Alla scoperta delle professioni sanitarie della Federazione nazionale degli Ordini TSRM e PSTRP
L’acufene o “tinnitus” è la percezione di un evento sonoro non presente nell’ambiente, ma generato all’interno dell’apparato uditivo o delle strutture anatomiche circostanti. Negli USA sono più di 50 milioni le persone con acufene, soprattutto adulti (circa il 10%), con un impatto significativo sulla qualità di vita. In Italia sarebbero più di 6 milioni.
Vediamo quindi le principali caratteristiche cliniche del disturbo, l’armamentario terapeutico disponibile per lo specialista, ma soprattutto l’attività dei Tecnici audiometristi e Tecnici audioprotesisti, professionisti che afferiscono alla Federazione nazionale degli Ordini TSRM e PSTRP.
Lo facciamo insieme a Pietro Cino, Presidente della Commissione di albo nazionale dei Tecnici audiometristi e a Massimo Sitzia, Vicepresidente della Commissione di albo nazionale degli audioprotesisti e docente di Audioprotesi all’Università Tor Vergata di Roma e presso l’Università di Siena che ne hanno parlato a TrendSanità.
Acufene e calo dell’udito
L’acufene può essere percepito come un rumore proveniente da dentro o fuori la testa
Secondo le Linee guida pratiche per l’acufene dell’American Academy of Otolaryngology – Head and Neck Surgery, l’acufene può essere monolaterale o bilaterale e può essere percepito come proveniente da dentro o fuori la testa. Spesso è associato a ipoacusia neurosensoriale e può variare dal ronzio al fruscio o pulsazioni o altri rumori. La maggior parte dei soggetti accusa acufeni poco severi, ma per alcuni è un disturbo che può comportare ansia, depressione e scarsa qualità di vita, in particolare in presenza di un acufene fastidioso e persistente (durata di 6 mesi o più). È il sintomo di un’ampia gamma di disturbi (uditivi e non), dalle malattie dell’orecchio medio (otosclerosi o disfunzione della tuba di Eustachio), alle patologie cocleari (sindrome di Ménière) o del nervo uditivo, fino alle anomalie vascolari e l’ipertensione endocranica.
Terapie e trattamenti
L’anamnesi e la diagnosi iniziano con dei questionari di valutazione
Il primo passo è eseguire un’anamnesi mirata e un esame obiettivo durante la valutazione iniziale. Poi, segue una valutazione audiologica completa che considera le difficoltà uditive e indica le prime strategie di gestione. “È importante evidenziare che la persona con acufene – ci dice Cino – deve essere valutata da un’équipe multidisciplinare che comprende non solo il medico otorino o audiologo, ma anche il tecnico audiometrista, il tecnico audioprotesista, lo psicologo e lo psichiatra, soprattutto in caso comorbidità di carattere cognitivo comportamentale della dimensione psichica. Il nostro ruolo, quello dei Tecnici audiometristi, è cruciale, in particolare nella fase di valutazione, per inquadrare l’acufene, per la misura e la valutazione della funzione uditiva e del sistema vestibolare, nonché per la riabilitazione dell’handicap conseguente alle malattie del sistema uditivo e vestibolare”.
“Come prima fase – spiega il Presidente – si somministrano all’assistito dei questionari di valutazione proprio per capire qual è l’impatto emotivo dell’acufene sulla persona, come ad esempio il Tinnitus handicap Inventory. Si dice che gli acufeni non si possano curare, che non ci sono delle terapie efficaci. In parte è vero, ma ciò che conta è inquadrare bene la situazione e solo allora si potrà consigliare il tipo di terapia specifica. Ad esempio, se la persona oltre l’acufene presenta una comorbilità di carattere psichico, è chiaro in quel caso prediligere una terapia di carattere cognitivo comportamentale, cioè trattamenti che, avvalendosi di specifiche tecniche, condizionano la persona assistita a pensare che l’acufene sia un rumore o un suono neutro. Viviamo quotidianamente circondati da suoni di ogni tipo, quindi è necessario differenziare i suoni importanti (il linguaggio, i segnali di allarme) da quelli neutri, attività che il cervello fa già in automatico. Resta però necessario eseguire un’acufenometria, un test audiometrico, per valutare la frequenza e l’intensità dell’acufene per identificare la cura più appropriata, anche perché l’acufene è un disturbo soggettivo. Potremmo definirlo un’allucinazione sensoriale sonora, come quelle visive (si pensi al miraggio nel deserto), cioè un suono che si percepisce ma che non è prodotto da una sorgente sonora esterna. Spesso poi è anche presente un disturbo uditivo, pertanto risulta mandatorio eseguire un’audiometria, tuttora esame cardine per la valutazione uditiva”.
Quando serve la protesi
L’acufene può essere precursore di diverse patologie che devono essere diagnosticate
“L’acufene è un sintomo – ci dice Sitzia – e come tale va individuato e misurato attraverso un’attività clinica che può fare solamente il medico. L’acufene può essere precursore di diverse patologie che devono essere diagnosticate. Dal punto di vista audioprotesico, fatta salva la premessa, l’audioprotesista può concorrere insieme all’equipe multidisciplinare a migliorare la qualità della vita del soggetto acufenopatico attraverso l’utilizzo della tecnologia protesica e di mascheramento in diverse modalità. Le analisi effettuate a monte sono fondamentali nel determinare l’approccio più corretto e quindi la strategia più appropriata a ridurne gli effetti. Spesso l’acufene coesiste ad un abbassamento della capacità uditiva, in tali circostanze il disturbo acquisisce un maggior rilievo in quanto l’incapacità di ascoltare contribuisce a ridurre l’effetto mascherante del rumore ambiente sull’acufene stesso. In tali situazioni spesso è sufficiente un ripristino quantitativo e qualitativo del deficit uditivo per consentire un corretto mascheramento del disturbo”.
“Il dispositivo protesico, correttamente impostato, può migliorare l’ascolto e le attività di vigilanza ambientale e pertanto, concorrere nel distrarre l’attenzione dall’acufene, riducendone gli effetti psicoacustici e psicosomatici – continua il professionista sanitario –. In altre possibili circostanze, invece, il fenomeno potrebbe subire un effetto migliorativo attraverso la tecnica di erogazione di segnali in controfase, tale approccio è reso possibile attraverso dispositivi capaci di produrre un ‘arricchimento sonoro’ generando diverse tipologie di rumore (rumore bianco, rumore rosa, rumore marrone) capaci di impegnare lo spettro di frequenze che coinvolge l’acufene e porsi nei confronti dello stesso, appunto in controfase, negativizzandone gli effetti.
Altra strategia riguarda la possibilità di intervenire sui processi distrattivi ed emotivi attraverso l’ascolto di suoni campionati da contesti sonori reali (rumore della pioggia, del mare, ecc.) o attraverso le sonorità frattali che somministrate sottosoglia in modalità dicotica a spettro di frequenza variabile, possono favorire i processi distrattivi. Un’altra possibilità è rappresentata dalla ‘Notch Terapy’ utile nel trattamento degli acufeni tonali, funzione che può essere programmata su alcuni dispositivi permettendo attraverso l’attivazione di un filtro notch di creare un vuoto di stimolo sonoro in corrispondenza della frequenza del tinnitus. Certamente ogni possibile strategia deve essere il risultato di scelte, analisi e verifiche di pertinenza dell’intera equipe multidisciplinare che ha in carico la persona assistita affetta da acufeni”.
Strategie di cura
“Sono fondamentalmente tre gli approcci terapeutici negli acufeni – ci dice ancora Cino –. La terapia protesica, la terapia cognitivo-comportamentale, che mira a ridurre il disagio emotivo associato agli acufeni e a modificare le reazioni negative della persona, e la riabilitazione uditiva, che si rivolge a chi non tollera le protesi e ha anche una ridotta capacità uditiva. Questo tipo di intervento consiste nel potenziare le altre modalità percettive, come la lettura labiale, l’interpretazione dei gesti e delle espressioni facciali, e altre tecniche per affrontare le situazioni di difficoltà comunicativa in particolari ambienti difficili da un punto di vista acustico. Quando i pazienti anziani mi dicono che per sentire devono tenere la televisione molto alta e che, quando ci sono altre persone che parlano non riescono a capire nulla, il consiglio è quello di utilizzare cuffie wireless; oppure quando l’assistito è angosciato la notte perché l’acufene non lo fa dormire, gli suggerisco di coprire l’acufene con un suono più gradevole, suoni tranquillizzanti come il rumore di un ruscello, musica rilassante, ecc…”.
Acufeni e nuove tecnologie
Le nuove tecnologie stanno rivoluzionando l’audiologia soprattutto nell’ambito del processamento dei segnali elettrofisiologici prodotti dal tronco encefalico in risposta a uno stimolo sonoro
“Le nuove tecnologie – prosegue il presidente albo tecnici audiometristi – stanno rivoluzionando l’audiologia soprattutto nell’ambito del processamento dei segnali elettrofisiologici prodotti dal tronco encefalico in risposta a uno stimolo sonoro (Auditory Brainstem Response). In passato era difficile misurarli a causa delle interferenze elettromagnetiche rispetto alla strumentazione. Sono segnali a bassa intensità, pertanto molto spesso risentono dell’interferenza dei campi elettromagnetici circostanti. Anche una banale presa elettrica può generare un campo elettromagnetico e quindi interferire con la registrazione. Oggi, grazie agli algoritmi di intelligenza artificiale si è in grado di ‘ripulire’ il segnale dalle interferenze circostanti, dagli altri segnali elettrofisiologici tipici dell’attività del tronco encefalico e quindi fare una valutazione molto più rapida e affidabile, più specifica in frequenza, ma soprattutto oggettiva rispetto alla soggettività del classico esame audiometrico tonale, che rappresenta ancora tutt’oggi l’esame cardine per la funzionalità dell’udito. Certo, l’acufene è soggettivo, non facile da misurare, ce ne sono di diversi tipi e con diverse frequenze e intensità e spesso la persona ha difficoltà a descriverlo. L’introduzione dell’AI in audiologia ci permetterà in un futuro molto prossimo di utilizzare test oggettivi di misurazione del nostro udito e, perché no, di oggettivazione anche degli acufeni”.
Protesi sempre più “intelligenti”
“Il passaggio tecnologico più rilevante – ci dice il vicepresidente della commissione di albo dei Tecnici audioprotesisti – è avvenuto in concomitanza di una diversa modalità di elaborazione del segnale da parte dei presidi acustici. Da circa un ventennio si è passati da una modalità di processamento analogico a una di tipo digitale. Per comprenderne i notevoli vantaggi, è necessario conoscere alcune specifiche caratteristiche che possono assumere i deficit uditivi. Spesso l’abbassamento della capacità uditiva non coinvolge tutte le sonorità udite dal nostro organo sensoriale, caratterizzando curve audiometriche la cui morfologia non ha un andamento costante che coinvolge tutte le frequenze udite nella stessa misura. Attualmente, gli obiettivi prefissati nel cercare la migliore ottimizzazione del campo dinamico uditivo residuato sono di creare la migliore condizione di udibilità rispetto alle tre soglie di riferimento (soglia di minima udibilità, soglia di comoda udibilità e soglia del fastidio).
L’attuale tecnologia protesica ci consente, attraverso particolari metodiche di fitting (open set), di centrare il deficit uditivo in termini amplificativi/equalizzativi in maniera diversa in funzione del diverso livello d’ascolto per ogni frequenza e in funzione delle tre soglie di riferimento. Tale metodica, consente in molti casi di ricreare una dinamica uditiva simile a quella della persona normo udente. Il tutto attraverso un’elaborazione del segnale secondo logiche di espansione e compressione dello stesso e per ogni singola frequenza analizzata. È innegabile che oggi tali vantaggi possano essere garantiti grazie esclusivamente alla tecnologia digitale, sommata alla costante e crescente preparazione degli audioprotesisti, capaci di attuare procedure complesse di fitting e misurare in tempo reale gli effetti attraverso i numerosi test di audiologia. I precedenti sistemi analogici, non consentivano elaborazioni del segnale così complesse e, spesso, i risultati in alcune forme di ipoacusia, erano carenti e si alternavano a fenomeni di intollerabilità del presidio acustico in condizioni ambientali sfavorevoli, ove presenti rumori”.
I rischi del “fai da te”
“Il cittadino non deve pensare che la tecnologia faccia tutto da sola – prosegue Sitzia – e che la soluzione sia nell’acquisto del prodotto. La soluzione è relazionarsi a un professionista competente che sappia scegliere il dispositivo più idoneo. Acquistare, pertanto, un apparecchio on line su internet è una follia, espone il cittadino al rischio che quel dispositivo non soddisfi le esigenze specifiche sia da un punto di vista audiologico che extra-audiologico. Le esigenze audiologiche permettono di progettare e scegliere un dispositivo in funzione della capacità uditiva residuata dopo che sia stata adeguatamente misurata secondo parametri quantitativi e qualitativi. Le seconde, le extra audiologiche, riguardano lo stile di vita della persona, pertanto, se l’assistito vive in ambienti silenziosi o in presenza di rumori di lieve intensità, corre il rischio di acquistare una protesi sovradimensionata rispetto alle personali esigenze, investendo di più rispetto a quanto effettivamente necessario. Di fatto verrebbero a mancare i criteri di ‘appropriatezza’ rispetto all’effettiva necessità tecnologica e rispetto al percorso riabilitativo necessario per una mancata consulenza specialistica.
La consulenza specialistica, quindi, è dirimente al fine di ottenere il miglior risultato applicativo nel tempo e per garantire un miglioramento della capacità d’ascolto e quindi della qualità della vita. Solo attraverso un percorso concordato e programmato con l’operatore sanitario, si raggiungerà il massimo risultato ottenibile dal trattamento protesico, creando le condizioni più favorevoli oltre alla possibilità di monitorare la permanenza dei risultati attraverso le visite di controllo necessarie e la possibile revisione dei parametri psicoelettroacustici nel tempo. L’audioprotesista è, infatti, quella figura sanitaria di garanzia nel processo protesico riabilitativo, grazie a competenze specifiche che assume attraverso la formazione universitaria e il continuo aggiornamento, oltre all’osservanza di tutte le norme che regolano la professione”.
L’AI nel trattamento degli acufeni
Tecnologia e intelligenza artificiale possono aiutare il professionista sanitario ma non possono sostituirlo in tutto
“Sicuramente le protesi diventeranno sempre più performanti e avremo a disposizione anche ulteriori sviluppi dell’intelligenza artificiale, ma si ritiene – prosegue Sitzia – che non possa sostituirsi all’intelligenza umana. Il nostro cervello cresce più velocemente di qualsiasi tipo di intelligenza artificiale e i software di applicazione delle protesi non possono sostituirsi all’intelligenza umana, in quanto agiscono attraverso parametri matematici. Ad esempio, il software di un dispositivo digitale potrebbe fornire un’indicazione amplificativa e di correzione a una determinata frequenza quando, in realtà, gli accertamenti audiologici la collocano in un’area a risposta cocleare inefficiente, il software questo non può saperlo. È l’audioprotesista che comprende se quella partizione d’ascolto è un settore frequenziale definito ‘dead area’. Stimolare un’area cocleare morta, potrebbe causare una distorsione del segnale e peggiorare l’ascolto su tutte le altre frequenze (segnale fuori set). Un software non è in grado di intervenire autonomamente in tali contesti. Valutazioni cliniche complesse resteranno sempre a carico del professionista sanitario che, se pur facilitato dalla tecnologia, non potrà rinunciare alla personale intellettualità/capacità affidandosi totalmente ad una macchina”.