Può la modifica dei comportamenti delle persone avere un impatto sulla gestione sanitaria e di conseguenza sulla salute? Secondo il marketing comportamentale sì, a patto di affidarsi a un background solido.
La “bibbia” italiana sull’argomento è Healthcare Marketing, a cura di Lucio Corsaro (Egea Editore). In meno di 300 pagine viene sintetizzato un approccio anglosassone ancora poco conosciuto in Italia che permette di identificare e risolvere problemi sanitari attraverso la modifica dei comportamenti delle persone.
«Un esempio che può sembrare banale riguarda i criteri in base ai quali un medico prescrive dei farmaci o effettua una diagnosi. Nell’ambito delle malattie rare spesso assistiamo a un ritardo diagnostico perché il camice bianco si è convinto che una sua ipotesi corrisponda alla realtà e persegue su quella strada, ignorando gli elementi che la contraddicono», spiega a TrendSanità Corsaro.
Inoltre, nonostante si parli almeno da 20 anni di personalizzazione delle cure, «la sanità si basa ancora per la stragrande maggioranza su una concezione taylorista – afferma Corsaro -. Gli stessi PDTA, per esempio, non sono costruiti attorno al paziente, ma elencano una serie di azioni e attività da intraprendere». Questo modo potrebbe non essere il più efficace: «Occorre considerare delle altre variabili: se ho una persona con una patologia seria, per esempio il morbo di Crohn, che però è anche un genitore di persona disabile, devo saperlo. Questa persona metterà sempre se stessa in secondo piano e il figlio avrà la priorità. Se vuole aumentare l’appropriatezza terapeutica, il SSN deve conoscere anche questi elementi».
La letteratura di riferimento
Il framework costruito da Corsaro, oggi a capo di un’azienda che si occupa proprio di marketing comportamentale applicato alla salute, è composto a partire dalla letteratura internazionale.
Sono tre i pilastri principali su cui si basa il costrutto teorico:
- Le teorie di Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia 2002, sul fatto che il nostro cervello funzioni seguendo due sistemi, uno più automatico e un altro più consapevole. Di fronte a uno stimolo, ciascuno di noi mette in atto una risposta più o meno automatica. Capire come le organizzazioni e le persone inquadrano lo stimolo che ricevono è importante per correggere i comportamenti (le risposte allo stimolo);
- I concetti di Job To Be Done e di Gain e Pain: qual è il lavoro che le persone compiono e come percepiscono il meccanismo di fatica/gratifica? «Questo diventa importante quando si pongono gli obiettivi di un’organizzazione – spiega Corsaro -. Se per esempio all’interno di un ospedale i medici che fanno attività ambulatoriale hanno dei target di visita di almeno 20 persone al giorno, diventa difficile fare counseling e avere empatia verso il paziente perché il loro lavoro viene misurato solo in funzione del numero di visite effettuate». O ancora: durante una visita ambulatoriale il medico deve inquadrare il paziente e contemporaneamente espletare tutta una serie di attività burocratiche al computer. «Inserire i dati al pc significa non guardare il paziente. Per lui quindi potrebbe essere un Gain avere delle soluzioni, come ad esempio l’intelligenza artificiale per ridurre i tempi di esecuzione di quell’attività burocratica, magari automatizzandola con un’app conversazionale in modo che il medico possa dedicare più tempo e più attenzione al paziente».
- Secondo un modello dell’UCL (l’University College of London), infine, affinché persone e organizzazioni facciano certe cose, ci devono essere tre elementi:
- l’opportunità;
- la motivazione;
- la capacità
«I cambiamenti nella sanità avvengono molto lentamente perché ci sono una serie di blocchi sia comportamentali (bias cognitivi) sia organizzativi. Noi studiamo queste situazioni per fornire suggerimenti a ospedale, istituzioni, aziende farmaceutiche su come migliorare questi aspetti».
Le unità comportamentali
Oltre alle soluzioni personalizzate, Corsaro e gli altri autori del volume parlano di alcune azioni generiche e a costo zero, che potrebbero migliorare la fruibilità dei servizi.
Oltre alla già citata analisi del contesto del paziente, ci sono alcuni suggerimenti legati alle liste d’attesa. «Nel tempo che intercorre tra quando una persona prenota e quando ha la visita, normalmente passano alcuni mesi. In questo periodo il 7% delle persone muore e nessuno disdice l’appuntamento – rileva Lucio Corsaro -. Basterebbe inserire questo reminder nel protocollo del medico che deve constatare la morte e che, tra le attività da espletare, ricordi ai familiari di cancellare le visite prenotate».
Una cosa analoga succede quando una persona anziana viene ricoverata in ospedale: «Sia in Pronto soccorso che in reparto il paziente viene interrogato sui farmaci assunti e sulle patologie di cui soffre, ma non sulle visite da annullare. Si tratta di comportamenti banali, ma che attualmente non vengono attuati».
Il passaggio successivo sarebbe collegare i Cup con il registro decessi, «in modo analogo a come succede in tante Regioni con la motorizzazione: quando una persona muore, la sua patente non è più valida, senza che nessuno debba effettuare una comunicazione».
Sebbene l’OMS abbia raccomandato di avere delle unità comportamentali quando si devono prendere delle decisioni per migliorare la sanità, in Italia istituzioni e strutture pubbliche non sono ancora molto attrezzate. «Esiste una Unità comportamentale in Toscana, che ha ottenuto risultati interessanti cambiando la lettera per il richiamo vaccinale ai medici». Sebbene i camici bianchi dovrebbero essere vaccinati almeno contro Covid e influenza, sono tra le categorie meno vaccinate. «A giugno e settembre tutte le Regioni inviano ai medici una lettera protocollata per avvisarli che è disponibile il vaccino per loro. La Toscana ha modificato graficamente questa lettera, sullo stile delle bollette della luce o dell’acqua, e ha cambiato lo storytelling: non ti vaccini per proteggere te stesso, ma i tuoi cari. Hanno registrato un aumento di medici vaccinati a costo zero».