Farmaci biologici: appropriatezza prescrittiva, continuità terapeutica e motivazione

La sentenza del Consiglio di Stato n. 8370 del 28 dicembre 2020 è destinata a diventare una pietra miliare nella disciplina giuridica dei farmaci biologici e biosimilari: riunisce tutti i principi finora affermati per via giurisprudenziale, e ne aggiunge di nuovi e importantissimi, principalmente in relazione alla prescrivibilità dell’originatore per ragioni di continuità terapeutica

È destinata a diventare una pietra miliare nella disciplina giuridica dei farmaci biologici e biosimilari: la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, n. 8370 del 28 dicembre 2020 riunisce tutti i principi finora affermati per via giurisprudenziale, e ne aggiunge di nuovi e importantissimi, principalmente in relazione alla prescrivibilità dell’originatore per ragioni di continuità terapeutica.

Ma andiamo con ordine.

Il caso trae origine da una gara indetta dalla centrale di committenza regionale piemontese nelle forme dell’accordo quadro con tre vincitori (a norma dell’art. 15, comma 11 quater d.l. n. 95/12), nella quale venne previsto che la continuità terapeutica dovesse essere assicurata con uno dei farmaci in graduatoria, ancorché in posizione successiva al terzo. Questa clausola, di fatto, impediva la prescrizione del farmaco che (1) non fosse stato offerto in gara oppure che (2) fosse stato offerto ad un prezzo superiore alla base d’asta e perciò escluso.

L’obiettivo dell’ente regionale era evidentemente quello di scardinare taluni comportamenti di rifiuto della competizione concorrenziale: infatti, talvolta, e in special modo rispetto all’originatore, accade che il farmaco che gode di continuità terapeutica con un dato numero di pazienti non venga affatto offerto in gara, al fine di poterlo poi vendere alla P.A. ad un prezzo sostanzialmente di monopolio. La continuità terapeutica diventa, cioè, un sotto-mercato di tipo monopolistico, da cui l’unico competitor non ha interesse ad uscire per offrire lo stesso farmaco sul mercato concorrenziale ad un prezzo, a quel punto, necessariamente di mercato.

Commento alla Sentenza n. 8370 del 28 dicembre 2020 del Consiglio di Stato

Il T.A.R. per il Piemonte aveva aderito su tutta la linea all’impianto di gara predisposto dalla centrale d’acquisto: la sentenza di primo grado (che avevamo commentato qui) era per la verità andata anche oltre le aspettative, finendo per affermare non soltanto che l’art. 15, comma 11 quater, lett. b) consenta al medico di prescrivere per ragioni di continuità terapeutica solo il farmaco che ha presentato offerta utile (il farmaco “incluso” nella procedura di gara), ma anche che la continuità terapeutica con il farmaco escluso fosse certamente possibile ma soltanto con costi a carico dell’assistito.

In altri termini, secondo il T.A.R., le esigenze di protezione del bilancio pubblico e la presenza di almeno tre farmaci idonei alla terapia avrebbero dovuto orientare il medico prescrittore alla scelta di uno dei tre farmaci vincitori. Nel caso della continuità terapeutica, la libertà prescrittiva non sarebbe stata lesa dal momento che il medico avrebbe potuto prescrivere comunque il farmaco del trattamento in corso; in tal caso, però, il SSR non avrebbe sostenuto/rimborsato il costo.

La base d’asta deve essere idonea a sviluppare la concorrenza

Queste posizioni sono parse forse troppo estreme al Consiglio di Stato. Non nel senso che la gara della centrale piemontese fosse illegittima; anzi, in appello è stata pienamente confermata la correttezza delle disposizioni di gara stesse anche e soprattutto rispetto alla base d’asta. Vale la pena di ricordare, infatti, che le tesi dell’originatore si fondavano ancor prima sulla supposta inadeguatezza della base d’asta a consentire la partecipazione al farmaco ex monopolista, che veniva offerto ad un prezzo ancora pari a quello precedente all’apertura del mercato.

Una prima importante conclusione è dunque che la base d’asta di una gara per accordo quadro ex art. 15, comma 11 quater, rimane nell’ampia disponibilità della stazione appaltante, la quale deve semplicemente garantire la pluralità di offerte per permettere lo sviluppo di una gara concorrenziale. Tuttavia, la base d’asta non deve essere necessariamente tanto alta da consentire al farmaco mediamente più costoso di formulare offerta né addirittura inclusiva al punto da assestarsi sul prezzo praticato nel precedente regime di monopolio.

Il Consiglio di Stato ha ribadito che la base d’asta deve essere idonea a sviluppare la concorrenza (nel caso di specie, ben tre prodotti su quattro sono stati offerti a prezzi largamente sotto la base d’asta) e che, in queste condizioni, le eventuali difficoltà soggettive di un concorrente ad offrire al di sotto della base d’asta non sono idonee a dimostrare che la base d’asta fosse incongrua.

Queste conclusioni sono assolutamente in linea con quanto già nel 2016 osservato dall’AGCM (segnalazione del 17 novembre 2016, in Bollettino n. 41 del 21 novembre 2016), che aveva osservato come se la base d’asta fosse pari al prezzo massimo di cessione al SSN dell’originatore allora si sarebbe perduta completamente la concorrenzialità della gara, perché ciò avrebbe spinto verso quel prezzo massimo anche le offerte dei biosimilari, anziché portare verso il prezzo di mercato l’ex monopolista.

 

La parte più innovativa della sentenza è però rappresentata dalle riflessioni sulle modalità di garanzia della continuità terapeutica. Si tratta di un punto centrale per i giudici amministrativi tanto che fin dall’inizio (ad es. nel leading case di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3572/2011) ha rappresentato il punto di equilibrio tra l’esigenza di risparmio sottesa all’uso dei biosimilari e quella di tenere conto delle specificità individuali del paziente.

Per i giudici di Palazzo Spada, la continuità terapeutica rappresenta ancora le colonne d’Ercole nell’uso dei farmaci biologici e biotecnologici: essa va garantita senza che il costo del relativo trattamento possa rappresentare un ostacolo, un disincentivo oppure un elemento perturbante della terapia del paziente. Neppure conta se il farmaco in questione abbia o meno presentato offerta oppure se l’offerta sia stata o meno esclusa dalla gara.

Il punto non è questo.

L’elemento centrale è piuttosto distinguere i casi in cui la continuità terapeutica è l’unica opzione per il paziente. Ed è su questo aspetto che la sentenza di fine anno manifesta tutta la sua innovatività.

Quando la prescrizione del farmaco più costoso è veramente l’unica opzione terapeutica?

Per il Consiglio di Stato è necessaria una indagine sull’appropriatezza della prescrizione del farmaco diverso da uno dei tre vincitori della procedura: se il medico prescrittore ritiene che esso sia l’unica effettiva opzione terapeutica per il paziente allora il SSN dovrà acquistare il farmaco anche se non abbia partecipato alla gara per accordo quadro e al prezzo determinato unilateralmente dal produttore.

Tuttavia, deve davvero trattarsi dell’unica opzione terapeutica.

È significativo che il Consiglio di Stato abbia mosso il proprio ragionamento su questo aspetto da un elemento di costo: la costante e consolidata giurisprudenza afferma infatti che il SSN non deve necessariamente garantire il trattamento farmacologico agli assistiti con tutti i farmaci disponibili sul mercato. Il SSN non è sempre tenuto a servirsi del farmaco in assoluto più evoluto, o ritenuto migliore, soprattutto se questo è più costoso di altro di pari e sicura efficacia nella terapia nella maggior parte dei casi trattati.

D’altronde, è per questa ragione che si fanno le gare per l’acquisto di farmaci.

Ecco allora la necessità di stabilire se la prescrizione del farmaco più costoso sia realmente indispensabile ad un dato paziente, ovvero se questi possa essere trattato efficacemente anche con uno degli altri a minor costo.

Non serve trincerarsi dietro al dogma della libertà prescrittiva: il medico non è libero di prescrivere ogni farmaco, proprio perché deve rispettare l’assunto secondo il quale il SSN non è tenuto a servirsi di tutti i farmaci. La libertà prescrittiva va esercitata secondo delle regole, tra cui il costo della terapia e alle condizioni individuali del singolo paziente.

Per usare le parole del Consiglio di Stato, la libertà prescrittiva va declinata secondo il concetto di appropriatezza prescrittiva: il medico è libero di prescrivere un farmaco più costoso se tale prescrizione è appropriata, nel senso che nessuno dei farmaci a minor costo è idoneo alla prosecuzione del trattamento in ragione delle condizioni individuali di quel dato paziente.

 La continuità terapeutica va sempre garantita ma non costituisce di per sé una motivazione

Naturalmente, occorre stabilire un criterio oggettivo in base al quale poter valutare se la prescrizione è appropriata oppure no. Obiettivamente, non è compito facile: ogni criterio imposto finirebbe per svilire il ruolo del medico prescrittore e il suo rapporto con il paziente, che certo non possono essere sacrificati sull’altare del diritto.

L’unico elemento in grado di dimostrare l’appropriatezza prescrittiva senza limitare il ruolo del medico risiede nella motivazione della prescrizione.

In questo senso, la giurisprudenza aveva già raggiunto traguardi importanti quando si era affermato che la motivazione della decisione prescrittiva, specialmente quando il farmaco prescritto non è quello a prezzo inferiore, è elemento essenziale della prescrizione stessa. E ciò sia perché rende trasparente l’operato del SSN e in generale della pubblica amministrazione, secondo le previsioni dell’art. 97 Cost.; sia perché la motivazione rende il medico il fulcro centrale dell’intero sistema di assistenza farmaceutica pubblica, il soggetto che governa la prescrizione, la terapia e, in definitiva, la qualità e l’efficienza del SSN.

Vale però la pena di evidenziare un punto importante: anche una prescrizione per continuità terapeutica va motivata. In altre parole, la continuità non è di per sé la motivazione: occorre che il medico motivi perché il paziente ha necessità di continuare la terapia con il medesimo farmaco e, soprattutto, perché sia inappropriata la prosecuzione della terapia con un biosimilare o comunque con altro farmaco biologico avente il medesimo principio attivo ma minor costo.

Questo è forse l’aspetto più innovativo ed importante di questa decisione del Consiglio di Stato: finora, infatti, alcune Regioni e molti medici avevano interpretato che fosse sufficiente indicare che il paziente è in continuità terapeutica per assolvere l’onere motivazionale richiesto dai provvedimenti regionali che variamente hanno incentivato l’uso dei biosimilari.

Ebbene, non è così: non basta (più) motivare scrivendo, o barrando la casella, “continuità terapeutica”.

Il Consiglio di Stato afferma che la continuità terapeutica richiede una motivazione specifica, rigorosa e adeguata che dunque non si può risolvere nella mera affermazione dell’esigenza del paziente di una continuità, ma richiede uno sforzo aggiuntivo, nello spiegare perché a quel paziente non possa essere garantita una terapia di eguale efficienza e di piena sicurezza ma utilizzando uno dei farmaci primi tre classificati della procedura di selezione.

La continuità terapeutica richiede una motivazione specifica, rigorosa e adeguata

Finalmente, verrebbe da dire: che la motivazione della continuità terapeutica non si potesse tradurre in una tautologia era già stato affermato dall’AGCM proprio e sempre in quella segnalazione del 2016 richiamata sopra: l’autorità antitrust aveva infatti censurato la bozza iniziale del testo dell’art. 15, comma 11 quater, nella parte in cui prevedeva che il medico potesse prescrivere senza motivazione per continuità terapeutica, perché l’assenza di motivazione avrebbe disincentivato l’evoluzione in senso concorrenziale del mercato dei farmaci biologici e biosimilari. Tanto che nella versione finale della norma è caduta la previsione di un’assenza di motivazione.

 

Riassumendo: nella prescrizione di un farmaco biologico o biosimilare, il medico dovrà anzitutto orientarsi verso uno dei primi tre farmaci della procedura ex art. 15, comma 11 quater, ossia quelli disponibili a minor prezzo. Ciò sia per il paziente naïve che per quello già in trattamento. Nel caso in cui il paziente sia in trattamento con un farmaco diverso dai tre vincitori, tale farmaco potrà essere prescritto per ragioni di continuità terapeutica, e rimborsato dal SSN, indipendentemente dal fatto che il farmaco sia stato offerto nella gara e dal prezzo a cui è stato offerto. Tuttavia, in tal caso, il medico dovrà motivare non genericamente sull’esistenza di una situazione di continuità terapeutica, ma dare rigorosa dimostrazione del perché la prosecuzione della terapia con switch verso uno dei tre vincitori non garantirebbe al paziente un trattamento in condizioni di uguale efficienza e di piena sicurezza.

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Roberto Bonatti
Avvocato specializzato in contratti pubblici e diritto della concorrenza, Studio Legale Russo Valentini, Bologna. Docente di diritto processuale civile, Università di Bologna