Governo clinico dell’innovazione: i Pdta digitali

È uno dei punti cardine del documento condiviso da ben 16 società scientifiche e sanitarie in materia di telemedicina che sarà presentato a Roma il 24 maggio. Ne parliamo con Sergio Pillon, vice presidente AiSDeT

Tra tecnologie in crescita esponenziale, medici e pazienti più o meno pronti e qualche paradosso, oggi la telemedicina in Italia è realtà. Ma restano ancora aspetti da dettagliare e lo possono fare soltanto le società scientifiche e sanitarie: è il caso dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (Pdta) digitali, o per meglio dire del governo clinico dell’innovazione. Sarà, questo, uno dei punti cardine del documento condiviso da ben 16 società scientifiche e sanitarie in materia di telemedicina che sarà presentato a Roma, il 24 maggio, all’Auditorium “Cosimo Piccinno” del Ministero della Salute – Lungotevere Ripa, dalle 10.30.

Ne parliamo con Sergio Pillon, responsabile per la trasformazione digitale della Asl di Frosinone, vice presidente Associazione italiana Sanità digitale e Telemedicina (AiSDeT).

A cosa ci si riferiamo quando diciamo Pdta digitali?

Sergio Pillon

È la traduzione sintetica di governo clinico dell’innovazione. Noi che siamo medici, qualche volta abbiamo sentito criticare, anche in forma un po’ aggressiva, da una parte di tecnologi, il governo clinicocentrico dell’innovazione. Pensiamo però a tutta l’innovazione in sanità, a partire ad esempio dall’introduzione della Tac, uno strumento che ha cambiato il modo di gestire molte malattie. Prima non esisteva, poi è arrivata e ha cambiato tutto, così come l’ecografia che è poi diventata ecodoppler e anche questo ha rivoluzionato le cure. Dobbiamo moltissimo agli ingegneri, perché senza di essi non avremmo mai avuto questi strumenti disponibili e le possibilità dovute al loro costante aggiornamento, ma gli esami qualcuno li deve prescrivere: deve dire quando è oppure non è opportuno farli, e, una volta che questo è stato stabilito, qualcuno, visto che abbiamo un servizio sanitario pubblico, deve definirne aspetti come la rimborsabilità.

Un Pdta è innanzitutto un percorso di cura

Tutte le innovazioni tecnologiche innanzitutto sono state recepite dai medici, che le hanno inserite nei percorsi di cura: ecco cos’è un Pdta, un percorso di cura. Quando l’art. 32 della Costituzione è stato scritto, un medico aveva in mano il fonendoscopio e pochi altri strumenti, al massimo i raggi X, e quello che definiamo diritto alla salute per tutti, non è un diritto alla salute ma alle cure per tutti, che man mano cambiano. È un diritto che costa e va regolamentato, anche perché sappiamo che uno dei problemi alla base delle liste d’attesa è proprio l’eccesso di prescrizione di esami e di uso di strumenti tecnologici anche quando non serve. A questo punto dobbiamo pensare all’inserimento nei percorsi anche delle della telemedicina, della teleassistenza, del telemonitoraggio e del teleconsulto, i quattro tipi di atti medici che il governo ha previsto come obbligatorie per ogni azienda sanitaria.

Come si arriva a definire l’inserimento nei percorsi?

Con il professionista. È cioè necessario per prima cosa che le società scientifiche e professionali si esprimano. Una volta che si sono espresse, il gestore pubblico prende atto del fatto che i diabetologi hanno detto che è fondamentale per il diabete di tipo 1 fare il telemonitoraggio e la televisita a certe condizioni e a quel punto spetta a lui, al decisore, decidere sulla rimborsabilità, l’eventuale inserimento nei Livelli essenziali di assistenza, le modalità in cui ci (Lea) si può sottoporre all’esame nel pubblico o in convenzione. Il cittadino deve essere protetto da una serie di regole che mettono la prestazione a carico del SSN secondo certe condizioni.

Torniamo agli atti medici, che sono quei quattro, e chiediamoci per esempio quando è opportuno fare un teleconsulto nel pronto soccorso? Poniamo: in caso di ictus, quando non è presente il neurologo. A questo punto si mette insieme una serie di atti da parte dei medici che spiegano come deve essere fatto il teleconsulto in assistenza neurologica, e i regolatori, ovvero lo Stato, che dice: dove non è presente il neurologo di guardia, c’è l’obbligo di disporre di strumenti di teleconsulto neurologico.

A che punto siamo in Italia?

Oggi il teleconsulto non è valorizzato in termini economici, ma solo la televisita e in modo disomogeneo

All’inizio. Agenas ha fatto una proposta di Pdta sulla sclerosi multipla che include anche la telemedicina. Le aziende sanitarie, ognuna più o meno per proprio conto, cercano di inserire queste prestazioni, ma non c’è nessun obbligo e mancano ancora moltissime cose, a partire dal fatto che il teleconsulto non è valorizzato in termini economici, ma solo la televisita, e nemmeno in tutte le regioni, e in modo assolutamente diverso dall’una all’altra.

il teleconsulto è fondamentale per l’interazione del medico di medicina generale con lo specialista, ma non c’è nessuna regolamentazione, o, peggio ancora, si dice: siccome è un atto normale tra medici, non deve essere rimborsabile. Ma ad esempio nella rete dell’emergenza neurologica in Regione Veneto si faceva esattamente il contrario: era previsto il teleconsulto dall’azienda sanitaria hub verso lo spoke con una valorizzazione per esecuzione di 100 euro.

Le società scientifiche non sono d’accordo sul fatto che il teleconsulto non sia monetizzabile e rimborsabile. C’è una tariffa solo per le tre principali patologie in cui si usa la telemedicina, cioè lo scompenso cardiaco, il diabete e la Bpco, si sa che ci sono dei fondi con questa finalità nel Pnrr e anche per l’oncologia e la sclerodermia. Ma per tutto il resto? Chi ha l’artrite reumatoide non ha diritto al telemonitoraggio? E una persona con disabilità oppure chi ha una mal circolatoria? Su questi fronti ci sono molte associazioni di pazienti che si battono per questo diritto, ma non è esigibile se non è rimborsato. Soprattutto è fondamentale che si siedano a un tavolo le società scientifiche perché non basta dire va bene il teleconsulto per l’artrite reumatoide, ma bisogna definire quando, su quali pazienti, in quali casi. Serve quindi stabilire nei percorsi clinici dove questi mattoni – televisita, teleconsulto, telemonitoraggio e teleassistenza – siano inseriti. 

Tocca ai medici chiarire dove debbano essere messi, quindi rivolgersi ai decisori pubblici per specificare aspetti come: avere la telemedicina in caso di artrite reumatoide o sclerosi sistemica è un obbligo da Lea? Probabilmente sì, allora, nel momento in cui diventa un obbligo, le Regioni per prima cosa domanderanno: con quali fondi?

Noi medici da sempre ci apriamo all’innovazione definendo quando serve e la prescriviamo, perché quando un medico prescrive qualcosa si prende la responsabilità in scienza e coscienza di indicare al paziente che la cosa migliore da fare per lui in quel momento è quella. Andando a guardare la storia dell’innovazione di questi anni, ci rendiamo conto che non è stato l’ingegnere a “spingere” la Tac, bensì ha mostrato ai medici quali potevano essere i vantaggi. A loro volta i medici li hanno fatti propri e poi, insieme ai pazienti, hanno fatto sì che queste istanze venissero rappresentate.

Sono un angiologo e la mia generazione di esperti di malattie circolatorie ha visto la nascita dell’angioplastica con gli Stent. Quando la inventarono non c’era rimborsabilità, quindi i pazienti dovevano andare nelle case di cura per sottoporvisi. Col tempo, dato che questa procedura evita interventi chirurgici che sono molto più importanti per il paziente, le associazioni hanno cominciato a protestare rivolgendosi al governo per chiedere: perché quello che è ricco può andare in clinica e fare l’angioplastica e io no? Così come qualcuno domanderà: perché il ricco può avere la televisita e farsi prescrivere questi farmaci mentre io non posso? Quindi il decisore pubblico dovrà creare una tariffa per rendere rimborsabile la prestazione nelle strutture, ovviamente dando delle indicazioni sull’appropriatezza.

L’innovazione digitale in sanità deve essere governata clinicamente

L’innovazione digitale in sanità deve essere quindi governata clinicamente. Facciamo un paragone con altre risorse, l’acqua o l’oro. Se si desiderano le prime, c’è la possibilità di andare ad acquistarle, ma se si vuole comprare salute c’è bisogno di un broker, proprio come di un venditore di azioni. Il broker è il medico. Serve per la ricetta per la Tac e per poter comprare un farmaco: i medici sono gli intermediari fra i cittadini e le cure e scavalcarli immaginando dei sistemi di cura che non contemplino il medico in mezzo (ad esempio ipotizzando che il cittadino si prescriva una televisita o un telemonitoraggio) non ha alcun senso.

È questo il rischio?

Si possono immaginare piattaforme di televisita in cui il cittadino si prenota da solo. Ma non esiste! Gliela deve prenotare un medico di famiglia! I pericoli sono sotto i nostri occhi. La gente è disposta a pagare 600 per comprare un farmaco contro il diabete, per dimagrire. Non importa che non abbiano il diabete e che il medico non l’abbia di conseguenza prescritto: hanno iniziato a comprarlo così tanti che è diventato introvabile, cogliendo di sprovvista perfino la stessa azienda che lo produce e che avrebbe tutto l’interesse a venderne il più possibile. La mancata prescrizione a chi non è diabetico si potrebbe aggirare con la televisita. Nei Paesi anglosassoni e nel Regno Unito c’è stato un enorme abuso di televisite non pubbliche perché la nicotina per la sigaretta elettronica deve essere prescritta dal medico, così come alcuni oppiacei antidolorifici. La gente ha iniziato a farseli prescrivere con la televisita perché il proprio medico di base non li prescriveva ed è anche molto più economico: costa poco e si fa al volo.

Chi si deve far carico di reprimere questo tipo di abuso?

È lo Stato che lo impedisce, ma sono le società scientifiche che devono esprimersi, ad esempio producendo dei codici etici.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario