Sono più di 60mila le presenze nelle nostre carceri, a fronte di una capienza ufficiale di poco più di 51mila posti. Le donne presenti nelle carceri italiane sono il 4,4 % e gli stranieri costituiscono il 31,3 % della popolazione carceraria. Crescono le presenze in carcere rispetto all’anno precedente e crescono anche i suicidi. Il disagio psichico è uno delle problematiche più segnalate. Le diagnosi psichiatriche gravi, nel corso dell’ultimo anno, sono cresciute: nel 2024 il 12% delle persone detenute ne soffre (quasi 6mila), a fronte di una percentuale del 10% relativa al 2023. Già solo questi dati, tratti dal ventesimo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, illustrano la situazione drammatica delle nostre prigioni.
E poi ci sono le colonie penali, come quelle della Sardegna. Mamone è una delle tre colonie penali in Sardegna, definito carcere riabilitativo, all’aperto, dove le persone ristrette, perlopiù con sentenze definitive, lavorano, fanno agricoltura, allevano bestiame e producono formaggi. Tuttavia, la peculiarità del luogo è l’estremo isolamento. Infatti, Mamone dista 45 minuti di auto dal primo Comune vicino e ad un’ora e mezza dal capoluogo.
Erogare servizi sanitari da remoto in una realtà penitenziaria
«L’esperienza delle visite nel metaverso nasce da un’esigenza e, come spesso accade, quando non si hanno soluzioni a problemi organizzativi diventa necessario inventarsi qualcosa». Lo racconta a TrendSanità Paolo Cannas, Direttore Generale dell’ASL3 Nuoro e Presidente Federsanità ANCI Regione Sardegna.
«L’Azienda Asl di Nuoro ha in carico la gestione delle carceri Mamone e Badu e’ Carrus. Presso quest’ultima è presente anche la sezione di carcere speciale 41-bis. Entrambe si trovano in territori isolati e ad entrambi i luoghi di detenzione dobbiamo dare risposte sanitarie. L’Azienda ASL di Nuoro ha emesso bandi per i medici, tuttavia come spesso accade ultimamente, vanno deserti, e la difficoltà a garantire il diritto alla salute per le persone presenti nelle colonie penali diventa assai difficoltoso».
In seguito ad un’indagine svolta dentro le due carceri in carico all’Azienda è emerso che il 50% delle problematiche sanitarie risultano essere di carattere psichiatrico o di tossicodipendenza. Tali problematiche possono dar luogo a visite con il solo colloquio dello specialista psichiatra o psicologo. Prosegue Cannas: «Con il Progetto Metaverso abbiamo quindi pensato di ricreare un’ambiente clinico, sicuro per il contesto, dove le persone ristrette potessero fare delle visite abbattendo le liste d’attesa. E devo dire che il progetto, per ora ancora in fase sperimentale e primo in Italia, è piaciuto molto alle persone ristrette e anche agli specialisti, i quali hanno il vantaggio di non spostarsi, tenendo presente che Mamone dista un’ora e mezza di auto dal centro di Nuoro. Così come non è agevole anche spostare il detenuto e non è nemmeno sostenibile. Per il 41-bis diventa oltreché più difficile e con criteri di sicurezza che devono essere rispettati e che incidono pesantemente sui costi. Il nostro progetto Metaverso è costato, in tutto, circa 16mila euro, a fronte dei costi logistici normali di spostamento dei detenuti. Sono sufficienti una ventina di televisite con il metaverso ed andremmo a pareggiare i conti».
L’esperienza delle visite nel metaverso nasce da un’esigenza e, come spesso accade, quando non si hanno soluzioni a problemi organizzativi diventa necessario inventarsi qualcosa
La sperimentazione di questo tipo di telemedicina è partita a maggio, con le prime persone ristrette visitate in un ambulatorio virtuale, ma lo stesso progetto l’Azienda ASL di Nuoro, grazie ai fondi del PNRR ha intenzione di portarlo anche nei territori interni della Sardegna, nei paesini con poche migliaia di abitanti, che, spesso raggiungono con difficoltà gli specialisti. Conclude Cannas: «In questo momento il paziente carcerato è un paziente fragile e questo tipo di iniziativa, secondo me, non risolve tutto, ma dà un ottimo contributo. Se dimostrassimo che il progetto del Metaverso in carcere funziona e che è anche sostenibile economicamente potrebbe diventare una risposta sanitaria importante».
Il progetto Metaverso è frutto della collaborazione tra l’Azienda Asl3 di Nuoro, la casa di reclusione di Mamone, lo spin-off accademico Chain Factory dell’Università di Cagliari, Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali e State1, società operante nel settore del Metaverso.
La digitalizzazione aiuta a recuperare le visite perse per la pandemia
«In un’epoca in cui la digitalizzazione si sta faticosamente affacciando nell’ambito sanitario, sarebbe particolarmente richiesta in questo periodo post-Covid, per gli aspetti che riguardano soprattutto il recupero delle visite e dei contatti che sono stati persi nel periodo della pandemia». Lo sottolinea Roberto Ranieri, Direttore Struttura Complessa Direzione ASST Santi Paolo e Carlo, Milano e Coordinatore carceri Lombardia. «Il bisogno – continua Ranieri – è particolarmente sentito negli istituti penitenziari, laddove queste difficoltà sono state amplificate anche dagli ostacoli di comunicazione e dal fatto che non molto e non sempre l’attività sanitaria penitenziaria viene affiancata, almeno in modo equivalente a quella dell’attività pubblica».
Nel caso degli istituti penitenziari, l’esperienza dell’epidemia di SARS-COV-2, con la sua particolarità, ha segnato un punto di svolta: «La situazione, da negativa si è paradossalmente trasformata in un aspetto positivo. Le Linee guida nazionali e internazionali sulla telemedicina la mettono in evidenza come setting particolarmente opportuno per gli istituti penitenziari, per cui, anche questa iniziativa dell’ASL di Nuoro la trovo particolarmente efficace, perché riflette la possibilità di eseguire vari contatti sanitari con l’esterno senza richiedere necessariamente la presenza del detenuto all’esterno. Tale situazione favorisce sia l’aspetto sanitario, sia quello penitenziario, perché il detenuto, molto spesso, non è soltanto afflitto da problemi di salute, ma può presentare uno stato di restrizione con particolari caratteristiche, come ad esempio la detenzione di alta sicurezza 41-bis, che rende ancora più difficile e ancora più complesso il collegamento con l’esterno».
«Tuttavia – ricorda Ranieri – si deve evitare che il primo contatto con il detenuto possa avvenire soltanto in modo virtuale, in quanto è molto importante il contatto fisico, il contatto personale; anche per guadagnare la fiducia da parte della persona che, come sempre succede da parte di popolazioni fragili, ha necessità di sentirsi presa in carico direttamente».
Le innovazioni in sanità possono minimizzare i rischi garantendo qualità e umanizzazione delle cure anche per le persone detenute
In ogni caso, le nostre carceri, letteralmente, scoppiano e diventa sempre più necessario intervenire per garantire l’equità di accesso alle cure. Le innovazioni in sanità, come l’esperienza del Metaverso in carcere, possono fare da “rompighiaccio”, minimizzando i rischi e garantendo qualità e umanizzazione di cura anche per le persone che, di fatto, anche se ristrette non perdono il diritto alla cura.
Immagine di copertina: @Asl Nuoro