Tempi certi delle procedure, stima reale dei fabbisogni, capacità di innovare e generare valore, disponibilità a collaborare con il privato e ruoli definiti per tutti gli attori del processo di acquisto, dal provveditore alla centrale di committenza, passando per farmacisti ospedalieri e clinici che devono entrare un po’ più nel merito degli acquisti. Si è parlato di tutto questo all’ultimo congresso FARE, Federazione delle Associazioni Regionali Economi e Provveditori della Sanità, tenutosi a Milano il 28 e 29 ottobre, durante il quale Salvatore Torrisi è stato confermato presidente per il secondo mandato, coadiuvato dai vice presidenti Adriano Leli e Maria Luigia Barone.
La valorizzazione del procurement sanitario e dei provveditori
Tra i partecipanti era palpabile la sensazione di avere assunto, proprio sulla spinta della pandemia che ha messo in luce le capacità di chi si occupa di acquisti in sanità, un ruolo diverso di fronte a cittadini e istituzioni.
“Noi provveditori siamo persone per bene fino a prova contraria – ha esordito Torrisi, senza mezzi termini – e grazie alla capacità e competenza che abbiamo saputo dimostrare durante il tempo della pandemia, e non solo, sarebbe ora di smetterla di etichettarci solo come soggetti la cui azione non è sempre limpida. Ora è giunto il tempo di riconoscere a questa categoria il valore costante della sua professionalità”.
Questo congresso FARE è stato diverso dal solito. “C’era molta voglia di ritrovarsi – ha detto Torrisi – ci sono nuove prospettive per noi, sono sotto gli occhi di tutti e sono felice perché in questa pandemia e nel modo con cui l’abbiamo gestita abbiamo ritrovato un certo orgoglio di categoria per la nostra attività. Abbiamo dimostrato come, nonostante a rispondere fosse una filiera degli acquisti resa a dir poco debole da una delocalizzazione e burocratizzazione spietata, si è riusciti a dare una risposta sanitaria economica, efficiente ed efficace anche in quei giorni”.
Va anche detto però che a seguito di queste buone pratiche che hanno permesso di reperire materiali spesso introvabili, sono poi seguiti i controlli che Torrisi stesso definisce “vecchia maniera” e che hanno di fatto paralizzato praticamente tutti gli uffici acquisti: “Impegnandoli a riempire fogli su fogli di mera burocrazia di cui si poteva fare certamente a meno, non fosse che per motivare il lavoro di chi era ed è restato sul campo di battaglia, sempre. Controlli, purtroppo, ancora basati sulla forma e non sulla sostanza”.
PNRR: un’occasione da non perdere
Con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza arriveranno diversi miliardi di euro per la sanità italiana, ma il timore palpabile, anche tra coloro che saranno chiamati in prima linea a spendere quei denari, è quello di non avere ancora le idee chiare su come questi soldi saranno spesi e, soprattutto, quali parametri siano stati presi in considerazione per decidere i vari investimenti nel procurement sanitario. Ha senso avere molti posti letto in più? Le nuove apparecchiature come sono state scelte? Quali stime sono state fatte?
Alla Tavola Rotonda intitolata “Visione e progettualità anche alla luce del recovery plan” si è parlato proprio di questo e nello specifico di innovazione, fabbisogni, competenze, normative e aspetti giuridici delle gare d’appalto, tutto in ottica PNRR. Per capire se il sistema è pronto ad accogliere una mole di investimenti in sanità che difficilmente si ripeterà.
Le centrali di committenza avranno un ruolo sempre maggiore per stimolare innovazione e il mercato oggi è sempre più attento anche all’impatto che le singole produzioni o servizi hanno sull’ambiente e sulla società.
“A livello di policy maker centrali, nazionali ed europei, questa sensibilità e attenzione verso l’impatto della sanità su società e ambiente esistono – ha affermato Veronica Vecchi, Professoressa della SDA Bocconi School of Management e moderatrice della Tavola Rotonda – ma questa tensione al cambiamento, a mano a mano che si scende a livello regionale e aziendale, si perde. Queste dovrebbero essere le mission delle aziende sanitarie ma purtroppo ancora ci si focalizza sul value for money, invece che puntare a una governance collaborativa: perché la pubblica amministratore non può essere la sola ad agire, ma deve saper coordinare i vari attori, anche privati, per raggiungere questi obiettivi”.
La PA non può fare tutto da sola
Angelo Aliquò, direttore generale ASP Ragusa, ha parlato della necessità di saper valutare in modo concreto i fabbisogni: “Noi per tanti anni abbiamo fatto i ragionieri della sanità, guardavamo solo i conti, senza pensare che tutto quello che dovevamo acquistare serviva a mantenere la più grande opera pubblica mai pensata. Il sistema degli acquisti va ammodernato e io sono anche d’accordo a collaborare con il privato, basta che non sia visto come un’alternativa a Consip. Devono essere collaborazioni che portano valore aggiunto. La sinergia con il privato serve al pubblico per vedere ciò che non riesce a vedere. Perché il pubblico ha delle sue incapacità. Dobbiamo essere obiettivi ed essere capaci di affiancarci ai privati per soddisfare i nostri fabbisogni. Questo per me è l’innovazione, coniugare le esigenze di tutti i partner”.
Il sistema degli acquisti va ammodernato e io sono anche d’accordo a collaborare con il privato, basta che non sia visto come un’alternativa a Consip
La Asp di Ragusa, come abbiamo già avuto modo di raccontare in una Live dedicata al procurement a cui ha partecipato il presidente Torrisi, sta lavorando a una partnership con il privato per la logistica del farmaco, un settore che né i provveditori né i farmacisti ospedalieri riescono a monitorare in modo efficiente e quindi anche la collaborazione del privato potrebbe aiutare.
“La divisione delle responsabilità tra pubblico e privato – ha sottolineato Aliquò – è qualcosa su cui lavorare, non tanto per definire solo responsabilità, ma soprattutto ruoli e interessi, nostri e del privato, per soddisfare insieme l’interesse sociale. Il metodo non è fare velocemente, ma lavorare con qualità”.
Per Ivo Locatelli, Senior Expert e team leader di Innovative Procurement presso la Commissione Europea, l’occasione del PNRR per gli acquisti sanitari targati EU è unica. “Il public procurement in Europa rappresenta il 14% del Pil – ha affermato l’esperto – Gli acquisti sanitari valgono 90 miliardi di euro, il NEXT Generation Eu è una opportunità rara per acquisire innovazione. Lo scorso giugno abbiamo pubblicato una nuova guidance su innovazione e acquisti sociali. Siamo in una fase particolare dell’economia e il public procurement non può non contribuire. Gli appalti non possono restare indietro. Ed è impossibile, oggi, non interloquire con il mercato. Nei rapporti con l’ecosistema dell’innovazione ci vuole co-creazione, perché il pubblico non dispone di tutte le capacità necessarie e il privato non intuisce sempre i bisogni di tutte le stazioni appaltanti”.
Determinare i fabbisogni, la vera sfida del procurement
Giovanni Pavesi, Direttore generale Welfare Regione Lombardia, ha esordito ringraziando prima di tutto la categoria dei provveditori: “Nessuno dice mai che uno dei problemi più grandi della pandemia è stato trovare e acquistare dispositivi di protezione in modo trasparente. Oltre a medici e infermieri quindi dovremmo ringraziare anche voi provveditori. Se c’è una cosa che l’eredità del Covid ci ha lasciato è la valorizzazione del vostro ruolo, e la centralità e l’importanza degli acquisti”.
Se c’è una cosa che l’eredità del Covid ci ha lasciato è la valorizzazione del ruolo dei provveditori, e la centralità e l’importanza degli acquisti
E su questi Pavesi fa un inciso, parlando della necessità di determinare in modo chiaro i fabbisogni delle aziende, una delle grandi sfide dell’approvvigionamento in sanità: “Conosciamo le procedure, i termini, ma non siamo ancora in grado di stabilire in modo concreto i fabbisogni. A me arrivano sempre numeri strani. Le nostre ASST devono darci il fabbisogno, il piano viene approvato annualmente e poi se ne discute in un tavolo tecnico con il Dg welfare, che comunque non entra nel merito della qualità dell’acquisto, deve solo capire se la richiesta sia congrua in termini di pianificazione. Ad esempio, ora chiedono tutti il robot. Io personalmente non lo darei a nessuno, per capirci. Noi in Regione lavoriamo con Aria, soggetto aggregatore, ma non possiamo delegare a lui i ragionamenti che dobbiamo fare noi come Dg welfare, le scelte politiche devono venire da noi. Aria nel 2020 ha fatto un centinaio di procedure, tre miliardi di fatturato. Di più non può fare. Ma io ho bisogno di sapere cosa Aria non può fare. Non possiamo avere soggetti aggregatori che non sanno dire di no. Ci vogliono tempi certi e fabbisogni chiari, occorre un tavolo che dia un’indicazione precisa di cosa si può fare, e un soggetto aggregatore che lavori nelle sue possibilità”.
E sulla capacità di acquistare innovazione, il Direttore Generale di Regione Lombardia rimarca: “La formazione qui è molto importante, occorre la capacità di andare oltre la gara”.
E in questo senso fa l’esempio dell’acquisto delle protesi ortopediche: non c’è un primario a cui vadano bene le protesi che poi vincono la gara. Non sono mai soddisfatti.
È importante che ci sia quindi un accreditamento dei fornitori per tipo di prodotto e per l’innovazione che possono offrire e il prezzo a cui la propongono. In questo modo si può lasciare più libertà negli acquisti.
Ma è anche vero, e questo è un fatto rimarcato anche dagli stessi provveditori, che i clinici e gli stessi farmacisti ospedalieri dovrebbero essere coinvolti maggiormente nella fase di acquisto, perché alla fine si comprano prodotti o servizi che servono prima di tutto ai medici e che, da ultimo, devono soddisfare i bisogni dei pazienti.
I clinici e gli stessi farmacisti ospedalieri dovrebbero essere coinvolti maggiormente nella fase di acquisto
Anche i termini delle procedure sono troppo lunghi e al congresso si è discusso sulla necessità di renderli più rapidi. Per realizzare oggi un ospedale ci vogliono cinque progetti: idea, pre-preliminare, preliminare, definitivo, esecutivo. E poi inizia il cantiere. Ma tra l’idea e il cantiere possono passare anni, con il risultato che, quando si inizia a posare la prima pietra, il progetto è già vecchio.
Chi saranno i provveditori del futuro?
Uno dei temi più discussi al congresso è stato quello della formazione dei futuri responsabili degli acquisti in sanità, un ruolo che non ha un curriculum predefinito e per il quale non esistono percorsi accademici dedicati. Nei prossimi anni andranno in pensione molti responsabili acquisti e non c’è esattamente la fila fuori dalle aziende sanitarie per prendere il loro posto.
“Non ci sono nuove leve pronte a impegnarsi per lavorare nella filiera degli acquisti della sanità anche perché, ancora oggi, non sono stati pensati corsi universitari specifici in grado di formare i nuovi professionisti degli acquisti – ha rimarcato Salvatore Torrisi – ma nelle selezioni per la ricerca di nuovo personale, tra i requisiti richiesti ai candidati provveditori, vi è ancora la necessità della conoscenza del diritto penale e di molte altre nozioni che nulla hanno a vedere con le specificità di management degli acquisti”.
Per Pavesi questa professione è anche poco appetibile: “L’area tecnica e amministrativa della pubblica amministrazione paga poco, purtroppo. In ogni caso occorre realizzare percorsi specifici di crescita e formazione, per far ritrovare a chi lavora in PA un senso di appartenenza. Anche perché chi lavora nel pubblico si fa un’esperienza straordinaria, è una palestra preziosa. Chi ha lavorato nella pubblica amministrazione, quando esce sul mercato, è molto richiesto”.
Torrisi, un nuovo mandato, con nuovi obiettivi
Per il neoconfermato presidente della FARE i prossimi anni saranno caratterizzati da momenti di formazione e aggiornamento degli iscritti, ma anche di diffusione della metodologia. E non solo.
“Dobbiamo lavorare su una maggiore collaborazione con le centrali di committenza e i soggetti aggregatori – ha detto Torrisi – perché non possono fare tutto da soli. Noi siamo sul campo, siamo in prima linea, dobbiamo far evolvere questa collaborazione e aiutarci, per evitare quel cortocircuito che a marzo del 2020 ha permesso a incompetenti di prendere decisioni importanti per gli approvvigionamenti sanitari”.
All’Università, si potrebbero offrire corsi di specializzazione per Giurisprudenza, Economia e commercio o Scienze Politiche
Il tema della formazione è sempre presente. Conclude Torrisi: “Siamo gli unici in Italia a occuparci di questo, ma lo facciamo per gli iscritti. Occorrerebbe avere anche un percorso esterno, per chi volesse intraprendere questa professione. All’Università, si potrebbero offrire corsi di specializzazione per Giurisprudenza, Economia e commercio o Scienze Politiche. Penso a un corso di specializzazione biennale focalizzato sugli approvvigionamenti nella Pubblica Amministrazione e che preveda un tirocinio pratico, perché non occorre solo conoscere le norme ma anche saper utilizzare in modo appropriato gli spazi di discrezionalità che si sono aperti nel settore degli acquisti”.