Dall’Iss una fotografia della salute della popolazione transgender in Italia

La fotografia che emerge è sfocata: la popolazione transgender è estremamente eterogenea e a oggi non abbiamo molte informazioni nemmeno su quante siano le persone transgender in Italia. Tuttavia, lo studio accende i riflettori su alcuni bisogni di salute importanti, come gli stili di vita e la prevenzione

Come stanno le persone transgender in Italia? Qual è il loro stato di salute e quali barriere incontrano nell’accesso ai servizi sanitari?
Sono queste alcune delle domande a cui uno studio dell’Istituto superiore di sanità (Iss) ha cercato di fornire risposta. Il lavoro, realizzato in collaborazione con Centri clinici e Associazioni transgender, è in corso di pubblicazione e si è concentrato sullo stato di salute delle persone transgender adulte nel nostro Paese.

matteo marconi

La fotografia che emerge è sfocata, poiché la popolazione transgender è estremamente eterogenea e ad oggi non abbiamo molte informazioni nemmeno su quante siano le persone transgender in Italia. Tuttavia, lo studio accende i riflettori su alcuni bisogni di salute importanti, come gli stili di vita e la prevenzione. “Abbiamo reclutato 961 persone a cavallo tra il 2020 e il 2021 – spiega Matteo Marconi, ricercatore del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Iss – Sono stati sottoposti loro due questionari, uno da compilare in autonomia e un secondo, facoltativo, da completare con l’aiuto di un medico”.

Il primo ha raccolto informazioni socio-anagrafiche e riguardanti gli stili di vita (come attività fisica, dieta, fumo di sigaretta e consumo di alcol), lo stato di salute (sia quello percepito sia l’accesso ai servizi sanitari e le eventuali barriere) e una parte relativa al percorso di affermazione di genere (uso di ormoni, se si era sottoposti a un trattamento chirurgico e accesso al supporto psicologico per l’affermazione di genere).


Il secondo modulo era invece relativo alle patologie croniche, ai farmaci, al trattamento ormonale e a quello chirurgico, con domande più specifiche. Lo studio è stato condotto con l’intenzione di rispondere meglio ai bisogni di questa fascia di popolazione.

L’eterogeneità della popolazione transgender

Le persone transgender hanno in comune il fatto di non riconoscersi nel genere assegnato alla nascita

La popolazione transgender è eterogenea e difficile da intercettare. Le persone transgender hanno in comune il fatto di non riconoscersi nel genere assegnato alla nascita.

ìA causa di questa incongruenza di genere, alcune decidono di intraprendere un percorso di affermazione che può prevedere vari step: supporto psicologico, rettifica dei documenti anagrafici, terapie ormonali, intervento chirurgico. Non tutte desiderano cambiare il proprio corpo, né i propri documenti. Tuttavia, farlo è un loro pieno diritto e la strada è tracciata dalla legge 164 del 1982

Con il termine Amab si intendono quelle persone assegnate maschio alla nascita, con Afab le persone assegnate femmina alla nascita. In Italia non si sa quante siano le persone transgender: trattandosi come detto di una popolazione molto eterogenea, il dato può variare moltissimo, anche sulla base di come vengono condotti gli studi. Se, come nel caso dello studio dell’Iss, ci si appoggia ai centri clinici, occorre essere consapevoli che chi si rivolge a una struttura è solo una parte.

La letteratura internazionale stima che la popolazione transgender oscilli tra lo 0,3% e il 4,5% della popolazione: una forchetta enorme

“Occorrerebbe uno studio capillare a livello nazionale su un campione rappresentativo della popolazione generale che vada ad analizzare come la società si è stratificata su questo tema – osserva Marconi –. La letteratura internazionale stima che la popolazione transgender oscilli tra lo 0,3% e il 4,5% della popolazione, ma è una forchetta enorme. E stiamo parlando di persone adulte e di studi survey-based, basati cioè sulla popolazione generale. Se consideriamo indagini health system-based, che fanno cioè riferimento alle strutture, siamo tra lo 0,02% e lo 0,1 %”.

Scarsa prevenzione

Nella popolazione transgender Afab (assegnate femmina alla nascita) tra i 25 e i 64 anni l’aderenza al pap test per la prevenzione del tumore al collo dell’utero è del 34% rispetto al 78% della popolazione generale. Uno scostamento significativo, la cui causa è complessa da identificare.

“In base a quanto riportato nella letteratura internazionale, le barriere che le persone transgender riscontrano nell’accesso ai servizi sanitari possono essere ricondotte sostanzialmente a quattro categorie”, afferma Marconi.

Queste sono:

  • barriere individuali, come transfobia interiorizzata, questioni collegate alla stabilizzazione o meno di problemi di salute mentale, mancanza lavoro, carenza di alloggio
  • barriere interpersonali, come stigma, transfobia, eventuali atteggiamenti transfobici da parte di operatori sanitari
  • barriere di tipo organizzativo del Servizio sanitario nazionale
  • barriere istituzionali come la mancanza di politiche su queste tematiche

Un esempio di barriere organizzative riguarda proprio la prevenzione: in Italia le Asl dovrebbero convocare agli screening le persone che hanno diritto ad effettuarli. Una persona transgender Afab che non si sottopone a un percorso medico di affermazione di genere che porta alla chirurgia genitale, ma che fa un cambio anagrafico, non sarà mai chiamata per il pap test, poiché per il Ssn è maschio. “Servirebbe un’anagrafica inclusiva che tenga conto di questi aspetti – afferma Marconi –. Il consiglio è quello di informare della situazione il proprio medico di medicina generale”.

Stili di vita

Per l’Organizzazione superiore della sanità (Oms), l’inattività fisica è il quarto più importante fattore di rischio per patologie cardiovascolari. Una percentuale significativamente più alta delle persone transgender rispetto alla popolazione generale dichiara di essere inattiva fisicamente, soprattutto nelle fasce di età più giovani.
“Dallo studio emerge dunque il quadro di una popolazione soggetta a una serie di fattori di rischio dovuti a questa condizione”, osserva Marconi.

Ci sono poi problemi legati al binge drinking, cioè l’assunzione di quattro (per le donne) o cinque (per gli uomini) unità di alcol in un’unica occasione. Questa abitudine risulta molto più alta nella popolazione transgender rispetto a quella generale. Per quanto riguarda gli Amab, abbiamo un 19% contro il 10%, per gli Afab un 15% vs 5%.

“Importante evidenziare come la popolazione transgender non sia più inattiva o beva di più per fattori legati alla propria identità di genere o all’incongruenza di genere, ma a causa di elementi associati allo stress”, riporta Marconi, facendo riferimento ai dati della letteratura internazionale.

La formazione del personale sanitario

In Italia la transfobia del personale sanitario sembra residuale: tra gli intervistati, solo il 6% ha riportato di una curiosità inappropriata. C’è però un problema di adeguata formazione: il 41% ha riscontrato, durante la visita medica, una mancanza di conoscenza relativa alla propria salute di persona transgender, il 35% un utilizzo di terminologia inappropriata e il 16% bisogni specifici ignorati.

“La mancata formazione, tuttavia, non può essere imputata al singolo operatore, perché ad oggi la formazione su questo tema è lasciata all’iniziativa personale del medico – rende noto Marconi –. Come Iss abbiamo fatto un altro studio dedicato ai medici di medicina generale per analizzare i loro livelli di conoscenza sull’argomento: una larga maggioranza ha riportato la volontà di formarsi su questo tema”.

Sulla piattaforma per la formazione a distanza Eduiss dell’Istituto superiore di sanità compare il corso “La popolazione transgender: dalla salute al diritto”, le cui iscrizioni si chiuderanno a settembre. “È dedicato a tutte le professioni sanitarie e abbiamo previsto un massimo di 30mila posti, che sono stati quasi tutti occupati”, rende noto Marconi.

L’intento è trasmettere alcuni concetti di base, un primo approccio di tipo generale per poter in futuro continuare con percorsi specifici di formazione del personale sanitario, diminuendo le barriere che le persone transgender incontrano nell’accesso ai servizi sanitari e per mitigare le disuguaglianze.

La futura programmazione sarà incentrata proprio sul potenziamento della formazione degli operatori sanitari sul tema

“La futura programmazione sarà incentrata proprio sul potenziamento della formazione degli operatori sanitari sul tema. L’intento del nostro studio era di raggiungere la popolazione transgender e andarla a studiare nelle sue sfaccettature, nel tentativo di fornire una definizione generale sulla loro salute. Adesso saranno necessari studi dedicati a specifici aspetti per indagare quali siano i bisogni specifici di queste persone e mettere in atto politiche studiate per ridurre le disuguaglianze”, conclude l’esperto.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista