Sempre più spesso si parla di resistenza agli antibiotici, ancora poco dell’antimicotico resistenza, una sfida emergente che minaccia la salute globale. Questa resistenza, simile a quella batterica, si sviluppa quando i funghi sono esposti per lungo tempo ai farmaci antimicotici, rendendo le infezioni sempre più difficili da debellare.
Poca sperimentazione
Sviluppare farmaci anti-infettivi non è remunerativo. Ciò ha portato molte Big Pharma ad abbandonare questo settore, nonostante l’importanza che riveste
Nel 2022, l’OMS ha stilato un rapporto che elenca i 19 patogeni fungini più pericolosi per l’uomo e i motivi del loro rischio crescente. Si rileva come i funghi stiano diventando sempre più resistenti alle uniche tre classi di farmaci antimicotici disponibili e sono ancora poche le nuove molecole in fase di sperimentazione.
Il riscaldamento globale
Il riscaldamento globale non aiuta e sta favorendo la diffusione delle malattie fungine che, però, fanno meno clamore rispetto a quelle batteriche e i dati epidemiologici ancora scarseggiano. La new entry tra i funghi patogeni è la Candida auris i cui casi di infezione/colonizzazione continuano ad aumentare rapidamente in molti Paesi.
Dati in aumento
Negli Stati Uniti, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) riportano circa 1.400 casi di Candida auris tra il 2013 e il 2021 e circa 4.000 casi di colonizzazione identificati con attività di screening specifico fino al febbraio 2022.
Sono solo alcuni dei dati dell’Aggiornamento della situazione epidemiologica e delle indicazioni relative ai casi di Candida auris 2023 del Ministero della Salute.
Il 40% di decessi
In Italia tra luglio 2019 e dicembre 2022 sono stati notificati al Ministero 361 casi di infezione/colonizzazione (età media circa 64) da 17 strutture sanitarie in quattro regioni (Liguria, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto), di cui almeno 146 (40%) deceduti. Oltre il 90% dei casi erano colonizzati, almeno la metà presentava comorbidità e almeno un terzo era SARS-CoV-2 positivo.
Fanno il punto della situazione con TrendSanità, Maurizio Sanguinetti, professore di Microbiologia e Direttore del Dipartimento di Scienze di laboratorio ed ematologiche della Fondazione Policlinico Gemelli – Università Cattolica del S. Cuore, e Paolo Antonio Grossi, professore ordinario di Malattie infettive, Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi dell’Insubria, Direttore della Clinica delle Malattie infettive e tropicali e del Dipartimento clinico e di ricerca delle Malattie infettive presso ASST-Sette Laghi.
Che differenza c’è tra la farmaco-resistenza dei funghi e quella dei batteri?
«Sul fronte dell’importanza percentuale, anche se la resistenza nei funghi sta crescendo significativamente, quella nei batteri rimane numericamente più rilevante − risponde Sanguinetti –. C’è anche un aspetto biologico: abbiamo pochi farmaci antifungini a disposizione, solo tre classi principali con una dozzina di molecole. Quindi, se i funghi diventano resistenti, i problemi aumentano, perché non ci sono molte alternative. I batteri e i funghi sono organismi molto diversi: nei batteri, la resistenza è spesso mediata dai plasmidi, che si possono spostare velocemente da un microrganismo all’altro, facilitando una rapida diffusione. I funghi, invece, non hanno plasmidi, quindi ogni microrganismo deve sviluppare la resistenza autonomamente. Ciò comporta una maggiore “lentezza” nella genesi della resistenza. C’è un però: molti funghi, non tutti, vivono nell’ambiente e non sono strettamente patogeni umani, ma riguardano il mondo vegetale e l’agricoltura. L’uso degli azoli, una delle tre classi di antifungini, ampiamente utilizzati per combattere le infezioni nelle piante, ad esempio, ha determinato nell’ambiente la resistenza di funghi patogeni per l’uomo come l’Aspergillus fumigatus».
Aggiunge Grossi: «In Paesi come l’Olanda, l’uso massiccio di fungicidi per colture importanti ha portato a tassi di resistenza molto alti. Anche in Italia, circa il 12% dei casi di aspergillosi sono resistenti agli azoli».
«Una volta che la resistenza si è indotta, si è “fissata”, non si torna indietro – replica Sanguinetti –. Il microorganismo non ridiventa sensibile e anche l’ipotesi che acquisendo resistenza perda qualcosa, è stata sconfessata negli ultimi anni. Si è visto che i microrganismi mettono in atto dei sistemi di compensazione a livello genomico che conservano la loro patogenicità».
«La farmaco-resistenza, che si tratti di funghi, batteri o virus, riguarda l’insensibilità dei patogeni ai farmaci usati per eliminarli − conferma Grossi –. Esistono vari livelli di resistenza: la resistenza multipla, quando il microrganismo è resistente a più di tre classi di antimicrobici; quella estesa, quando solo due classi di farmaci rimangono attive; la pan-resistenza, quando nessun farmaco disponibile è efficace. Quindi, indipendentemente dal tipo di microrganismo, se questo non risponde ai farmaci, si parla di resistenza».
Perché ci sono ancora così pochi farmaci antimicotici in sperimentazione?
«La terapia antimicotica ha perso attrattiva per le grandi aziende farmaceutiche, che preferiscono investire in terapie più redditizie come antidiabetici, antipertensivi e farmaci oncologici – risponde Grossi –. Sviluppare farmaci anti-infettivi non è remunerativo. Ciò ha portato molte Big Pharma ad abbandonare questo settore, nonostante l’importanza che riveste. La crescente resistenza di funghi e batteri ai farmaci è un serio problema di salute globale, soprattutto negli ospedali, dove le misure di prevenzione e controllo delle infezioni non sono applicate sempre con efficacia. Ma l’aspetto più rilevante è l’uso inappropriato degli antibiotici, sia in ambito ospedaliero che comunitario. Si stima che almeno il 50% delle prescrizioni antibiotiche in ospedale e nella medicina territoriale siano inappropriate. Tale uso eccessivo e scorretto dei farmaci esercita una pressione selettiva sui microrganismi che riescono a sviluppare rapidamente meccanismi di resistenza. Il loro obiettivo è sopravvivere, quindi mettono in campo tutte le misure di cui dispongono. Serve pertanto un uso oculato dei farmaci, soprattutto negli ospedali. Gli specialisti in infettivologia dovrebbero essere più coinvolti nella prescrizione degli antibiotici, ma purtroppo non è così. Ognuno si sente competente nella prescrizione. È necessario, invece, migliorare la formazione dei medici sull’uso opportuno degli antibiotici».
«Inoltre – aggiunge Sanguinetti – i funghi sono eucarioti, quindi è difficile trovare bersagli selettivi. Negli ultimi anni, però, abbiamo quattro nuovi farmaci in fase di sperimentazione, tre dei quali con meccanismi d’azione nuovi. Questo è un segnale positivo dopo decenni senza nuovi antifungini. Tuttavia, la scarsità di molecole antifungine è dovuta alla complessità nel colpire solo il fungo e non l’organismo umano, a differenza dei batteri che sono cellule molto più semplici».
Caso Candida auris e riscaldamento globale: c’è da preoccuparsi?
«La Candida auris è una new entry tra i patogeni – ci dice Sanguinetti. Questo lievito sopravvive molto bene nell’ambiente, il che è inusuale per un lievito. Una volta entrato in un ospedale, è difficile da eradicare. È anche più resistente ai disinfettanti rispetto ad altri funghi. Una teoria affascinante, proposta da Arturo Casadevall, suggerisce che il riscaldamento globale, in particolare dell’ambiente in cui vive questo lievito, cioè le paludi, potrebbe aver selezionato ceppi di Candida auris in grado di crescere a temperature più elevate. In questo modo sono diventati patogeni anche per gli esseri umani. Una delle difese del nostro organismo nei confronti dei funghi è proprio la temperatura corporea costante. I funghi crescono tipicamente a temperature basse, intorno ai 25-35°. Molti miceti potenzialmente patogeni non possono causarci malattie, proprio perché non crescono a 37°, che è la nostra temperatura corporea. Tuttavia, sono stati identificati cinque gruppi di funghi che hanno sviluppato la capacità di crescere a temperature più alte, diventando termo-tolleranti e quindi patogeni per noi. Questi funghi, adattandosi a sopravvivere in ambienti competitivi, hanno mantenuto le caratteristiche di resistenza che altri funghi non hanno. Studi recenti hanno mostrato che una percentuale significativa dei ceppi isolati, tra il 30% e il 40%, è resistente a due delle tre classi di farmaci antifungini disponibili. In alcune casistiche, il 10% dei ceppi è resistente a tutte e tre le classi di farmaci, il che rappresenta un problema non indifferente. Serve un monitoraggio costante e uno screening delle persone colonizzate da Candida auris. Non tutti sviluppano un’infezione grave, ma la mortalità legata a queste infezioni può raggiungere il 30-50%, specialmente tra gli individui più sensibili, come quelli ospedalizzati. Perché la nostra difesa più importante per le infezioni fungine è l’immunità innata. Sono numeri che meritano attenzione».
«Non si può dire che ci sia un allarme in Italia, – aggiunge Grossi –. I dati dell’ISS però riportano almeno 361 casi noti tra il 2019 e il 2022. A fine 2022, solo presso l’ospedale San Martino di Genova, si sono registrati diversi casi di Candida auris. La sua capacità di diffondersi molto rapidamente, una caratteristica che non è comune ad altre specie di Candida, non è purtroppo contrastata da misure adeguate di prevenzione della trasmissione dell’infezione, quindi può colpire decine o centinaia di pazienti. È un allarme sommerso di cui si parla poco perché, quando la Candida auris entra in un ospedale, può innescare delle vere e proprie epidemie interne, aggravando il quadro clinico di molti pazienti».
Sarà mai possibile avere antibiotici definitivi contro le infezioni fungine?
«Purtroppo, – ci dice Sanguinetti – è improbabile avere farmaci antimicrobici che non inducano resistenza. La miglior strategia è monitorare, diagnosticare e trattare appropriatamente le infezioni, evitando terapie fai-da-te e non basate su diagnosi precise. Anche se ci sono nuovi farmaci promettenti in arrivo, è essenziale gestire attentamente le terapie per prevenire lo sviluppo della resistenza».