualora il prezzo concordato fosse stato inferiore a quello liberamente definito dal produttore, quest’ultimo avrebbe dovuto restituire l’eccedenza al Ssn.
Un emendamento, questo, che era stato proposto con minime differenze anche da Gelmetti, Mennuni, De Priamo, Murelli, Cantù, Minasi, Dreosto, Testor, Ronzulli e Lotito; un chiaro segnale che la valenza sociale dei farmaci orfani è ben chiara e percepita come pregnante dalle diverse forze politiche.
Simile a quello per i farmaci orfani anche lo scheletro dell’emendamento che era stato proposto da Pirro, Mazzella, Damante e Castellone per l’accesso precoce ai farmaci innovativi. Ripreso anche da Minasi, Murelli, Cantù, Dreosto e Testor.
Spesa farmaceutica: resta solo l’incremento del tetto per la diretta
Tempo di parziali vacche magre anche in tema di politica farmaceutica, che era al centro dell’emendamento presentato da Lotito e Paroli relativo ai tetti di spesa per il farmaco. Se questa proposta fosse rimasta invariata si sarebbe potuto sperare nell’aumento di tutti i tetti di spesa per i farmaci: “tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti crescerebbe dello 0,50 per cento per il 2026, dello 0,60 per cento per il 2027 e dello 0,70 per cento dal 2028”. Invece il tetto per la farmaceutica convenzionata sarebbe stato “incrementato dello 0,05 per cento”. Il tutto al costo stimato di 420 milioni di euro, che i proponenti proponevano dover trovare copertura dall’incremento del fondo sanitario. Ciò che resta invece, per ora, è il solo aumento per la farmaceutica diretta +0,50 per cento per il 2026, a valere sul fondo per interventi strutturali di politica economica.
Dispositivi medici: per il payback solo un Tavolo
Erano comparse tra gli emendamenti anche alcune voci relative ai dispositivi medici, il cui tetto di spesa Murelli, Garavaglia, Minasi, Cantù, Dreosto e Testor proponevano di aumentare “dello 0,2 per cento per ogni per ciascuno degli anni 2026, 2027 e 2028” – per Lorenzin e Misian invece andava “incrementato di 0,3 punti percentuali per il 2026, di 0,4 punti per il 2027 e di 0,5 punti a decorrere dal 2028” – ferme restando “le procedure per la determinazione dei tetti regionali previste” e il fatto di trovare la copertura finanziaria con l’aumento del fondo sanitario. Purtroppo nulla di fatto.
Così come è accaduto alle proposte per sciogliere il nodo del payback pregresso avanzate da Zambito, Zampa e Camusso che proponevano che “ai fini del ripiano dello scostamento dal tetto di spesa dei dispositivi medici”, “relativi agli anni 2019, 2020, 2021, 2022 e 2023” […] “le aziende fornitrici di dispositivi medici assolvano i propri obblighi mediante il versamento, in favore delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, della quota del 25 per cento degli importi indicati nei provvedimenti regionali e provinciali”, “riferiti agli anni 2019-2023”. Il tutto spendendo “450 milioni di euro a valere sui risparmi di spesa e le maggiori entrate derivanti dalla rimodulazione e dall’eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente”.
In tema di medical device resta solo l’unica proposta che non prevede un aumento di spesa: l’istituzione “presso il ministero dell’Economia e delle Finanze, di un Tavolo permanente sul payback sui dispositivi sanitari”.
Digital health e intelligenza artificiale, queste sconosciute
Non si ha più traccia nemmeno delle tante, talvolta variopinte, proposte emendative in tema di sanità digitale.
Come l’emendamento firmato da Furlan e Paita che dedicava tre milioni di euro dal prossimo anno a un fondo “per incentivare l’acquisto, da parte dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, di servizi o soluzioni digitali per la gestione automatizzata degli appuntamenti, la comunicazione con i pazienti e l’effettuazione di prestazioni base di telemedicina, quali la televisita”. Obiettivo di medio-lungo periodo di questa proposta, la riduzione degli accessi impropri in Pronto Soccorso e di contribuire allo smaltimento delle liste di attesa.
No a Zambito, Zampa e Camusso, che dal canto loro proponevano “al fine di potenziare la strumentazione digitale a supporto dei medici, degli odontoiatri e degli psicologi,” e per agevolare “l’adozione di applicazioni di intelligenza artificiale finalizzate alla semplificazione delle attività cliniche e amministrative del professionista sanitario”, di mettere cinque milioni a disposizione del ministero della Salute per “riconoscere, in via sperimentale, un contributo per le spese da sostenersi nel 2026 per l’acquisto di soluzioni di intelligenza artificiale” da parte di “medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, psicologi, medici specialisti e odontoiatri di età inferiore a quaranta anni”. Con un limite complessivo di 100 euro di contributo per il singolo professionista. Tetto che, invece, Murelli, Minasi, Cantù, Dreosto, Testor indicavano a 1.000 euro.
Niente nemmeno per la cordata Lorenzin, Misiani, Zampa, Manca, Camusso, Zambito che proponeva di destinare 500 milioni di euro per un Fondo per la sanità digitale e l’intelligenza artificiale “finalizzato a completare l’interoperabilità del Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 e sviluppare la cartella sanitaria unica nazionale; sostenere progetti di IA applicata alla prevenzione, alla diagnostica e alla gestione dei percorsi clinici ospedalieri e territoriali; promuovere la formazione digitale di medici ospedalieri, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, infermieri, operatori sociosanitari e cittadini”.
Niente di fatto anche per la curiosa proposta presentata da Gaudiano, Damante, Pirro, Castellone, Mazzella, Guidolin: l’istituzione di cabine di teleconsulto medicale nelle aree di servizio autostradali. Una spesa di cinque milioni di euro che avrebbe permesso ai cittadini di accedere a servizi quali teleconsulti, teleassistenza e monitoraggio clinico mentre fanno una sosta tra una sessione di guida e l’altra.
Malattie rare: resta la diagnosi genomica
Resta qualcosa invece dei diversi gli emendamenti presentati in tema di malattie rare. Se non è rimasta la proposta della politica di “dare piena attuazione al Piano Nazionale Malattie Rare 2023-2026″ autorizzando “una spesa di 25-50 milioni di euro, a seconda delle ipotesi presentate da diversi emendamenti, per l’anno 2026 a valere sul Fondo sanitario nazionale”, è ancor presente quella relativa all’istituzione di un Fondo per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare “con una dotazione pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2026, 2027 e 2028”, dedicati “al potenziamento dei test di Ngs di profilazione genomica come indagine di prima scelta o come approfondimento diagnostico nelle malattie rare per le quali sono riconosciute evidenza e appropriatezza, o nei casi sospetti di malattia rara non identificata”.
Demenze e cronicità dimenticate
Nonostante la cronicità, anche legata all‘aumento dell’età della popolazione italiana, sia tra le problematiche di maggiore impatto non solo in termini di spesa ma anche di governance sono sparite le proposte di Mazzella, Damante, Pirro, Castellone e Guidolin a sostegno delle persone con demenza, attraverso “l’aggiornamento e il monitoraggio del Piano Nazionale Demenze”, e di coloro che sono affette da patologie croniche attraverso “l’aggiornamento e il monitoraggio del Piano Nazionale Cronicità”. Ciascuna delle due proposte prevedeva un investimento di “200 milioni di euro per il 2026, 2027 e 2028”.
Ricerca sanitaria non considerata
Non esenti dagli stralci nemmeno le proposte emendative riguardanti i finanziamenti alla ricerca. Vedasi l’emendamento che prevedeva 40 milioni di euro per finanziare la “ricerca corrente del ministero della Salute per gli Irccs pubblici e privati” e di “5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026 per gli Izs”.
Farmacie di comunità: verso il riconoscimento come strutture sanitarie
Resta invece ben salda la proposta della politica sul ruolo delle farmacie di comunità in qualità di vero e proprio tassello della sanità territoriale, non solo dispensatrice di medicinali, ma anche erogatrice di servizi sanitari di valore sociale. E così rimane il fatto che: “Le farmacie pubbliche e private operanti in convenzione con il Servizio sanitario nazionale sono riconosciute come strutture eroganti prestazioni sanitarie e socio-sanitarie ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei 16 ministri 12 gennaio 2017, previa autorizzazione all’esercizio e accreditamento istituzionale in conformità con quanto previsto dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e nel pieno rispetto dei principi di cui agli articoli 3 e 32 della Costituzione, anche in sinergia con gli altri professionisti sanitari”.
Ma la cosa più interessante, e che certamente farà discutere, è l’introduzione di un nuovo emendamento presentato da Manca per modificare la legge 362/1991 sulle farmacie per favorire le possibilità di partecipazione societaria nelle farmacie, consentendo partecipazioni indirette di soggetti pubblici e privati oggi limitati.
In buona sostanza la volontà è quella di aprire una deroga ai divieti dell’attuale legge, consentendo alcune partecipazioni indirette, oggi non ammesse. Che tradotto significa che si aprirebbe la porta a maggiori partecipazioni societarie, ma a condizione di alzare gli standard anticorruzione e di separazione.
La previsione sarebbe infatti di introdurre regole di trasparenza, separazione e anticorruzione per evitare conflitti d’interesse (es. comparaggio); e introdurre un obbligo di responsabilità sociale d’impresa per le grandi società titolari di farmacie, destinando fino allo 0,20% degli utili a progetti sociali a favore di anziani, disabili e fragili nei piccoli comuni.
In conclusione, per ora…
Delle migliaia di proposte depositate inizialmente e poi ampiamente ridimensionate, restano solo quelle attuabili con minima o nulla spesa, così da evitare di dover aumentare il fondo sanitario.
Anche se la sanità non può più essere terreno di scontro, ma banco di prova della credibilità del Paese. Perché, oltre la contabilità della manovra, c’è un solo bilancio che conta davvero: quello della salute dei cittadini.
Del resto, se ben indirizzati, gli investimenti e le riforme oggetto di confronto politico potrebbero essere l’inizio di una stagione diversa: più digitale, più vicina ai territori, più attenta alle fragilità e all’equità di accesso alla salute. L’occasione c’è. Sta ora alla politica dimostrare di saperla trasformare in futuro.







