Cronicità e pandemia: come migliorare l’accesso alle terapie e garantire la prossimità?

La pandemia Covid-19 ha fatto emergere alcune inefficienze del setting di gestione corrente del paziente, spesso incentrato sull’ospedale. Diverse sono le sfide che si aprono per il SSN: come si può immaginare una nuova assistenza territoriale dei pazienti con patologie croniche? E quali cambiamenti sono auspicabili per il futuro, anche per l’accesso ai farmaci? Ne parliamo con Giuseppe Musumeci (Direttore S.C. Cardiologia, Ospedale Mauriziano, Torino) e con Massimo Medaglia (Direttore S.C. Farmacia, Ospedale Niguarda, Milano).

La pandemia Covid-19 ha fatto emergere alcune inefficienze del setting di gestione corrente del paziente, molto spesso incentrato sull’ospedale. Fra gli impatti più evidenti del sovraccarico degli ospedali si sono registrati il limitato accesso alle cure e alle terapie gestite in setting ospedaliero, oltre al drammatico peggioramento degli outcomes di salute per i pazienti con patologie croniche. Solo per citare un esempio, in ambito cardiovascolare il tasso di mortalità per infarto del miocardio è triplicato, mentre il numero di ricoveri, sempre per infarto del miocardio, risulta dimezzato nei primi mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente [De Rosa et al. Eur Heart J 2020; 41: 2083-8]. Tra le ipotesi alla base del peggioramento di questi outcomes di salute sono: il ritardo nell’accesso ai punti di emergenza urgenza, la paura dei cittadini nel recarsi in ospedale per visite di routine, l’abbandono delle terapie di prevenzione, la mancanza di percorsi di presa in carico che includano i territori e la perdita dei pazienti al follow-up.

Avvicinare dunque le cure, incluso il farmaco, al paziente e ridurre gli accessi non indispensabili in ospedale sono le parole chiave della nuova riorganizzazione dell’offerta sanitaria fra ospedale e territorio.

Nel Decreto Rilancio sono contenute alcune importanti novità che seguono questa direzione, come la possibilità per le Regioni di incrementare il ricorso alla Distribuzione Per Conto (DPC) e la previsione di una determina di AIFA per individuare un elenco di farmaci in A/PHT, soggetti a registro di monitoraggio, che per profilo di efficacia e sicurezza siano candidati ad una trasformazione in piano terapeutico e dunque alla possibilità di inclusione nelle liste della distribuzione per conto.

Diverse sono le sfide che si aprono per il SSN: dal punto di vista clinico, come si può immaginare una nuova assistenza territoriale dei pazienti con patologie croniche? Dal punto di vista delle istituzioni, come si può migliorare l’accesso alle terapie croniche per i pazienti che sono costretti a recarsi molte volte nel corso dell’anno in ospedale anche solo per attività amministrative di rinnovo delle prescrizioni o per il ritiro del farmaco, magari pensando ad un’evoluzione di piani terapeutici e registri di monitoraggio? Quale impegno, anche economico, può comportare il maggior ricorso alla DPC e chi deve farsene carico?

Ne parliamo con Giuseppe Musumeci (Direttore S.C. Cardiologia, Ospedale Mauriziano, Torino) e con Massimo Medaglia (Direttore S.C. Farmacia, Ospedale Niguarda, Milano).

Intervista a Giuseppe Musumeci

Direttore Struttura Complessa Cardiologia, Ospedale Mauriziano, Torino

La situazione è stata piuttosto critica soprattutto per i pazienti di area cardiologica. Nella sua esperienza, quali sono state le problematiche maggiori? E quali accorgimenti si potrebbero adottare in futuro, anche alla luce delle misure prese nella pandemia, per semplificare la gestione dei pazienti cardiologici?

Durante i mesi di lockdown, nella gestione dei pazienti cardiologici sono emerse tre problematiche. La prima è stata la riduzione degli accessi per eventi acuti. In altri termini i pazienti colpiti da infarto non si sono recati in ospedale perché avevano paura di infettarsi con il Covid. Le casistiche su questo tema sono ormai tante: le percentuali variano dal 20 al 40 per cento di riduzione degli accessi, e questo non perché si è ridotta l’incidenza dell’infarto, ma perché il paziente non si è recato in ospedale per paura. In realtà si tratta di una paura infondata perché erano previsti dei percorsi protetti: nella nostra realtà sono state messe a punto anche delle campagne di informazione per cercare di far tornare i pazienti e questo è successo, ma solo fino a un certo punto. Nei mesi di marzo-aprile c’è stata una notevole riduzione, e questo si è associato anche a un aumento di pazienti che sono arrivati tardivamente. Quindi, sono arrivati meno pazienti ma con una patologia più grave, pertanto la mortalità è pressoché raddoppiata.

A questa criticità nella gestione dei pazienti acuti, si è aggiunto il problema dei cosiddetti interventi programmati, che sono stati bloccati. L’attività di interventistica strutturale, ad esempio la sostituzione valvolare dell’aorta per via transcatetere o la sostituzione valvola mitrale per via transcatetere, è stata interrotta, e questo ha da un lato “gonfiato” le liste d’attesa e dall’altro sicuramente avremo perso dei pazienti che erano in attesa dell’intervento.

Il terzo tema è stato il blocco delle visite programmate: il follow up dei pazienti si è sostanzialmente fermato. Fortunatamente l’AIFA ha prolungato in automatico il rinnovo dei piani terapeutici e posticipato l’obbligo di compilazione delle schede di monitoraggio dei farmaci soggetti a registro, però ovviamente i pazienti che non sono stati visti nei mesi di marzo, aprile e inizio maggio è stato necessario recuperarli. Nella mia esperienza dell’Ospedale Mauriziano siamo riusciti a recuperarli tutti nel giro di un mese ma è stato un lavoro molto impegnativo che ha comportato, ad esempio, una grande concentrazione di risorse ed energie sull’ambulatorio e l’accorpamento delle prestazioni. Ma il tema critico rimane la mancanza di follow up, che allunga le liste d’attesa ma soprattutto mette a repentaglio i pazienti.

Il lockdown da avuto un forte impatto sui pazienti cardiologici, con riduzione degli accessi e aumento della mortalità

In prospettiva futura, il tema del rinnovo dei piani terapeutici e schede di monitoraggio è un tema molto significativo, per molte ragioni. I pazienti si sono ritrovati veramente in una situazione drammatica, specie i pazienti con prescrizione di farmaci con distribuzione mediante scheda dispensazione del registro di monitoraggio che comporta una distribuzione ospedaliera del farmaco. Per questi pazienti già in tempi normali la gestione della prescrizione è complessa, ma in epoca Covid la situazione è ancora più problematica.

Sui NAO c’è stata la nota 97 che ha ampliato ai medici di famiglia la possibilità di prescrivere questi farmaci e di rinnovare il piano terapeutico, per alcune delle indicazioni per cui sono approvati in Italia, e la situazione si è un po’ semplificata.

Anche se ci sono dei farmaci molto “vecchi”, che hanno più di 10 anni, la cui scheda di monitoraggio AIFA non è mai stata usata per monitorare gli eventi, quindi è di scarsa utilità, per cui a mio parere ne andrebbe semplificato l’iter di accesso.

Sarebbe auspicabile l’evoluzione di piani terapeutici e registri di monitoraggio in un’ottica di semplificazione

Su altri farmaci con prescrizione da parte degli specialisti, ad esempio gli inibitori di PCSK9, la situazione è ancora più complessa perché è difficile effettuare le visite in ospedale ed è anche difficile per i pazienti accedere agli ospedali per ritirare il farmaco, che è ancora in distribuzione ospedaliera e non tramite le farmacie territoriali. All’interno degli ospedali la sicurezza è garantita anche tramite i percorsi differenziati, ma gli accessi sono contingentati, i pazienti non possono essere accompagnati e si creano lunghe file agli ingressi. Una situazione particolarmente disagevole per pazienti cronici e cardiologici, che rientrano nella categoria dei pazienti fragili.

L’accesso dei pazienti a questa tipologia di farmaci è molto complesso, nonostante siano farmaci assolutamente maneggevoli e privi di effetti collaterali importanti. In mancanza di motivazioni cliniche forti per inserire questa tipologia di farmaci in piani terapeutici/schede di monitoraggio, rimane l’obiettivo di contenere i costi ma su questo aspetto è il medico specialista che deve prendersi la responsabilità della prescrizione appropriata, evitando al paziente di doversi sottoporre ad un complesso percorso di prescrizione e distribuzione del farmaco.

La prescrizione di questi farmaci è molto bassa, i cardiologi li stanno prescrivendo ad 1 paziente su 100 eleggibili, anche per questi problemi di gestione a carico del paziente.

Inoltre il registro di monitoraggio previsto per questi farmaci è già piuttosto restrittivo. E c’è una discrasia significativa: le linee guida europee dicono che il paziente a rischio cardiovascolare molto alto deve avere un valore di LDL < 55 mg/dL, mentre noi possiamo prescrivere questi farmaci solo se il valore di LDL è superiore a 100 mg/dL.

La telemedicina è stata utile ma servirà ancora tempo per introdurla come routine nella quotidianità

Per noi medici se venissero “leniti” questi piani terapeutici/schede di monitoraggio sarebbe un grande vantaggio. Facciamo un esempio: io sono riuscito a recuperare le visite pregresse anche perché, grazie al rinnovo automatico dei piani terapeutici, non ho più dovuto richiamare oltre una decina di pazienti a settimana che rinnovavano il piano terapeutico dei NAO e, grazie alla nota 97, ho potuto affidarli ai medici di famiglia. In questo modo sono state liberate risorse da dedicare ad altri pazienti, dando la possibilità, a chi lo necessita, di effettuare una prima visita cardiologica, questa sì di maggiore utilità.

Un’altra via sperimentata in questi mesi è la telemedicina. Come abbiamo visto, tutte le Regioni stanno predisponendo delibere ad hoc, ma il ricorso alla telemedicina non è semplice: non ci sono piattaforme già realizzate e funzionanti e non è chiaro il sistema di rimborso. Sarà ancora necessario del tempo prima che entri davvero nella routine della pratica clinica.

Pertanto, a mio parere, l’AIFA, oltre alla moratoria per il rinnovo automatico dei piani terapeutici, dovrebbe togliere alcune tipologie di farmaci dalla distribuzione ospedaliera obbligata dai registri di monitoraggio, per dare la possibilità alle Regioni di distribuire tali farmaci mediante il canale territoriale.

Intervista a Massimo Medaglia

Direttore Struttura Complessa Farmacia, Ospedale Niguarda, Milano

Dal punto di vista della farmacia ospedaliera, quali criticità sono emerse nella gestione dell’accesso alle terapie per i pazienti e quali cambiamenti potrebbero essere auspicabili per il futuro?

Nell’ottica di migliorare l’accesso alle terapie per i pazienti cronici, a mio avviso dobbiamo partire da un concetto: che al momento sono troppi i farmaci con distribuzione esclusivamente ospedaliera e con prescrizione a carico del solo specialista. Un tempo il farmaco nuovo, potenzialmente complesso e che pertanto richiedeva un attento monitoraggio, veniva giustamente registrato come farmaco esclusivamente ospedaliero (con le attuali classificazioni, in fascia H) ma, dopo un periodo di monitoraggio specifico, passava alla dispensazione territoriale (con le attuali classificazioni, in fascia A). Questo passaggio, per molte categorie terapeutiche, non è avvenuto, nonostante il loro uso sia ormai consolidato, così come il profilo di efficacia e sicurezza.

Oltre a ciò un altro ostacolo all’accesso riguarda il fatto che la prescrizione di questi farmaci è molto spesso riservata al solo medico specialista; un altro passo importante potrebbe essere quello di individuare nel tempo, in maniera costante, alcune categorie di farmaci che possano venire prescritti anche dal medico di medicina generale, e su questo AIFA si è già impegnata.

Secondo quanto riportato dagli specialisti, l’accesso più frequente all’ospedale da parte dei pazienti con patologie croniche non è dovuto alle visite di follow-up, che spesso i medici possono programmare con periodicità anche di 6 mesi, ma per la necessità di ritirare il farmaco la cui dispensazione non può superare invece 2-3 mesi di terapia per ogni paziente.

La dispensazione dei farmaci andrà ripensata per favorire la prossimità al paziente

Su questo punto, un aspetto sicuramente interessante è la possibilità di consegna del farmaco direttamente al domicilio del paziente, come alcune aziende farmaceutiche hanno già fatto nel periodo del lockdown in primavera. Questo però porta con sé una problematica molto chiara, dal punto di vista organizzativo: ogni azienda farmaceutica presenta un modello di distribuzione dedicato ai propri prodotti, mentre la farmacia di un ospedale ha necessità di dispensare a domicilio centinaia di farmaci, per patologie diverse e di aziende farmaceutiche diverse. In questo senso, purtroppo esiste una difficoltà del sistema sanitario pubblico, che dovrebbe anticipare questo tipo di criticità e realizzare a livello centrale una piattaforma dedicata. Un’alternativa potrebbe invece essere quella di una piattaforma elaborata dalle aziende farmaceutiche congiuntamente, e in questo caso penso che la pubblica amministrazione potrebbe accettarla con favore. Diversamente, quando si tratta di attivare servizi paralleli con diversi fornitori, l’opzione diventa difficilmente applicabile nella quotidianità. Per questo motivo, nel periodo del lockdown di marzo, tanti colleghi, anche del territorio, hanno stretto accordi con la Croce Rossa o con ATS Milano che, tramite una sola piattaforma e un solo contatto, hanno fornito un percorso di consegna a domicilio per tutti i farmaci.

La consegna a domicilio dei farmaci può essere una soluzione solo se organizzata a livello centrale

Nel corso di questi mesi sono stati emanati alcuni provvedimenti per incentivare il percorso della distribuzione per conto, anche favorendo il passaggio di alcuni farmaci di fascia H nell’elenco dei farmaci A/PHT. A mio parere, favorire la distribuzione di questi farmaci tramite le farmacie del territorio potrebbe portare a risultati positivi, nell’ottica di migliorare l’accesso alla terapia ed evitare al paziente di recarsi in ospedale senza necessità: in questo modo il legame del paziente con il medico ospedaliero sarebbe garantito, perché spesso si tratta di farmaci specialistici, però il medico stesso potrebbe limitarsi, come capita, a prescrivere il piano terapeutico laddove necessario e il paziente potrebbe ritirare il farmaco comodamente presso la farmacia territoriale, come già avviene per alcune classi terapeutiche.

La criticità qui sta nel fatto che, in base alla normativa attuale, ogni Regione predispone un elenco diverso di farmaci in A/PHT messi in distribuzione per conto (DPC), con una totale disomogeneità a livello nazionale. Secondo me, dovrebbe invece essere definito un elenco unico, a livello nazionale, di farmaci che vengono dispensati in DPC. Ma qui si apre un altro problema, collegato al sistema di remunerazione della DPC: con la DPC il farmaco viene acquistato tramite SSN, quindi allo stesso costo riconosciuto all’ospedale, ed è poi previsto un onere per il farmacista territoriale che dispensa il farmaco. Ancora una volta, gli oneri riconosciuti dalle Regioni non sono omogenei in tutto il territorio nazionale, ma ogni Regione prevede un corrispettivo diverso. Questa situazione è di ostacolo alla definizione di un elenco unico nazionale di farmaci in A/PHT dispensati in DPC perché si dovrebbe predisporre anche un unico onere a livello nazionale, e visto che le differenze possono essere notevoli, è difficile trovare una soluzione di equilibrio per tutti, sia dal punto di vista delle Regioni sia dal punto di vista delle farmacie territoriali. L’unica soluzione sarebbe un intervento del Governo con una decisione chiara.

La mancanza di un elenco dei farmaci in A/PHT uniforme tra le Regioni è un ostacolo alla distribuzione per conto

Rimane da sottolineare un aspetto molto importante: i farmaci da indirizzare a questo percorso dovrebbero essere scelti attentamente, selezionando quelli che non hanno più bisogno di uno stretto monitoraggio a livello di efficacia e sicurezza, per il comprovato uso nella pratica clinica. Ad esempio, dovrebbero essere esclusi i nuovi farmaci con registri AIFA mentre per alcuni medicinali già utilizzati da tempo, come i farmaci per l’HIV, si potrebbe passare con tranquillità alla dispensazione in farmacie territoriali aperte al pubblico, lasciando il vincolo della prescrizione specialistica.

Nello spostamento verso la dispensazione nelle farmacie territoriali io non vedo un rischio per l’appropriatezza, perché sarebbe riservata a classi terapeutiche o farmaci di consolidata efficacia e sicurezza.

Il Decreto Rilancio approvato a luglio 2020 intendeva incentivare il passaggio di alcuni farmaci nelle liste della distribuzione per conto ma al momento non è ancora stata implementata la determina AIFA a riguardo, non consentendo una semplificazione delle procedure che sarebbe invece stata utile con il perdurare della pandemia.

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Rossella Iannone
Direttrice responsabile TrendSanità