Antibiotico resistenza: occorrono più formazione degli operatori e comunicazione ai cittadini

Negli ultimi due anni, a causa della pandemia, l’uso improprio degli antibiotici nel nostro paese è calato, ma rimaniamo comunque sorvegliati speciali in Europa. Nuovi farmaci e maggior formazione per gli operatori e per i cittadini sono la strada per combatterla.

L’antibiotico resistenza è un argomento che si percepisce poco e di cui non si parla abbastanza.

In Italia ogni anno muoiono circa 10.000 persone a causa dell’antibiotico resistenza, in Europa ne muoiono 33.000; l’Italia come paese è uno dei sorvegliati speciali per questo fenomeno, che è ormai diventato un problema di sanità pubblica a livello mondiale, con importantissime implicazioni da un punto di vista clinico come l’aumento della morbilità, della letalità, della durata della malattia, dello sviluppo di possibili complicanze, ma anche in termini di ricaduta economica. Perché non bisogna dimenticare il costo aggiuntivo richiesto per l’impiego di determinati farmaci, di procedure più onerose e di ulteriori farmaci per l’allungamento delle degenze in ospedale o per eventuali invalidità.

L’Italia è uno dei sorvegliati speciali per questo fenomeno, dalle implicazioni cliniche ed economiche molto rilevanti

Secondo recenti studi di IQVIA, provider di analisi e tecnologie in ambito sanitario, nel 2021 la spesa pro capite italiana per antibiotici è stata la più elevata tra i paesi EU5+UK, anche se in flessione (-12%) rispetto al 2020.  In generale, nel 2020-2021 l’uso di antibiotici è diminuito rispetto agli anni precedenti, sia in ambito ospedaliero sia retail e questo è probabilmente dovuto alla pandemia, al limitato accesso agli ospedali e agli ambulatori. Nonostante questo calo generale, ancora nel 2021 l’Italia è uno dei paesi che consumano più antibatterici in ospedale.

Le stesse previsioni di IQVIA confermano che nei prossimi anni l’impiego di questi farmaci tornerà a salire.

Figura 1. Spesa pro capite per acquisto di antibiotici, anni 2021-2019. Fonte: IQVIA

Esistono molti sistemi di sorveglianza nel nostro paese, a livello europeo e mondiale, però a livello strategico e operativo si può dire che si è fatto ancora poco per invertire la tendenza e per arginare questa pandemia silenziosa.

A novembre, AIFA ha attivato il nuovo gruppo di lavoro AIFA OPERA (Ottimizzazione della PrEscRizione Antibiotica) che raccoglie alcuni tra i maggiori esperti nazionali di antibiotici e di resistenze per supportare l’agenzia al fine di promuovere l’uso ottimale e specifico di questi farmaci.

Tra questi esperti c’è anche la professoressa Stefania Stefani, Docente di Microbiologia e Microbiologia Clinica, Università di Catania, Presidente Società Italiana di Microbiologia e che ha partecipato alla nostra Live dedicata al tema lo scorso 23 novembre, insieme a Monica Monaco, del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità e Rossana Monciino, Farmacista Dirigente della ASL di Vercelli.

Che cos’è l’antibiotico resistenza

Come suggerisce il nome, si tratta della resistenza da parte dei batteri agli antibiotici che dovrebbero distruggerli o perlomeno bloccarli.

L’antibiotico resistenza può causare infezioni più pericolose perché il farmaco, avendo perso un certo tipo di potere terapeutico, non permette di debellare un’infezione, che quindi risulta più pericolosa e meno gestibile.

Stefania Stefani“La resistenza agli antibiotici è sempre esistita – spiega la professoressa Stefani – ma quello che è davvero nuovo come problema è che questi meccanismi di resistenza si sono uniti insieme in un unico microorganismo, in un’unica specie; ciò significa che adesso ci sono alcune specie microbiche (tra i batteri Gram negativi, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii e Pseudomonas aeruginosam; tra i Gram positivi, Staphylococcus aureus, pneumococco e gli enterococchi) che albergano nel loro Dna molti determinanti di resistenza a gran parte delle famiglie antibiotiche”.

Facciamo un esempio concreto: se negli anni 50 esisteva uno pneumococco che era resistente solo alla penicillina, adesso quel ceppo è resistente alla penicillina, ai macrolidi, ai fluorochinoloni, cioè ha acquisito più resistenze nel tempo, questo si traduce nella difficoltà di curare in modo efficace come si faceva un tempo, perché nessuno degli antibiotici in realtà è più efficace come lo era all’inizio.

La resistenza agli antibiotici da parte delle specie microbiche è aumentata moltissimo nel tempo

“Accanto a questo – riprende la presidente della Società Italiana di Microbiologia – c’è da considerare la loro epidemicità: questi ceppi si diffondono soprattutto in ospedale e in una certa misura anche nella comunità, ma ci sono altri settori colpiti dalla diffusione dell’antibiotico resistenza, come quello agricolo-veterinario: laddove c’è pressione selettiva, si selezionano microrganismi. Il problema dell’antibiotico resistenza c’è, esiste, magari non è visibilissimo come l’attuale pandemia, ma è presente in modo strisciante e molto importante”.

Il problema è la mancanza di nuovi antibiotici

Sembra un paradosso, ma per combattere l’antibiotico resistenza servono… nuovi antimicrobici. Molto più potenti di quelli che abbiamo a diposizione oggi. Ma le principali sfide scientifiche poste da questi farmaci necessitano di un forte programma di ricerca che non può essere portato avanti soltanto dalle piccole aziende.

“Quando si parla di antibiotico resistenza bisogna separare i due “mondi” – riprende Stefani – perché un conto sono le infezioni acquisite in comunità, un’altra le infezioni ospedaliere. Queste ultime sono più complicate e richiedono uno sforzo maggiore anche dal punto di vista della Ricerca e Sviluppo. Nel 2010 era uscito un editoriale in cui la società di malattie infettive americana chiedeva alle grandi compagnie di produzione di sviluppare almeno dieci nuovi farmaci entro il 2020. Si è arrivati ad avere una decina di molecole nuove che sono state introdotte sul mercato anche con l’aiuto delle piccole aziende che si sono occupate della fase 1 e 2, mentre le grandi hanno lavorato sulla fase 3, la più costosa”.

Ci vogliono nuovi farmaci, ma anche un’educazione più capillare a operatori sanitari e cittadini

Il punto però è che non basta un’unica azione per debellare l’antibiotico resistenza. Ci vogliono nuovi farmaci, ma anche un’educazione e formazione più capillare a operatori sanitari e cittadini sull’uso corretto di questi medicinali.

“Bisogna anche imparare a pensare in modo globale, anche se si lavora nel locale. Perché le resistenze possono manifestarsi in un ospedale più che in un altro e occorre agire in rete anche per affrontare queste problematiche, senza pensare solo ed esclusivamente alla propria realtà locale”, ha concluso la dottoressa Stefani.

L’Italia rimane un sorvegliato speciale per le maggiori condizioni cliniche

Secondo l’ultimo rapporto AIFA 2019, nel nostro paese l’impiego inappropriato di questi farmaci supera il 25% in tutte le condizioni cliniche studiate, ma un uso improprio lo abbiamo anche visto durante le prime fasi della pandemia, quando alcuni casi di Covid venivano trattati con l’utilizzo di antibiotici, perché si sospettava che ci fossero delle infezioni batteriche secondarie, che in realtà si erano presentate solamente in un esiguo numero di casi.

Monica Monaco“Ciò che incide significativamente sui consumi e gli usi inappropriati – ha sottolineato la dottoressa Monaco – sono le attitudini prescrittive dei medici e le differenze culturali e demografiche dei vari contesti sociali, e su questo si può lavorare per migliorare la situazione. Si prescrive molto di più al centro e al sud rispetto al nord Italia e le differenze d’uso riguardano non solo il numero di prescrizioni che vengono effettuate, ma anche le diverse molecole che vengono prescritte, molecole più ad ampio spettro piuttosto che quelle a spettro ristretto”.

Per contrastare l’antibiotico resistenza, da molti anni si sta lavorando sia in ambito nazionale sia internazionale per migliorare l’uso delle prescrizioni e l’uso consapevole degli antibiotici. In Italia nel 2017 è stato approvato il piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico resistenza (PNCAR 2017-2020) che è in linea con le principali raccomandazioni internazionali. Avrebbe dovuto concludersi nel 2020, ma è stato prorogato al 2021, anche a causa della pandemia che ha rallentato i lavori e la realizzazione di alcuni obiettivi.

“Si sta lavorando anche a una nuova strategia – riprende Monaco – e a un nuovo piano di contrasto dell’antibiotico resistenza che prevede una sezione sull’uso prudente di questi farmaci e, tra i numerosi obiettivi, c’è quello di migliorare i programmi di stewardship antimicrobica attraverso la predisposizione di documenti e raccomandazioni di linee guida e linee di indirizzo.  Altre azioni riguarderanno l’implementazione dei servizi diagnostici a livello ospedaliero e territoriale per supportare una diagnosi rapida delle infezioni: questo potrebbe facilitare le decisioni riguardo la terapia più mirata da intraprendere per il paziente”.

La dottoressa Monciino, che si occupa delle analisi per le prescrizioni territoriali, racconta la tendenza del consumo degli antibiotici degli ultimi anni: “Tra il 2019 è il 2020 c’è stata una riduzione del consumo di antibiotici di circa il 25%, tra il 2020 e il 2021 sono state ridotte le prescrizioni del territorio del 14% a livello italiano. Questo è dovuto soprattutto alla pandemia (per il 2020), mentre per 2021 il risultato è probabilmente dovuto al rapporto sull’uso degli antibiotici redatto da AIFA per gli operatori sanitari. L’informazione ai professionisti sanitari non va sottovalutata, di questo se ne occupano i servizi farmaceutici territoriali che facilitano il canale informativo per alleggerire la routine giornaliera di chi ha tanti pazienti: quando questo avviene si può agire sulla prescrizione e sulle abitudini prescrittive. Lavorare sulle abitudini prescrittive dei medici e sull’uso improprio da parte della popolazione potrebbe portare al miglioramento della situazione relativa all’antibiotico resistenza”.

Non esiste un sistema automatico di sorveglianza e alert

In Italia esiste la sorveglianza della antibiotico resistenza, coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità e esiste anche la sorveglianza delle batteriemie dovute a batteri resistenti ai carbapenemi, farmaci di riserva molto importanti, generalmente utilizzati in caso di infezioni gravi: il problema è che negli ultimi anni la resistenza a questi farmaci è aumentata esponenzialmente e stanno emergendo tutti i casi di batteriemia segnalati dalle aziende ospedaliere, dalle unità sanitarie locali e dalle strutture del sistema sanitario nazionale.

La sorveglianza controlla 8 patogeni inclusi anche nella sorveglianza europea, mancano però meccanismi di alert automatici

La sorveglianza dell’antibiotico resistenza controlla otto patogeni che sono inclusi anche nella sorveglianza europea, però ad oggi non esiste nessun sistema di allerta automatico, le regioni hanno a disposizione anche le sorveglianze regionali, ma non c’è un meccanismo di alert a livello nazionale per segnalare un’emergenza, ci sono solo delle sorveglianze passive che consentono di raccogliere i dati dell’anno precedente. Questo è un altro tema che andrebbe affrontato nel prossimo PNCAR, perché un sistema efficiente di alert potrebbe permettere di intervenire tempestivamente e in modo più efficace nella lotta alle resistenze.

L’uso improprio in ambito domiciliare

E non bisogna dimenticarsi il contesto privato, perché ancora molte persone usano gli antibiotici senza prescrizione, magari perché avanzano delle confezioni a casa e ai primi malesseri li usano, senza nemmeno chiedere al medico.

Una recente ricerca da parte del Censis ha rivelato come nel 2021 gli italiani che hanno assunto antibiotici senza prescrizione medica siano stati l’8,2%, contro il 3% del 2019.

“Questo aumento dipende da vari fattori – riprende l’esperta dell’ISS – a cominciare dal fatto che l’indagine si riferisce al periodo pandemico: ciò significa che ci sono stati dei motivi per i quali i cittadini hanno preferito auto prescriversi l’antibiotico: il lockdown, le varie restrizioni, la paura di contagiarsi anche negli ambulatori medici. Il problema dell’automedicazione esiste da molti anni e dipende da vari fattori, in primis culturali e sociali: la mancanza di tempo dovuta a problemi di lavoro o di famiglia, oppure ci si informa sul web e si pensa che internet sia il medico virtuale che ci possa aiutare in quel momento, ma questo è un modo sbagliato di approcciarsi perché bisogna consultare il medico, solo lui sa bene cosa sia necessario per noi. Che non è necessariamente un antibiotico”.

L’approccio One Health

La nostra salute è strettamente connessa a quella dell’ambiente in cui viviamo e a quella del mondo animale. Questo è l’assunto dell’approccio One Health, che vede nella cura della salute di tutti questi tre ambiti della vita terrestre la strada per il benessere collettivo. Un approccio come questo fa anche parte del PNCAR.

Ambito umano, veterinario e ambientale devono essere integrati per combattere il fenomeno

“Il PNCAR è in linea con le raccomandazioni internazionali – ribadisce Monaco – ed è stato predisposto anche in un’ottica di azioni multidisciplinari che prevede l’integrazione tra l’ambito umano e l’ambito veterinario. Adesso è stato anche introdotto l’ambiente, perché attraverso la multidisciplinarietà e il lavoro integrato in questi tre ambiti si riesce a combattere questo fenomeno che è largamente diffuso e che non è riservato soltanto all’ospedale, perché poi dall’ospedale il batterio resistente può passare alla comunità e viceversa”.

Che cosa aspettarsi nei prossimi anni

Secondo IQVIA, nonostante il calo nell’uso degli antibiotici in questi due anni di pandemia, nei prossimi anni l’uso degli antimicrobici tornerà a salire, forse non come i livelli pre pandemia.  “Spero che questo periodo rappresenti un momento di svolta – ha sottolineato la dottoressa Monciino –  è stato attivato un processo per attivare il PNCAR, attraverso una serie di progetti che vanno dalle linee guida alle analisi dei dati, per fornire degli strumenti ai medici prescrittori: queste azioni, coordinate insieme, possono portare a una svolta nell’utilizzo degli antibiotici anche perché se questo cambiamento non arriva, ci si troverà davvero con queste super infezioni ospedaliere e con la difficoltà a curarle, perché gli antibiotici nuovi sono costosi e pochi. Le super infezioni ospedaliere vengono al momento trattate, ma fino a quando il sistema potrà reggere in questo modo? Sarebbe quindi opportuno fare prevenzione per evitare il collasso del sistema in tutti gli ambiti”.

 

Bisognerà lavorare quindi sulla formazione degli operatori sanitari e dei medici, sull’analisi dei dati nell’uso di questi medicinali, su una stewardship antimicrobica multidisciplinare che monitori la somministrazione dell’antibiotico in tutto il percorso, dal letto alle dimissioni. Occorre soprattutto continuare a parlare di questi temi, perché oggi il numero di antimicrobici a disposizione si è esaurito, insieme alla nostra capacità di curare certe infezioni batteriche. Che sembra un paradosso visto che stiamo vivendo un periodo in cui in sei mesi si producono vaccini per un virus nuovo, ma non abbiamo gli strumenti per combattere batteri che conosciamo da tempo.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico