Così l’arte limita lo stress per gli operatori sanitari e previene il burnout

I medici, gli infermieri e in generale il personale di cura necessitano di sviluppare e aggiornare le proprie competenze e capacità per rispondere alle esigenze e alle sfide che l’ambiente in cui operano pone. Tale ambiente e l’attività purtroppo stimolano stress e burnout. Una risposta? L'arte

Prosegue la collaborazione con il Cultural Welfare Center (CCW) sulla base di un progetto comune di diffusione della conoscenza sul valore delle arti e della cultura per il benessere e la salute

 

Le arti si sono rivelate una risorsa importantissima per il benessere psicofisico: non ci sono più dubbi sul fatto che l’arte faccia bene alla salute.

Ma non è tutto. Le arti e in particolare le arti visive sono efficace strumento di apprendimento per il mondo medico-sanitario: dallo sviluppo della capacità di osservazione, al lavoro cooperativo, all’empatia, dalla gestione dell’imprevisto a quello dello stress. Le opere d’arte possono essere “luoghi” e “specchio” delle conoscenze da parte di chi li osserva. Per migliorare la relazione con il paziente e contrastare il burnout, si può mettere in campo il metodo VTS- Visual thinking strategies.

L’arte come strumento per l’apprendimento

L’approccio bio-psico-sociale alla salute richiede empatia. Non solo una dote innata, ma qualità che è possibile “allenare”, abilità per la vita come la definisce OMS (life skills), allenabile, che migliora non solo la relazione con i pazienti, ma la cooperazione nei team di cura. Le arti possono essere “luoghi” per accelerare processi di consapevolezza, esperienza e fioritura.

A partire dalla fine degli anni ’90, in particolare negli Stati Uniti, vengono introdotti corsi basati sulle arti visive nei curriculum accademici della formazione medica e infermieristica, partendo dallo sviluppo dell’osservazione efficace. La letteratura scientifica convalida gli esiti positivi di numerosi percorsi di ricerca pedagogici, tra i quali le Visual Thinking Strategies (VST), che stanno conoscendo una importante diffusione.

 

Il metodo sviluppato alla fine degli anni ottanta negli Stati Uniti, come strumento per il coinvolgimento dei visitatori di un museo, dalla psicologa cognitivista Abigail Housen in collaborazione con Philip Yenawine, allora direttore del Dipartimento educazione del MOMA, si concentra sulla creazione di significati estetici, ovvero sulle le strategie di pensiero che le persone usano per dare senso a elementi presenti in un’opera d’arte o in un’immagine. House e Yenawine hanno compreso le potenzialità che l’osservazione dell’opera d’arte può avere nello sviluppo di importanti competenze cognitive e conseguentemente progettato protocolli didattici che utilizzano la discussione di gruppo guidata da un facilitatore sull’osservazione di un’immagine artistica che aiuta le persone a guardare con attenzione, esprimere attivamente in parole le loro osservazioni e idee rispettando il pensiero degli altri.

La pratica, inizialmente sperimentata per coinvolgere i visitatori di un museo è stata progressivamente introdotta in ambito scolastico e nel settore della formazione medica e sanitaria

 

La pratica, inizialmente sperimentata per coinvolgere i visitatori di un museo è stata progressivamente introdotta in ambito scolastico e nel settore della formazione medica e sanitaria. L’attività si svolge in piccoli gruppi di 5–10 persone, considerati pari per conoscenze e cultura di base, di fronte ad un’opera d’arte. Un facilitatore esperto si avvarrà di sole 3 domande per condurre la discussione.

 

Dagli studi condotti sulle Visual Thinking Strategies correlate alla professione medica e sanitaria si rivela che l’esercizio può condurre a migliorare le capacità di:

  1. osservazione e ragionamento clinico, ovvero comprendere al meglio lo scenario clinico (paziente e contesto sociale);
  2. comunicazione, capacità fondamentale nel lavoro del medico e dell’infermiere e più in generale del professionista della salute, sia nella relazione con il paziente e i familiari, sia con i colleghi;
  3. incoraggiare il pensiero critico e il problem solving, che nella pratica clinica si traduce nella guida alla scelta della soluzione migliore per quel singolo paziente;
  4. esprimersi liberamente, importante soprattutto per gli studenti, in quanto migliora la qualità dell’apprendimento;
  5. migliorare la tolleranza dell’ambiguità, ovvero abitua alla diversità dell’individuo e alla individualità delle risposte alle cure;
  6. migliorare la capacità relazionale e quindi il lavoro di gruppo.

 

 

Una delle prime analogie si può riscontrare tra la modalità di discussione in piccoli gruppi che la VTS stimola di fronte ad un’opera d’arte e il giro visite o le riunioni organizzate dai team di cura durante le quali i medici presentano le loro riflessioni, ipotesi e diagnosi in merito allo stato di un paziente.

 

Altra competenza fondamentale per il medico e il personale di cura è l’empatia che potremmo definire la capacità di proiettare i sentimenti da noi agli altri e alle cose che percepiamo.

Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentale, in questo contesto, è stata la scoperta dei neuroni specchio da parte del gruppo di ricerca dell’Università di Parma, guidato dal Prof. Giacomo Rizzolatti. Si tratta di una particolare classe di cellule che si attivano sia quando una persona compie un’azione, sia quando la vede fare, permettendo in tal modo di capire quello che fanno o cosa provano gli altri.

È dunque un meccanismo fondamentale non solo per l’apprendimento mediante imitazione, ma anche per rendere partecipe l’osservatore delle emozioni altrui o meglio riconoscere lo stato dell’altro. È dunque il processo alla base del sentimento di empatia. È oggi ormai evidente come non si possa prescindere dall’occuparsi dell’intera persona per curare la sua malattia e dunque l’empatia è ritenuta essenziale per una buona relazione con il paziente. Anche per questo tipo di capacità l’opera d’arte può essere un valido strumento per comprendere la complessità della natura umana.

I corsi per studenti delle professioni di cura basati sull’osservazione dell’arte hanno dimostrato l’efficacia nella consapevolezza delle emozioni

I corsi per studenti delle professioni di cura basati sull’osservazione dell’arte hanno dimostrato l’efficacia nella consapevolezza delle emozioni. Un riferimento è il programma  del corso per gli studenti di medicina della Weill Cornell Medical College in collaborazione con The Frick Collection art museum di New York avviato 2001.

Il programma prevede l’esame dei ritratti del museo da parte degli studenti aiutati da esperti di arte e da medici, percorso utile non solo per migliorare la capacità di osservazione, ma anche per imparare a comprendere i diversi stati d’animo e le diverse emozioni dei volti sviluppando una maggiore consapevolezza emotiva. L’Università di Dallas ha raccolto informazioni sui molti corsi basati sulle arti per l’area medica e infermieristica degli Atenei americani indicando anche bibliografia utile e i programmi realizzati.

La tolleranza all’ambiguità

Una capacità il cui concetto è stato definito di recente è la tolleranza dell’ambiguità, ovvero il contrasto all’avversione dell’ambiguità, descritta come una caratteristica della personalità in cui le situazioni “nuove, complesse o insolubili” sono percepite come “fonti di minaccia”. Considerato che il settore della medicina e assistenza sanitaria è connaturato da novità, complessità e talvolta insolubilità, è estremamente importante capire come i clinici, e non solo, reagiscono a tali circostanze.

In generale, gli individui con elevata tolleranza all’ambiguità sono attratti o affascinati dall’ignoto. Al contrario, quelli con bassa tolleranza tendono a negare, evitare o minimizzare l’ambiguità e sperimentano uno stress significativo di fronte a essa. Nella pratica medica la bassa tolleranza di ambiguità è associata al modello biomedico invece che a una visione bio-psico-sociale della cura (Geller, 2013). Inoltre, l’aumento della intolleranza dell’ambiguità può essere associato allo stress (Iannello, 2017).

Il comfort con la tolleranza dell’ambiguità, per lo più associato all’accettazione di molteplici significati, dovrebbe essere una capacità del personale di cura

Il comfort con la tolleranza dell’ambiguità, per lo più associato all’accettazione di molteplici significati, dovrebbe essere una capacità del personale di cura, ma molti studi indicano che gli studenti di medicina o il personale sanitario si sentono a disagio con l’ambiguità.  La rappresentazione della realtà ambigua rappresentata in opere d’arte può essere utile, ad esempio, attivando osservazione e discussione con il metodo delle Visual Thinking Strategies, per imparare ad accettare l’ambiguità e a utilizzare strategie per poterla gestire.

Molti sono gli studi sull’apprendimento e l’attivazione di alcune aree cerebrali e non ultimi quelli collegati al funzionamento delle reti neurali a cui si può fare riferimento. La ricerca indica che l’apprendimento implica cambiamenti nelle connessioni che si stabiliscono tra neuroni e che l’insegnamento efficace influisce direttamente sul funzionamento del cervello, modificandone la connettività. L’attività didattica è importante per modulare e stimolare il funzionamento del sistema cognitivo al fine di migliorare la qualità dell’elaborazione dei significati che permette di aggiungere nuovi apprendimenti.

L’esperienza Italiana

Anche in Italia è iniziata la sperimentazione di questo tipo di attività e tra i centri che sviluppano queste proposte vi è il laboratorio di Arte e Medical Humanities della Facoltà di Farmacia e Medicina dell’Università La Sapienza di Roma.

La direzione del laboratorio coordina corsi di Arte per la formazione del Medico, dell’Infermiere e dell’operatore Sanitario e prosegue nell’ambito dello studio e della ricerca in questo settore. Tali corsi stanno acquisendo carattere curriculare e sono state effettuate ricerche per verificare il positivo impatto sullo sviluppo di competenze da parte dei partecipanti con risultati qualitativi e quantitativi positivi in linea con quelli presentati dalla letteratura internazionale del settore. Tali esperienze hanno condotto anche alla validazione di una griglia utile per misurare il miglioramento di alcune delle competenze che sono state illustrate dopo aver partecipato alle attività di discussione e produzione dell’arte proposte.

La sperimentazione in area medica è stata realizzata presso la Sapienza e presso l’Università de L’Aquila con gli studenti di medicina e delle professioni sanitarie, con team professionali presso l’Ospedale di Alessandria e presso l’Hospice casa di cura Pineta del Carso di Trieste, con risultati positivi anche in particolari condizioni come le attività organizzate a distanza con la condivisione delle immagini digitali di opere pittoriche nel periodo di pandemia.

 

Il risultato di tali esperienze è stato condiviso in congressi del settore o è in via di pubblicazione. A queste esperienze si aggiungono quelle con gli studenti delle scuole, gli insegnanti e pazienti con problemi neurologici o in psicoterapia, che confermano l’efficacia nello sviluppare competenze e capacità utili nel settore della cura e per migliorare lo stato di benessere come indicato dall’OMS in relazione all’importanza delle life skills.

In tutti i contesti sono stati somministrati questionari qualitativi che hanno registrato la valutazione e il punto di vista dei partecipanti in relazione alle attività proposte.

Gli studenti di medicina a cui si è chiesto un commento sulle attività a cui hanno partecipato hanno nella maggioranza delle affermazioni espresso soddisfazione considerando l’esperienza interessante e costruttiva, utile per la loro formazione. Hanno affermato di aver migliorato la loro competenza di osservazione e di averne compreso l’importanza per la competenza diagnostica e per la relazione con il paziente. Gli studenti di infermieristica hanno associato il processo attivato dalla pratica delle Visual Thinking Strategies a quello del Triage riconoscendo anche loro un valore importante collegato alla professione. Anche i Medici nel loro percorso di formazione specifica in medicina generale hanno dichiarato alla fine dell’esperienza di aver avuto maggiore consapevolezza circa la necessità di sviluppare empatia, migliorare l’osservazione e l’ascolto e prendersi tempo con il paziente e cercare aree di comfort per limitare lo stress.

 

Una esperienza interessante ha riguardato l’introduzione di queste attività nell’ambito di un Hospice, in particolare proponendo incontri ai quali hanno partecipato il team di cure palliative. I risultati ottenuti da una valutazione qualitativa da parte dei partecipanti ha permesso di considerare l’utilizzo del metodo un ottimo strumento per sviluppare una serie di abilità che dovrebbero appartenere a ogni operatore della salute, e ancor più a chi lavora nel tempo della finitudine. Inoltre la VTS si è dimostrata anche come modalità di eccellenza per definire dei momenti di astrazione dal “qui e ora” e produrre quel benessere psicofisico riconducibile alla creazione di una zona di comfort. Per questo gruppo e per il team in ambito ospedaliero è stato riscontrato dai partecipanti un impatto positivo sul lavoro di gruppo e sulla comunicazione con il paziente i familiari e il team interprofessionale. Tutti i partecipanti esprimono il desiderio di ripetere l’esperienza per la soddisfazione stimolata dall’attività.

La cosa importante da rilevare è che sono gli stessi operatori che dopo queste esperienze raggiungono la consapevolezza dei loro bisogni sia in termini di miglioramento delle competenze che in termini di necessità di limitare lo stress e migliorare il proprio benessere. Tutto questo viene rilevato dai commenti degli studenti ma anche dal primario o dall’operatore sanitario.

Le VTS nella riabilitazione neurologica

Le VTS e altre pratiche artistiche hanno ricadute sugli aspetti cognitivi e possono quindi essere utili anche nell’ambito della riabilitazione neurologica. Molte sono le esperienze che le istituzioni museali in collaborazione con centri di riabilitazione stanno realizzando come, ad esempio, quelle collegate ad alcune patologie neurovegetative come l’Alzheimer e la demenza. Il metodo delle VTS viene utilizzato in alcuni centri per la riabilitazione con risultati interessanti per il miglioramento cognitivo in lesioni celebrali. Un risultato particolarmente interessante è stato ottenuto con le attività realizzate nell’ambito di un progetto sperimentale per la verifica di possibili influenze delle arti visive nella modifica di settori dell’intelligenza emotiva con pazienti affette da Lupus Erimatoso (LES) presso il Dipartimento di Neuroscienze Umane dell’Università Sapienza di Roma con l’apporto del laboratorio di Arte e Medical Humanities.

L’applicazione del metodo VTS ha consentito di comprendere come questo possa aiutare a migliorare la capacità cognitiva nei pazienti, implementando il pensiero critico, il problem solving, promuovendo l’empatia, migliorando la tolleranza all’ambiguità e la capacità relazionale. I risultati hanno dimostrato quanto le attività con le arti visive possano contribuire a migliorare il quoziente di Intelligenza Emotiva e potenziare le capacità empatiche, di comprensione e interpretazione degli stati emotivi propri e degli interlocutori.

 

I risultati delle esperienze dimostrano come il metodo VTS appaia efficace non solo nel migliorare le competenze del personale medico-sanitario, guardiani e autori empatici di atto medico inteso come diagnosi e alleanza terapeutica, ma anche i pazienti possono beneficiarne nel combattere il fardello silenzioso dell’ansia, molto diffuso nel LES e come supporto terapeutico non farmacologico utile a migliorare la Quality of Life dei pazienti.

Gli ambienti museali possono essere considerati utili all’apprendimento e al benessere

I risultati di queste esperienze, anche attraverso studi di neuroscienze, fanno assumere al patrimonio culturale il ruolo di veicolo importante per stimolare le nostre capacità cognitive per l’apprendimento o per stimoli emozionali utili per modificare le attività delle nostre aree neurali utili a promuovere il nostro benessere psico-fisico. Non è un caso che in alcuni paesi (Stati Uniti, Canada, Inghilterra) l’esposizione e le attività con le arti siano indicate dai medici per la cura della persona e anche in altri paesi si inizia a promuovere l’idea di inserire queste attività nel processo di cura. Gli ambienti museali possono essere considerati utili all’apprendimento e al benessere e gli operatori possono costruire relazioni con i diversi settori della formazione e della salute per costruire team in grado di progettare modalità di fruizione utili.

Esistono già delle esperienze che possono essere un riferimento in questo settore come la presenza di centri di studio e di divulgazione di pratiche collegate alle arti utili alla promozione del benessere come il Cultural Welfare Center di Torino o il Gruppo di Cultura è Salute che sta realizzando un network digitale per la condivisione di esperienze tra i diversi attori che si occupano di proporre attività in questo settore. Esplorare i processi cognitivi e le emozioni dei visitatori di musei anche in spazi virtuali può essere utile per utilizzare al meglio il patrimonio culturale anche nel settore dell’apprendimento e della salute e di stimolo per ricerche dalla psicologia alle neuroscienze.

 

Proprio a partire da tali presupposti e dall’idea che si possa far riferimento a studi che riguardano il settore delle neuroscienze e dello sviluppo cognitivo per una migliore organizzazione museale e suggerire l’utilizzo degli spazi anche virtuali per l’apprendimento, il benessere e la cura, che un gruppo di Ricerca della Sapienza e della Duke University composto da ricercatori di diverse discipline hanno avviato una collaborazione con il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia proprio per tentare di rispondere ad alcuni quesiti riguardo l’impatto dell’esposizione a un artefatto in termini percettivi. Le esperienze estetiche sono malleabili: la realtà viene percepita differentemente in relazione al credo, alle idee politiche, alla scolarizzazione, agli interessi che abbiamo, alle intelligenze che utilizziamo, alle esperienze che abbiamo fatto, all’orientamento sessuale, all’età, alla nostra disponibilità cognitiva. È l’oggetto delle ricerche di Anjan Chatterjee, Professore di Neurologia della Pennsylvania, che è stato ospitato nell’ambito di questo progetto e che si occupa di studiare la reazione delle persone in base alla percezione “personale”.

 

Il progetto NeuroArtifact iniziato nel 2021 si è posto l’obiettivo di indagare e valutare l’impatto cognitivo dei dati archeologici (empirici e ricostruiti digitalmente) a diverse scale (sito e paesaggio) e attraverso la rilevazione di dati biomedici. Gli esperimenti in Museo e al laboratorio e con caschi virtuali sono stati sempre accompagnati dalla registrazione dell’elettroencefalogramma e del tracciamento delle pupille (eye-tracking), questo per comparare l’osservazione con stati emotivi, attenzione, curiosità e sforzo mentale. Partendo dalla considerazione che un artefatto può assumere diversi significati e quindi può essere uno strumento per raccontare storie diverse in relazione alla sua produzione, alla sua collocazione, al suo uso, al suo significato simbolico, al contesto nel quale è inserito e che lo stesso oggetto può essere percepito in modo diverso da ogni visitatore in base alle proprie conoscenze, competenze, sensibilità ci si è anche posto l’obiettivo di misurare la reazione neurale durante un approccio narrativo (applicazione del metodo VTS) per verificare quanto l’introduzione di alcune attività possano aiutare nello sviluppo cognitivo e nel coinvolgimento dei partecipanti.

Sono stati coinvolti partecipanti collegati alla scuola, a diverse discipline universitarie e al mondo del lavoro. I primi risultati danno indicazioni su reazioni diverse a livello di genere e di età e di cultura disciplinare. La cosa interessante è stata verificare che tutti si sentono bene davanti all’opera sia nello spazio museale che durante una percezione in virtuale seppure con diverse sfumature e questo ci dà una ulteriore indicazione su come tali attività possano promuovere il benessere. In quest’ottica una parte del progetto NeuroArtifact si è rivolta ai pazienti che necessitano di neuroriabilitazione, in particolare sono stati coinvolti alcuni di loro affetti da ictus cerebrale ricoverati presso l’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma. In relazione con precedenti studi e precedenti esperienze è stata fatta una prima sperimentazione. È stata data l’opportunità ai pazienti di visualizzare ed esplorare copie digitali di artefatti etruschi del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, partner del progetto, mediante l’utilizzo di un caschetto di realtà virtuale. I pazienti, una volta indossato il caschetto di realtà virtuale, hanno potuto ammirare in un ambiente virtuale che li estraniava dal contesto ospedaliero le ricostruzioni digitali 3D di alcune importanti opere.

I commenti dei pazienti sono stati entusiasti, avendo avuto l’opportunità di riempire la loro giornata ospedaliera con una visita, seppur virtuale, al museo

I commenti dei pazienti sono stati entusiasti, avendo avuto l’opportunità di riempire la loro giornata ospedaliera con una visita, seppur virtuale, al museo. Si sono inoltre registrati attraverso il sistema di eye tracking del caschetto di realtà virtuale, i movimenti oculari dei pazienti per poterli poi confrontare con quelli dei soggetti sani che hanno osservato le stesse opere nella stessa modalità virtuale. Altri progetti legati alle neuroscienze per valutare l’impatto sul benessere dell’esperienza di alcune attività che utilizzano le arti realizzate nei musei stanno iniziando a sperimentare in tale ambito come il progetto ASBA.

 

Da quanto introdotto e dalle esperienze presentate sembra essere sempre più necessario adottare delle politiche che, attraverso l’alleanza tra centri di ricerca, enti formativi, istituzioni culturali, istituzioni collegate alla salute, possano applicare metodi e strategie per utilizzare il patrimonio culturale e le discipline umanistiche e nuovi approcci utili alla formazione dei professionisti dell’ambito medico e sanitario e alla promozione del loro benessere. La consapevolezza dei curanti rispetto all’efficacia in termini di competenze e benessere dell’esposizione all’arte può essere utile per migliorare gli aspetti di diagnosi, cura e relazione con i pazienti ma può anche permettere la divulgazione delle buone pratiche esistenti a livello nazionale e internazionale per introdurre il patrimonio culturale come una dolce “pillola” per la cura.

Può interessarti

Vincenza Ferrara
Direttrice Laboratorio Arte e Medical Humanities Sapienza Università di Roma