Covid e scuola: un tema cruciale che torna d’attualità per il terzo anno dall’inizio della pandemia. La chiusura delle scuole è stato uno dei primi provvedimenti presi nel marzo 2020 dal governo italiano: da allora sono rimasti a casa, a fasi alterne, oltre 7 milioni di bambini e ragazzi. Con conseguenze che nel corso dei mesi sono state misurate e discusse. Se ne è parlato durante il webinar “Covid e scuola: cosa abbiamo scatenato? Impatto dell’epidemia e prospettive”, organizzato dall’Associazione Italiana di Epidemiologia (Aie). Dall’incontro, nato come momento di confronto e di promozione della costituzione di un gruppo di lavoro Aie “Covid a Scuola” che continui a occuparsi del tema, è emerso un messaggio univoco: non c’è alternativa alla scuola in presenza.
La scuola rappresenta il luogo principale non solo per apprendere ma anche per impostare traiettorie di vita sane
Come ha sottolineato Michele Marra dell’Ufficio Oms di Venezia per gli Investimenti in Salute e per lo Sviluppo, infatti, “la scuola rappresenta per tutti e soprattutto per le fasce più svantaggiate di studenti il principale luogo non solo per l’apprendimento di nozioni, ma anche per la creazione di competenze cognitive, relazionali e di socializzazione indispensabili per impostare traiettorie di vita sane. Per alcuni è il luogo dove trovare un pasto sano, fare attività fisica, il posto sicuro lontano dai conflitti familiari”.
Le conseguenze sull’apprendimento: un’emergenza educativa
Il direttore della Fondazione Agnelli Andrea Gavosto ha illustrato le conseguenze della chiusura delle scuole sugli studenti per quanto riguarda l’aspetto cognitivo: “Quanto è successo in questo terribile anno e mezzo nella scuola italiana era purtroppo in una certa misura prevedibile: l’impatto della chiusura e riapertura a singhiozzo è stato molto pesante, al punto tale da poter parlare sostanzialmente di una vera e propria emergenza educativa che forse non sempre l’opinione pubblica, almeno nel nostro Paese, ha colto nella sua assoluta gravità”.
L’Italia, ha rimarcato, è anche uno dei Paesi che hanno tenuto chiuse le scuole più a lungo. “Sono ormai una decina gli studi sull’argomento – ha affermato -. Il più importante è stato condotto su dati olandesi da tre ricercatori dell’Università di Oxford (Enzgell et al.), che sono riusciti a fotografare la situazione di 350 mila studenti prima e dopo la chiusura di otto settimane a partire da marzo del 2020. Va per altro sottolineato che l’Olanda ha un sistema scolastico molto avanzato, con un’abitudine già diffusa alla didattica online.
In Europa si stima la perdita di almeno il 20% dell’anno scolastico, per alcuni studenti anche del 55%
Da questi dati molto precisi si stima una perdita pari a circa il 20% di un anno scolastico: una costante che si ripete in moltissimi studi e purtroppo anche in Italia le cose sono andate più o meno così. L’ipotesi è quindi di una carenza equivalente a due mesi di scuola, ma per alcune categorie, ad esempio gli studenti con famiglie di origine sociale più debole, l’impatto è stato drammaticamente maggiore: fino al 55% più alto rispetto alla popolazione generale”.
Gavosto ha poi analizzato lo studio della National Foundation for Educational Research del Regno Unito sulle perdite nei primi anni scolastici: “Il livello di lettura degli alunni del secondo anno delle primarie è stato significativamente inferiore nell’autunno 2020 rispetto al campione standardizzato del 2017 e pari a circa due mesi di progresso. Stesso ritardo di due mesi si registra per la matematica. Il divario tra studenti svantaggiati e non, sia in lettura che in matematica, è di circa sette mesi”.
Il costo della perdita di capitale umano
È possibile calcolare quanto è costata la chiusura in Italia in termini di capitale umano. “La stima più recente dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sul tasso medio di rendimento dell’istruzione in Italia è dell’8,1% di reddito futuro per ogni anno aggiuntivo di scolarizzazione – ha spiegato Gavosto -. Se consideriamo una chiusura delle scuole di 37 settimane (92,5%) dell’anno scolastico, già ponderata per chi ha frequentato (primarie e prima media) e chi no, la perdita dei guadagni futuri sarà pari al 7,5% all’anno (ovvero il 92,5% del rendimento annuo di 8,1%) durante l’intero arco della vita lavorativa di uno studente. Possiamo stimare un minor rendimento annuo del capitale umano pari a 1.883 euro (ovvero il 7,5% del salario medio annuo di un lavoratore dipendente, che è pari a 25.110 euro). Ipotizzando una vita lavorativa di 45 anni e applicando un tasso di sconto del 2%, si ottiene un valore attuale dei mancati guadagni di 56.911 euro (226% di un salario medio annuo). Questo senza considerare alcun effetto di mitigazione della Dad: rappresenta quindi il limite superiore della perdita”.
A livello individuale si tratta di un costo significativo: una volta esteso ai 6,6 milioni di studenti italiani, la cifra diventa approssimativamente di 375 miliardi di euro, ovvero un po’ più del 20% del Pil 2019.
Che cosa dicono i numeri
Gavosto ha analizzato anche i dati delle prove Invalsi 2021: in Italia il 51% dei maturandi non raggiunge la soglia minima di competenze in matematica (un dato che si ritrova nelle diverse tappe della carriera scolastica). Nel 2019 era il 42%. In molte regioni del Sud, la percentuale sale oltre il 70%.
Inoltre, la Fondazione Agnelli ha condotto l’indagine “La Dad alle scuole superiori nell’anno scolastico 2020-21: una fotografia”. La rilevazione ha riguardato un campione rappresentativo di 123 scuole secondarie di II grado, statali e paritarie, in tutta Italia. In ogni istituto sono stati proposti questionari a studenti (del III e V anno), docenti e dirigenti scolastici, raccogliendo complessivamente le risposte di 105 dirigenti scolastici, 3.905 docenti, 11.154 studenti.
Il 91% degli studenti dichiara di avere trascorso tra le 5 e le 6 ore al giorno collegato in video per attività in sincrono, dato confermato da un’analoga percentuale di dirigenti scolastici, secondo i quali il monte ore non è cambiato o ha visto eventualmente una riduzione proporzionale in tutte le materie. Secondo i dirigenti scolastici, solo l’8% delle scuole ha operato una ristrutturazione significativa del quadro orario, con maggiore spazio alle materie fondamentali o caratterizzanti dell’indirizzo.
Se il quadro orario non è cambiato, lo stesso può dirsi per l’impianto didattico tradizionale, che è stato riproposto in Dad: uno dei fattori che, secondo Gavosto, hanno segnato in negativo questo periodo. In sostanza, cioè, la didattica non è stata ripensata in una versione online, ma le lezioni sono state di norma proposte esattamente come se si fossero svolte in presenza, seppur dietro uno schermo.
La didattica non è stata ripensata in versione Dad, e questo spesso si è rivelato poco efficace
Per quanto riguarda gli apprendimenti, la ricerca lo conferma con un dato che deve fare riflettere, soprattutto nella prospettiva di ciò che la scuola italiana dovrà impegnarsi a fare per recuperare quanto gli studenti hanno perduto in questi due anni. Se da un lato, infatti, 2 studenti su 3 affermano che i loro voti non sono cambiati rispetto a quelli che avrebbero ricevuto in presenza, dall’altro, alla domanda se in Dad hanno imparato di più o di meno, solo il 57% in media risponde di avere imparato all’incirca quanto avrebbe fatto a scuola. Questa percentuale cala ancora di più (46%) per gli studenti che non hanno grande fiducia nei propri mezzi e nelle proprie capacità di apprendimento (bassa percezione di autoefficacia). Sembra, dunque, che siano gli stessi studenti a pensare che la Dad abbia penalizzato in particolare chi tra loro aveva già fragilità dal punto di vista scolastico.
L’effetto della Dad sulla salute fisica di bambini e adolescenti
Simona Vecchi del Dipartimento di Epidemiologia (Dep) della Regione Lazio ha illustrato l’effetto delle misure di distanziamento sociale sulla salute fisica e sul benessere di bambini e adolescenti. L’esperta ha illustrato i risultati della revisione sistematica a cura del Dep Lazio, che ha messo a confronto i dati provenienti da studi molto eterogenei condotti in vari Paesi su giovani fino a vent’anni durante la prima ondata della pandemia.
Il primo aspetto analizzato è stato quello dei ricoveri ospedalieri per incidenti, infortuni e traumi: “Studi italiani hanno dimostrato un aumento di circa cinque volte, rispetto al periodo pre lockdown (marzo-aprile 2020 rispetto a marzo-aprile 2019), dei ricoveri per incidenti domestici”.
L’incremento degli incidenti domestici in lockdown e la particolare attenzione che va dedicata ai bambini in questo senso è dimostrato anche da una ricerca francese.
Vecchi si è poi soffermata sul ricorso alle cure e sull’assistenza per patologie preesistenti durante il primo lockdown. “Studi pre e post pandemia (Nastro 2020; Martinelli 2020), indicano una riduzione dei ricoveri per patologie infiammatorie intestinali, nonostante un peggioramento dei sintomi con riacutizzazione della malattia, e, per il 43,1% la preoccupazione dei genitori di proseguire con il trattamento immunosoppressivo durante il periodo pandemico. Il 7% ha sospeso autonomamente il trattamento immunosoppressivo e il 18,1% di farmaci biologici per infusione”.
Anche in bambini e ragazzi la cura delle patologie pregresse ha subito ritardi e interruzioni
Risultati coerenti con quelli di uno studio trasversale inglese di alta qualità (Darlington, 2020), secondo il quale il 70% dei genitori con figli malati di cancro ha ritenuto che durante la pandemia gli ospedali non fossero luoghi sicuri per il proprio bambino e il 2,3% dei genitori aveva ridotto o interrotto il trattamento chemioterapico.
Due studi di coorte di alta qualità, uno pakistano e uno inglese, hanno usato dati amministrativi per esaminare una eventuale variazione nei tassi di vaccinazione nei bambini. Il primo (Chandir, 2020) ha riscontrato una riduzione del 52,8% degli accessi giornalieri per la vaccinazione infantile a inizio lockdown, rispetto a una riduzione del 27,2% a fine lockdown. La ricerca inglese (McDonald, 2020) non ha dimostrato alcuna variazione per la somministrazione delle prime dosi di vaccino esavalente rispetto al 2019, a fronte di una riduzione del 24,2% nella prima vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia. Tuttavia, a metà lockdown, la copertura vaccinale era risultata addirittura superiore rispetto all’anno precedente.
Come sono cambiati gli stili di vita e il sonno
Tutti gli studi presi in considerazione dalla revisione sistematica prodotta dal Dep Lazio hanno riportato un aumento del tempo trascorso al tablet o altro schermo, sebbene non abbiano separato il tempo trascorso per l’apprendimento scolastico in Dad e quello di svago. I numeri di tre studi condotti in India, Spagna e Italia (studio trasversale alta qualità, Roy 2020; studio trasversale alta qualità López-Bueno 2020; studio pre e post media qualità, Pietrobelli 2020) hanno messo in luce che la durata media giornaliera del tempo trascorso allo schermo era aumentata dalle 2,9 ore fino a 5,1, con maggiori aumenti tra gli adolescenti e in bambini con preesistente obesità. Uno studio canadese e uno inglese hanno evidenziato che il tempo trascorso sui social media era più che raddoppiato (dal 31,9 al 77,2%) tra gli adolescenti e tra le ragazze (42% pre-pandemia, 55% lockdown) (Ellis 2020; Widnall 2020).
Diversi studi internazionali confermano il peggioramento dell’attività fisica e della qualità del sonno
Numerosi ricercatori si sono soffermati sul calo dell’attività fisica: mentre studi condotti in India, Scozia e Stati Uniti (Roy 2020; Watson 2020; Dunton 2020) lo individuano nel 36-47%, studi condotti in Spagna e in Italia (López-Bueno 2020; Pietrobelli 2020) segnalano una riduzione del livello di attività fisica del 52% come media giornaliera e fino al 64% (circa 2,3 ore la settimana) in bambini italiani affetti da obesità. Rimanendo in tema di stili di vita, le indagini condotte in India, Italia e Spagna hanno evidenziato un aumento del numero di pasti consumati giornalmente, passati da 4 a 5, e dei livelli complessivi di consumo, specie di cibo non salutare, con riduzione di frutta e verdura.
Venendo al sonno, uno studio italiano (Segre 2020) e uno scozzese suggeriscono che il 61% dei bambini in età prescolare e scolare (6-7 anni) ha riportato difficoltà ad addormentarsi e un sonno per lo più frammentato. Uno studio inglese e uno cinese (Falkingham 2020; Zhou 2020) hanno evidenziato che il 23-25% di giovani e adolescenti (16-24 anni) ha iniziato ad avere disturbi del sonno per timore e preoccupazioni; il 63,9% di adolescenti dormiva meno di 8 ore per notte.
Pandemia e salute mentale negli adolescenti
Il tema della salute mentale negli adolescenti durante la pandemia è stato trattato da Antonella Delle Fave, docente di Psicologia Generale dell’Università degli Studi di Milano, in un’ottica di criticità e risorse. Se da un lato le prime sono piuttosto note, le seconde non sono state infatti oggetto di studi.
Quanto alle conseguenze negative, alcuni esempi: il numero delle vite perdute per le conseguenze psicologiche, sociali ed economiche della pandemia e relative misure restrittive potrebbe sopravanzare il numero delle vite perdute a seguito dell’infezione (VanderWeele, 2020). La riduzione dell’attività fisica ha comportato ripercussioni negative sui comportamenti di salute dei cittadini, e in particolare degli studenti (dieta, sonno, affaticamento visivo) (López-Bueno 2020; Zenic 2020). Vari studi evidenziano sintomi ansiosi negli adolescenti, in relazione allo stress relazionale interno alla famiglia dovuto alle restrizioni e al confinamento.
Gli adolescenti hanno messo in campo risorse positive importanti e autonome, da valorizzare per il futuro
“Gli studenti in età adolescenziale rappresentano una categoria ad alto rischio per le problematiche di salute mentale in generale, fenomeno accentuato dalla pandemia – ha affermato -. Il passaggio obbligato alla Dad, avvenuto nonostante le risorse e competenze limitate, ha rappresentato un fattore di malessere per gli studenti, ma, allo stesso tempo, gli adolescenti hanno mostrato consapevolezza e corretta informazione sugli aspetti sociali e di salute della pandemia”.
Non solo, ha affermato Delle Fave: molti di loro hanno messo in campo delle risorse dandosi degli obiettivi, scoprendo nuovi hobby, aiutando i vicini a fare la spesa. Per questo, ha sottolineato la psicologa, per costruire interventi adeguati occorre bilanciare l’analisi del negativo e del patologico con quella del positivo: potrebbe essere questa la chiave per affrontare il futuro. Non partendo da zero, ma facendo tesoro di ricchezze che i giovani hanno già attivato da loro.