L’infermiere case manager rappresenta una figura di estrema importanza nel contesto sanitario italiano. Con il crescere della complessità delle cure e l’aumento del numero di persone con patologie croniche o fragilità, è emersa con sempre maggiore intensità la necessità di un professionista come l’infermiere case manager, per garantire una efficace gestione del percorso del paziente, integrata con i setting di assistenza territoriali.
La sua principale responsabilità è quella di contribuire a valutare le esigenze del paziente, pianificare e implementare un percorso di cura appropriato, monitorare i progressi e coordinare le risorse necessarie per garantire una gestione ottimale del caso. Attraverso una visione olistica del paziente, l’infermiere case manager si impegna a promuovere la prevenzione, la gestione e la riabilitazione delle malattie croniche, contribuendo così a migliorare la qualità della vita dei pazienti e a ridurre i ricoveri ospedalieri. Con la riforma dell’assistenza territoriale delineata da PNRR e DM77, si aprono nuovi spazi e nuove responsabilità. Ne parliamo con alcune professioniste già attive in questo percorso, all’interno del Servizio Sanitario Nazionale.
Intervista a Laura Zoppini, Direttore D.A.P.S.S. (Direzione Aziendale Professioni Sanitarie e Sociosanitarie), ASST Niguarda, Milano
Qual è il ruolo del case manager all’interno del contesto PNRR?
La missione 6 del PNRR mira a rinforzare l’assistenza sanitaria territoriale, puntando sullo sviluppo di reti di prossimità e sull’integrazione di tutti i servizi socio-sanitari al fine di promuovere un sistema socio sanitario sempre più prossimo e vicino alle persone. Per realizzare questo obiettivo si prevede il potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali quali appunto le case di comunità e gli ospedali di comunità, il rafforzamento dell’assistenza domiciliare e lo sviluppo della telemedicina. È in questo contesto che si inserisce il case manager, ossia un infermiere che si occupa di prendere in carico il paziente e la famiglia creando un percorso individuale e personalizzato, agevolando il processo assistenziale, garantendo la continuità delle cure e coordinando le risorse e le diverse professionalità che intervengono nel percorso del paziente e della sua famiglia. Il case manager ricopre il ruolo di “regista”, di facilitatore del percorso del paziente, divenendo il punto di riferimento per tra paziente, caregiver e professionisti sanitari. È l’intermediario tra l’ospedale e i diversi servizi territoriali che, anche in relazione allo stadio di malattia e ai bisogni assistenziali specifici del paziente, possono essere diversi e multipli.
Il case manager ricopre il ruolo di “regista”, di facilitatore del percorso del paziente, divenendo il punto di riferimento per tra paziente, caregiver e professionisti sanitari
Il case manager agisce in modo proattivo, anticipando i bisogni della persona e identificando precocemente i pazienti che necessitano ad esempio, di una dimissione protetta. In collaborazione con il resto dell’equipe, il case manager infatti identifica il setting assistenziale più idoneo per la presa in carico del paziente sul territorio, garantendo l’appropriatezza dei servizi forniti e una continuità assistenziale che porta a una riduzione delle riacutizzazioni delle patologie croniche e del tasso di riospedalizzazione.
Come si collega questo ruolo con gli infermieri di comunità e con le altre professioni sanitarie che seguono il paziente tra ospedale e territorio?
Il case manager è un modello organizzativo presente sia in ospedale che nel territorio, per tutti i percorsi del paziente. In particolare, il case manager ospedaliero si caratterizza per una presa in carico della persona fin dal primo accesso nella struttura sanitaria e collabora con gli infermieri di famiglia e comunità (IFEC) e con gli altri professionisti, al quale “affida” il paziente, una volta dimesso, personalizzando il suo percorso, garantendo una dimissione sicura e appropriata sulla base dei bisogni del paziente e della famiglia.
Nel territorio il ruolo di case manager viene assunto dallo stesso infermiere di famiglia e comunità, che diventa punto di riferimento, professionista attivo nell’implementare l’empowerment della persona e della famiglia, garantire iniziative di prossimità nel soddisfacimento dei bisogni educativi e di autocura e il monitoraggio costante, continuo e nel tempo, del paziente e delle sue condizioni, al fine di prevenire l’aggravamento della malattia e favorire l’aderenza terapeutica.
In questo senso, qual è l’esperienza dell’ASST Niguarda?
Negli ultimi anni l’Ospedale Niguarda ha implementato una buona rete di servizi territoriali, recependo appieno le delibere regionali emesse sulla scorta del DM 77/2022. In particolare, nella nostra azienda sono attive due Case di Comunità, quella di Villa Marelli in viale Zara e quella di Via Livigno, all’interno delle quali lavora l’equipe degli Infermieri di Famiglia e di Comunità (IFEC).
Gli IFEC prendono in carico i pazienti cronici e/o fragili che accedono direttamente al Punto Unico di Accesso (PUA) delle Case di Comunità, oppure che vengono segnalati da tutti i servizi territoriali, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta così come dalle degenze ospedaliere e dal Pronto soccorso dell’ospedale, mediante percorsi condivisi che prevedono anche l’utilizzo di strumenti assistenziali che stratificano i bisogni dei pazienti. Gli IFEC assumono il ruolo di case manager per i diversi pazienti che prendono in carico, garantendo continuità e collaborando con i diversi servizi e i professionisti coinvolti nel percorso assistenziale e di cura. Gli IFEC svolgono la loro attività negli ambulatori delle case di comunità, nel PUA, nelle comunità e a domicilio dei pazienti dove erogano le prestazioni infermieristiche. Come indicato dallo stesso PNRR che prevede la gestione al domicilio del 10% dei pazienti con più di 65 anni, gli IFEC si stanno preparando anche a garantire l’ADI, ossia l’Assistenza Domiciliare Integrata.
Il case manager è un modello organizzativo presente sia in ospedale che nel territorio, per tutti i percorsi del paziente
Nella nostra azienda stiamo costruendo modelli organizzativi volti a implementare il ruolo del case manager in alcuni percorsi particolari e core per l’ASST Niguarda, quali quelli del paziente trapiantato di cuore, reni e fegato, del paziente di bariatric unit, di breast unit, di pancreatic unit o di area psichiatrica. Abbiamo cioè identificato percorsi complessi e/o che coinvolgono pazienti fragili, per i quali risulta fondamentale la presenza di un infermiere che si interfacci con tutte le figure coinvolte e costituisca un necessario punto di riferimento per il paziente, vista anche la complessità e la numerosità dei servizi e dei professionisti che i pazienti in questa condizione incontrano nel loro percorso di cura.
Quali prospettive vede per i prossimi mesi e quali priorità da affrontare?
Una prospettiva importante, resa fattibile anche dal recente CCNL è quella di valorizzare quei professionisti, mediante il sistema degli incarichi di funzione, professionale e organizzativa, che con competenze specifiche e avanzate, svolgono importanti ruoli professionali non solo in ospedale ma anche nel territorio, che garantiscono migliori esiti di salute per le persone, tra i quali le funzioni di case management, ossia di professionisti con responsabilità aggiuntive e/o maggiormente complesse rispetto a quelle di base del profilo di appartenenza.
Dal punto di vista formativo, ai professionisti vanno garantiti percorsi specifici che portino all’acquisizione e alla spendibilità nell’organizzazione di competenze specialistiche, modelli organizzativi innovativi e sviluppo di nuove metodologie per l’assistenza e il monitoraggio dei pazienti, contemplando, ad esempio, la telemedicina come uno degli elementi peculiari nei percorsi formativi.
Anche in questo ambito, rimane la preoccupazione legata alla carenza di infermieri
L’unica preoccupazione e priorità che vale la pena sottolineare è legata alla carenza di infermieri che, in particolare, anche per i costi della vita di tutti i giorni, la nostra Regione comincia a toccare con mano.
In Italia, infatti, lo stipendio medio di un infermiere è 40 punti percentuali sotto la media di quelli europei.
Inoltre oggi la professione infermieristica non risulta più attrattiva in Italia poiché i giovani scelgono percorsi che trovano più rispondenti alla loro idea di sviluppo di carriera. Circa 20mila infermieri italiani lavorano all’estero dove hanno trovato uno sviluppo di carriera e una valorizzazione delle loro competenze che in Italia non siamo ancora riusciti a mettere in atto, nonostante i cittadini le richiedano e le valorizzino come riportato nelle molte indagini promosse anche recentemente.
Questo PNRR rappresenta però un’opportunità importante soprattutto nell’ambito delle attività territoriali, certamente per tutti i cittadini, ma anche perché consentirà maggiori prospettive di sviluppo della professione. Bisogna lavorare sullo sviluppo di questi ruoli (IFEC, case manager….) nel contesto di una revisione complessiva dei modelli organizzativi che consideri tutti gli aspetti compreso quelli giuridici, normativi ed economici…perché molte difficoltà sono legate anche a provvedimenti normativi obsoleti che poco si sposano con le esigenze organizzative e dei cittadini attuali.
Intervista a Eugenia Pellegrino, Consigliere Associazione Italiana Case Manager (AICM), Infermiera Case Manager S.S. Chirurgia Bariatrica ed Esofago Gastrica Funzionale, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
Perché è importante il ruolo del case manager, e in quali termini?
Nella storia della professione infermieristica, fin dai primi anni del 1900, il modello organizzativo che coinvolge la figura del case manager ha contribuito notevolmente alla presa in carico globale della persona attraverso un’attività fondata su evidenze scientifiche e competenze di carattere manageriale, clinico, comunicativo, formativo e di ricerca, sia in ambito ospedaliero sia in ambito territoriale. Una figura professionale di “facilitazione” nella gestione di percorsi di pazienti selezionati per costo, volume, complessità assistenziale e DRG selezionati e attraverso la partecipazione attiva alla multidisciplinarietà, una risorsa nella creazione gestione e monitoraggio dei percorsi di cura.
All’interno delle nuove prospettive future, secondo Agenas, nel contesto della vera assistenza territoriale tra Case e Ospedali di comunità e Centrali Operative Territoriali, l’infermiere di famiglia e comunità è il candidato ideale al ruolo di case manager.
Ci può presentare l’Associazione Italiana Case Manager? Quali priorità e obiettivi vi siete posti?
L’Associazione Italiana Case manager è un’associazione no profit che ha la finalità di consentire ai propri “associati”, di sviluppare e approfondire tematiche inerenti il ruolo, l’autonomia decisionale, le competenze del case manager in ambito socio-sanitario, nonché nell’educazione terapeutica e nella promozione della salute, sviluppando e approfondendo lo studio e la ricerca dei processi di trasformazione delle professioni socio-sanitarie e dei modelli organizzativi e assistenziali basati sul case management anche attraverso la produzione di linee guida.
Attualmente il Consiglio Direttivo è composto da 7 rappresentanti infermieri provenienti da 3 Regioni Italiane: Emilia Romagna (la Presidente Virna Bui – Policlinico S. Orsola, Bologna), Lombardia (4 consiglieri: Cesare G. Moro – ASST Bergamo Ovest, Treviglio; Eugenia Pellegrino, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia; Lisa Forchini – ASST Bergamo Est Seriate; Annamaria Tanzi – ASST Pavia) e Veneto (2 consiglieri: Melania Nocente – AO Padova; Manuela De Toni – AULSS 6 Euganea).
L’Associazione sta lavorando in maniera prioritaria alla realizzazione di un documento che vada a definire il ruolo del case manager all’interno del modello organizzativo, con la definizione di linguaggio, metodologia e strumenti comuni.
Le richieste di formazione giunte in Associazione in questi ultimi 5 anni sono notevolmente aumentate
Attualmente è presente ancora disomogeneità e personalizzazione nella conoscenza del ruolo; l’uniformità dei comportamenti sarà la strategia futura per il “bisogno” sanitario e socio-assistenziale nei percorsi di cura. Le richieste di formazione giunte in Associazione in questi ultimi 5 anni sono notevolmente aumentate e in molte Regioni del centro e del sud si stanno avviando programmi di inserimento, pertanto tra gli obiettivi c’è quello di soddisfarle. Dopo la pandemia molte Regioni hanno manifestato la necessità di poter implementare il modello del case manager per il mantenimento della qualità nella gestione dei percorsi, a fronte di carenze di risorse umane, strategia che nella storia della professione infermieristica ha avuto un forte impatto di carattere organizzativo.
Sul tema della formazione, quali sono le competenze essenziali che un professionista deve acquisire come case manager in ambito sanitario? Ci sono criticità in questo senso?
Nel dicembre del 2018, in occasione del Consiglio Nazionale della Federazione degli Ordini degli infermieri, è stato presentato l’elenco dei master specialistici per le professioni sanitarie. Accompagnando in tal occasione la Presidente Virna Bui, ho potuto assistere alla presentazione e descrizione del Master di I livello per la funzione di Case manager. Questo percorso formativo ha l’obiettivo di “sviluppare competenze per una presa in carico integrata, appropriata e sostenibile, di pazienti complessi, affetti da multi-morbidità e a elevato rischio di frammentazione delle cure e di accessi e ricoveri inappropriati. Coordinare e gestire interventi di assistenza integrata con altri professionisti, utilizzando modalità e strumenti tipici del case management”.
La mappatura delle competenze del case manager all’interno del ruolo clinico e manageriale costituisce talvolta la vera criticità all’interno delle Aziende
La mappatura delle competenze del case manager all’interno del ruolo clinico e manageriale costituisce talvolta la vera criticità che i colleghi manifestano all’interno delle Aziende in cui vi è l’attribuzione di una parte del ruolo, o di un setting di cura e, generalmente non viene identificato incarico funzionale.
La mia esperienza personale all’interno della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia è iniziata nel 2015 con un progetto relativo alla chirurgia dell’obesità e le competenze individuate nella job description, attualmente in revisione, sono di ambito comunicativo/relazione, conoscitivo, manageriale, formativo, educativo e di ricerca. Un gran lavoro di identificazione e riconoscimento portato avanti dalla S.C. Direzione delle Professioni Sanitarie, diretta dalla Dr.ssa Giuseppina Grugnetti.
Oltre alla figura del case manager nel percorso di chirurgia bariatrica, in breve tempo, sono stati identificati e riconosciuti altri 6 case manager di ambito breast unit, nefrologico, oncoematologico pediatrico, cardiologico, oncologico e sono in corso negli ultimi mesi ulteriori identificazioni e costruzioni di percorsi.
La preparazione del case manager ha previsto, come indicato dalla Fnopi, il conseguimento del diploma di Master di I livello istituito dall’Università degli Studi di Pavia con la Fondazione IRCCCS Policlinico San Matteo di Pavia. Ad oggi il percorso di chirurgia bariatrica, che ha come Responsabile il Dr Peri, presente all’interno della S.C. di Chirurgia Generale 2 diretta dal Prof. Andrea Pietrabissa, è sede di vari tirocini professionalizzanti di altri Atenei e Aziende Ospedaliere: Ospedale Cà Granda, Sant’Orsola Malpighi di Bologna, Humanitas Gavazzeni (sede Rozzano).
Esistono dei modelli a livello internazionale per la figura del case manager? Ci sono differenze con l’Italia e quali sono le possibili implicazioni di queste differenze per l’efficacia delle cure e la qualità dell’assistenza sanitaria?
La professione infermieristica e di conseguenza il ruolo del case manager ha differenze sostanziali nell’esplicitazione della professione, in termini di responsabilità e ruoli. Sintetizzare differenze e implicazioni comporta un importante lavoro di ricerca che l’Associazione sta conducendo da diversi mesi con la Fnopi e le varie Istituzioni dell’ambito infermieristico. Rispetto ai modelli d’assistenza infermieristica presenti nella storia della professione, l’evoluzione del Primary Nursing ha contributo alla nascita del case management.
Intervista a Simona Alexovits, Case Manager Osteoporosi, Ospedale La Colletta Arenzano (Genova)
Qual è il ruolo del case manager e in particolare nella gestione dei pazienti con osteoporosi?
L’infermiere case manager è il responsabile e regista di un percorso assistenziale personalizzato, un ruolo fondamentale per gli utenti, i caregiver, i familiari, che garantisce un adeguato itinerario diagnostico-terapeutico. È un punto di riferimento per il malato che viene preso in carico, sino a quando necessita di assistenza.
Nel nostro percorso, una volta ricevuti i nominativi dei pazienti ricoverati nei reparti di Riabilitazione Funzionale dell’Ospedale La Colletta, i dati relativi vengono analizzati dall’infermiere case manager insieme ai medici dedicati (il dottor Andrea Giusti, Responsabile SSD Malattie Metaboliche Ossee e Prevenzione delle Fratture nell’ Anziano, o la dottoressa Paola Diana, Specialista in Reumatologia nella SC di Reumatologia Ospedale La Colletta) e si procede all’impostazione di un’adeguata terapia, con l’individuazione di un Caregiver, in genere tra i familiari, e la definizione dei vari controlli da effettuare come esami sierologici, degli esami diagnostici (tra cui la Densitometria Ossea e/o radiografie, risonanze magnetiche), delle visite specialistiche e delle successive visite di controllo presso il nostro Centro. Le visite di controllo possono variare a seconda della terapia assegnata al paziente: ad esempio per le terapie sottocutanee i controlli sono a 6 mesi, per la terapia endovenosa a 12 mesi, per la terapia orale a 18 mesi, con screening telefonici periodici per verificare eventuali criticità.
L’infermiere case manager è il responsabile e regista di un percorso assistenziale personalizzato
Per agevolare i pazienti che sono soprattutto di età avanzata, personalmente cerco, con l’aiuto del sistema di prenotazione CUP Liguria, di fissare gli appuntamenti per le prescrizioni. Tutti questi dati vengono riportati dal medico sul programma di cartella ambulatoriale elettronica condivisa Reumarecord e su una scheda infermieristica, al momento cartacea, nata per il controllo di tutte le variazioni periodiche, dalle terapie a nuove segnalazioni di fratture, come promemoria per eventuali variazioni di appuntamenti e tutto ciò che riguarda l’anagrafica e recapiti dei pazienti. Una raccolta preziosa di dati aggiornati costantemente per un controllo a 360°, fondamentale soprattutto per monitorare l’aderenza terapeutica in questi malati osteoporotici ad alto rischio di rifrattura come prevede il percorso Fracture Liaison Service (FLS).
L’importanza del mio ruolo è quello di creare una catena a cui, i pazienti e i propri familiari (o caregiver), possano rimanere agganciati, utilizzando informazioni complete, chiare e comprensibili, per educare con istruzioni mirate a renderli indipendenti il più possibile, soprattutto nella gestione delle terapie, utilizzando anche mezzi comunicativi come l’uso della posta elettronica, soprattutto quando non abitano nelle vicinanze della struttura o devono spostarsi con i mezzi pubblici.
Tra 2018 e 2019 nel suo centro è stato implementato un nuovo percorso FLS: ci sono stati dei cambiamenti, dal suo punto di vista?
Attualmente nel nostro centro di Reumatologia presso l’Ospedale La Colletta di Arenzano, sono stati inseriti nel Progetto Licos (Liguria Contro Osteoporosi) all’incirca 500 pazienti gestiti da un medico e un infermiere case manager.
Questo progetto è stato avviato nel 2018, nell’Area Metropolitana di Genova, dall’Azienda Sanitaria Locale ASL3 Genovese ed è dedicato ai pazienti con frattura di femore da fragilità.
I cambiamenti sono stati notevoli con un’alta percentuale di crescita. I pazienti aderiscono volentieri a questo progetto perché dà loro un senso di “protezione”, di considerazione e supporto da figure professionali ospedaliere, anche nell’interazione con il loro medico di base e per possibili disguidi che, a volte, possono nascere con questa figura. Capita che alcuni medici non abbiano ancora una conoscenza approfondita del nostro lavoro e insorgano alcune difficoltà di comprensione, come, ad esempio, nella prescrizione di vitamina D.
Noi cerchiamo di aiutare i pazienti, che sentono di avere in noi un punto di riferimento.
Secondo lei, che cosa serve per esportare questa esperienza in altre realtà?
La flessibilità della struttura è un elemento fondamentale. Servirebbe inoltre una maggiore informazione e formazione su questo percorso, soprattutto verso i medici di base affinché siano a conoscenza di quello che noi facciamo.
Sarebbe necessaria più elasticità e dedicare delle risorse mirate a questo percorso, che consente di ottenere dei vantaggi, a breve e lungo termine, a favore dei pazienti e non solo: infatti, anche dal punto di vista della Asl, l’investimento sarebbe davvero utile in quanto si potrebbero ridurre in maniera significativa i costi da sostenere, ad esempio, per gli interventi chirurgici che, con il percorso FLS supportato dalla figura dell’infermiere case manager, sono notevolmente ridotti. Come attestano le esperienze di altri Paesi europei e del Regno Unito, che su questo tema sono molto più avanti di noi.
Sarebbe utile che anche in altre realtà venisse sviluppato questo tipo di percorso, però, a causa della mancanza di personale o di fondi, molto spesso, anche se sulla carta si aderisce a queste attività, nella pratica non si riesce a realizzarle.
Quando parliamo di risorse, si tratta di un medico, un infermiere e uno studio dedicato con un computer, e soprattutto la volontà di allocare delle risorse ad hoc.
Un altro elemento importante da sottolineare riguarda la formazione, sia in termini di adeguata esperienza lavorativa nell’ambito professionale che di percorso di studio ben specifico.