Il processo di riconoscimento dell’innovatività per i farmaci orfani funziona. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), alla quale spetta la valutazione attraverso un algoritmo molto rigoroso, in circa tre quarti dei casi esprime parere favorevole. È quanto emerge dal V Quaderno Ossfor dedicato ai farmaci orfani innovativi, presentato lo scorso 12 febbraio da Osservatorio Farmaci Orfani e SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie), sulla base di un’analisi condotta da Crea Sanità relativa al periodo maggio 2017-giugno 2020. Buone notizie, quindi, soprattutto per le persone affette da malattie rare, ma anche per le aziende impegnate nella ricerca e sviluppo di soluzioni terapeutiche dedicate a un numero di pazienti molto contenuto. Un quadro che non deve però derogare al mantenimento dell’impegno di tutti gli stakeholder per continuare e migliorare l’iter che porta all’accesso ai farmaci innovativi.
Innovatività riconosciuta nel 72% dei casi
Dal 2017 al 2020 AIFA ha ricevuto 76 dossier per la valutazione dell’innovatività, 47 per farmaci non orfani e 29 per farmaci orfani. Per i primi il riconoscimento dell’innovatività ha riguardato il 62 per cento delle richieste, per i secondi il 72 per cento. “Il fatto che nel 72% dei casi sia stata concessa l’innovatività per gli orfani significa che di fatto sono state superate le problematiche connesse alla valutazione della ridotta qualità delle evidenze strettamente connessa ai piccoli numeri delle malattie rare”, ha spiegato Barbara Polistena di Crea Sanità. “La determina AIFA 1535/2017 ha previsto deroghe al criterio generale nel caso di farmaci con indicazione per malattie rare. E per i farmaci orfani prevede che l’innovatività possa essere riconosciuta anche se le prove presentate a supporto siano state giudicate di livello basso, purché sia stato evidenziato un elevato bisogno terapeutico ed esistano forti indicazioni di un beneficio terapeutico aggiuntivo”.
Nei farmaci orfani la qualità delle evidenze è connessa al ridotto numero di pazienti studiati
Valutare l’innovatività insieme ai pazienti
L’innovatività di un farmaco viene definita da AIFA attraverso un algoritmo che valuta il bisogno terapeutico, il valore terapeutico aggiunto e la qualità delle prove. Di norma viene definito innovativo un farmaco che, in modo massimo o importante, risponda a un bisogno terapeutico e possegga anche un valore terapeutico aggiunto. Oltre a dimostrare queste caratteristiche con un’alta qualità delle prove. “Come si evince dai dati del rapporto Crea, quando l’ente regolatore tiene conto delle necessità particolari relative ai farmaci orfani, i risultati si vedono” ha commentato Laura Crippa, RaReg-Osservatorio Farmaci Orfani. “Ciò porta a volere con forza che queste necessità siano tenute in considerazione in tutte le linee guida di AIFA. Cosa che speriamo possa avvenire nella revisione del processo di definizione di prezzo e rimborso, già entro quest’anno”. Certo “l’algoritmo di AIFA è ben strutturato e multidimensionale. Ma esistono delle criticità tra il livello Ue e quello nazionale italiano per quanto riguarda l’inclusione dei pazienti nella valutazione del valore terapeutico aggiunto. Un passaggio fondamentale che in Italia è ancora assente”, ha aggiunto Simona Bellagambi, membro del Consiglio direttivo di Eurordis.
Nel processo di valutazione di AIFA l’inclusione dei pazienti è ancora scarsa
Ma qual è il ruolo dei malati rari nella definizione dell’innovazione quando le evidenze rispetto al farmaco sono limitate? Quanto viene coinvolto il paziente? Ed è possibile aumentare il suo coinvolgimento? Domande fondamentali a cui ha cercato di rispondere Federica Borgini, Paziente esperto dell’Accademia dei pazienti Eupati Italia: “I pazienti sono sempre più formati e competenti perché hanno compreso che per essere parte attiva devono conoscere bene i processi che portano i farmaci nella loro disponibilità, ma anche il perché dei tempi che questo richiede. Purtroppo nel processo che porta alla determina di AIFA non sono definiti né spazi né ruoli né per i pazienti né per i caregiver”. E soprattutto essi “non sono compresi tra i soggetti che possono attivare il processo di valutazione di nuovi farmaci”, ha avvertito. Uno dei perché, forse il principale, lo ha esplicitato Bellagambi, secondo cui “manca l’educazione dei policy maker rispetto al valore che l’innovazione determina per il paziente”.
Costi e presa in carico al centro dell’agenda sanitaria…
Innovazione e accesso al farmaco devono però trovare la giusta quadra con il concetto di sostenibilità, soprattutto se si parla di ricerca per la salute. Essere capaci di dare risposte ai bisogni insoddisfatti in ambito di salute è una delle mission che deve perseguire chiunque si occupi di sanità. Nel caso delle malattie rare e dei farmaci orfani, “si tratta di un approccio che conferma la responsabilità etica con cui tutto il sistema si prende carico di fasce di popolazione che, pur essendo numericamente ridotte, esprimono richieste che non possono essere ignorate o nascoste. Il farmacista ospedaliero assume in questo scenario un ruolo essenziale: da un lato quello di completo conoscitore del farmaco orfano, e dall’altro di supporto determinante nel governo del percorso complessivo del paziente con malattia rara”, ha sottolineato il presidente di SIFO, Arturo Cavaliere.
Un governo che deve fare i conti, è il caso di dirlo, anche con le risorse economiche disponibili, soprattutto in considerazione del fatto che tra gli innovativi i farmaci orfani spesso sono quelli con prezzi più elevati. E tenendo presente che “i pazienti ad alto costo, così chiamati perché necessitano di questo tipo di medicinali, hanno un impatto molto importante sul budget delle aziende sanitarie”, ha detto Marcello Pani, segretario nazionale SIFO.
Innovazione e accesso al farmaco devono conciliarsi con la sostenibilità
Ma allora come si affronta questo problema? “I fondi messi a disposizione per ora sono stati abbastanza adeguati. L’attribuzione della spesa per questi medicinali rimane in capo alla Regione di appartenenza del paziente, anche nel caso in cui si debba recare in un’altra Regione dotata di centro specializzato per la propria patologia. E sul piano dell’accesso alle cure, devo dire che esistono relazioni interregionali efficaci”, ha aggiunto Pani. Che ha poi puntualizzato su alcuni aspetti di natura finanziaria. “Il meccanismo dei fondi per i farmaci innovativi pone interrogativi in prospettiva futura. Sappiamo che il fondo per gli innovativi oncologici è arrivato a 850 milioni di euro e arriverà a 1 miliardo, raddoppiando in termini di domanda. Per gli innovativi non oncologici le cifre sono inferiori, ma preoccupa il fatto che la somma di questi due fondi nel 2020 ha sforato del 30 per cento la disponibilità di cassa. E, sempre guardando al futuro, desta preoccupazione il prossimo ingresso di nuovissimi farmaci biologici ad alto costo, che avranno indicazioni che abbracciano sia l’oncologia sia le malattie rare”. Programmare con cognizione di causa diventa quindi fondamentale e serve fare horizon scanning perché il decisore politico abbia indicazioni sulle dimensioni dei fondi che si dovranno rendere disponibili per far fronte alle necessità di cura.
Sul tema dell’accessibilità universale ai farmaci per le malattie rare si è espresso anche Ugo Trama, UOD Politica del farmaco e dispositivi, Direzione Generale Tutela Salute e Coordinamento del Sistema sanitario regionale, Regione Campania. “In alcune Regioni non ci sono centri di assistenza di eccellenza per tutte le malattie rare. Bisogna condividere la presa in carico dell’assistito in modo che possa trovare le cure migliori anche fuori Regione. In tal senso sarebbero auspicabili percorsi di presa in carico non solo nazionali, ma anche internazionali, al fine di garantire un’assistenza ancor più uniforme indipendentemente dalla residenza del paziente”.
…e politica
Quanto alla politica sanitaria, malattie rare e farmaci orfani sono ben presenti sui tavoli di lavoro a diverso livello. Da quello della senatrice Paola Binetti, presidente dell’intergruppo parlamentare per le malattie rare, a quello di Annamaria Parente, presidente XII Commissione permanente Igiene e Sanità del Senato.
“Il piano nazionale sulle malattie rare e la legge quadro sulle malattie rare sono state promesse finora non rispettate dal ministro della Salute Roberto Speranza. Sono questioni che andranno affrontate dal nuovo governo. Le esigenze di varia natura che sono state anteposte negli ultimi mesi agli interessi dei malati rari hanno portato alla rarefazione dell’interesse politico su questa tematica. Personalmente ho chiesto discontinuità rispetto al passato, per tornare a dare ai malati rari il diritto alle cure, peraltro sancito dalla Costituzione”, ha precisato Binetti.
Il piano nazionale e la legge quadro sulle malattie rare richiedono l’attenzione della politica
Per riuscirci, secondo Parente, “bisogna investire nell’innovazione nell’ottica di non lasciare indietro nessun paziente. E ciò significa investire molto in ricerca. Facendo sì che per questo siano disponibili fondi Ue”. Perché “le malattie rare sono la cartina di tornasole della sanità e delle relazioni tra aziende, istituzioni e pazienti, anche in chiave di sostenibilità. Sul tema del rapporto Stato-Regioni dobbiamo guardare con positività al ruolo di queste ultime, che devono essere facilitatori dell’accesso al farmaco”. E se è vero che “la presa in carico dei pazienti riguarda tutti i player della salute, questa deve essere la vera novità di una sanità che pone al centro il territorio. E ciò potrà essere realizzato anche grazie al Recovery Fund”. Una serie di obiettivi ambiziosi su cui sta lavorando la Commissione Igiene e Sanità in Senato, ha chiosato Parente.