Cosa serve alla telemedicina in Italia? Una rivoluzione. Culturale e portata avanti dai medici, utilizzatori finali degli strumenti, insieme ai pazienti. Ne parliamo con Luigi Lavorgna, Neurologo del Policlinico di Napoli e Coordinatore del Gruppo Digitale della Società Italiana di Neurologia (Sin). Il sodalizio è da tempo in campo per la promozione della telemedicina e fa parte delle 16 fra società scientifiche e sanitarie che il prossimo 24 maggio presenteranno a Roma un documento condiviso con l’obiettivo di affiancare fattivamente e in modo cooperativo il generale processo di costruzione dell’Ecosistema digitale della sanità, per evitare che le trasformazioni e gli interventi in atto possano giungere senza tenere conto del punto di vista importante degli operatori sanitari e dell’impatto che modelli avanzati possano avere sui modelli organizzativi e fare in modo che l’innovazione possa decisamente essere messa a sistema utilizzando a pieno i fondi destinati dal PNRR.
Sin e telemedicina: che rapporto c’è?
La nostra società si può considerare un paradigma per la digital health in Italia. Alla radice di questa considerazione, c’è innanzitutto il dato epidemiologico che molte malattie croniche hanno un esordio più o meno giovanile: ci siamo trovati a fare diagnosi ai millennial, che hanno tutta la loro vita negli smartphone. Se hanno un problema di salute, per loro non c’è niente di strano nel doverlo gestire con lo smartphone o con un device come un braccialetto: per loro è normale. La sclerosi multipla ha fatto da apripista da questo punto di vista, poi l’orizzonte si è allargato in tutte le direzioni.
Come avete fatto?
Applicando il metodo scientifico. Abbiamo prodotto, già da prima della pandemia, pubblicazioni in tema di salute digitale applicata alle patologie neurologiche. Il gruppo di studio sul digitale della Sin, di cui ancora per poco sono il coordinatore, visto l’imminente rinnovo delle cariche, è stato coraggioso: ha cominciato a fare scienza sulla salute digitale, pubblicando su riviste con impact factor anche alto quali sono le possibilità di applicazione della salute digitale nelle diverse aree neurologiche, dalle patologie neuromuscolari addirittura allo stroke, alla Sla. L’abbiamo fatto per la sclerosi multipla, da dove tutto nato, ma anche per le demenze e per l’epilessia. Abbiamo anteposto la scienza alla necessità clinica: se la scienza lo dice si può procedere a una traslazione nell’attività clinica, ma non il contrario.
Quali sono le potenzialità della telemedicina in neurologia?
Il 90% degli iscritti alla Sin desidererebbe avere strumenti di telemedicina, ma li ha solo il 30%
Il polso ufficiale, che è descritto in una nostra pubblicazione, è frutto di un’indagine che abbiamo condotto internamente agli oltre 3mila neurologi italiani che aderiscono alla Sin: il 90% ha espresso il desiderio di avere supporti digitali, piattaforme o device per la telemedicina o social network per comunicare con i pazienti. Ma li ha solo il 30%.
Cosa manca per colmare questo gap?
La rivoluzione culturale. La telemedicina non c’è ancora nella mente del legislatore e dei direttori generali, forse perché appartengono a un’altra generazione e se la son vista per così dire “cadere addosso” questa salute digitale. Molti di loro, seppur con fatica, la accettano e cercano di supportarla, ma il processo è lento e difficile.
Cosa serve quindi per la rivoluzione?
La rivoluzione deve avvenire con la partecipazione dei medici
Questa rivoluzione deve avvenire con la partecipazione dei medici, perché come in tutte le rivoluzioni sono le masse a fare la differenza. Se la maggior parte dei neurologi si arrabbia e dice “Non ce la faccio più, ho bisogno della telemedicina”, la rivoluzione avviene. Per esempio, come facciamo a seguire altrimenti i pazienti con malattie rare neurologiche? Poniamo che siano quattro pazienti in tutta Italia, in tre Regioni: se non ho la telemedicina, come posso curarli con i più moderni e contemporanei risultati della scienza?
In base all’indagine che avete condotto internamente alla Sin, quanto sono inclini i neurologi italiani a usare gli strumenti digitali?
L’obiettivo dello studio Digital work engagement among Italian neurologists (Digital work engagement tra i neurologi italiani) era indagare l’impegno nella sanità digitale dei neurologi italiani nel periodo 2020/2021, analizzando il loro atteggiamento nei confronti dell’uso del digitale e valutando i cambiamenti nella loro relazione con i pazienti con l’uso di questi strumenti. Tra i dispositivi digitali, pochi partecipanti hanno riferito di utilizzare il tablet per scopi professionali, mentre gli smartphone sono risultati maggiormente utilizzati: sono più portatili, ampiamente disponibili e racchiudono diverse funzioni utili per la pratica clinica.
Per quanto riguarda i dispositivi indossabili, solo pochi neurologi li avevano a disposizione nella loro clinica, anche se alcuni desideravano utilizzarli: questo significa che i dispositivi wearable non erano completamente accessibili per la pratica clinica tra i neurologi che erano inclini a usarli. Al contrario, solo una parte degli intervistati desiderava avere a disposizione questi dispositivi, il che riflette il dibattito aperto sulla superiorità della tecnologia indossabile rispetto agli esami neurologici di follow-up per il monitoraggio continuo e da remoto dei pazienti.
Quasi la metà dei partecipanti nel periodo considerato ha comunicato con i pazienti attraverso i social network. Il 69% è stato disponibile a interagire con i pazienti sui social media e in generale ha riferito che l’uso dei social media ha migliorato il rapporto con i pazienti. Tuttavia, solo pochi neurologi si sono dichiarati completamente a favore dell'”amicizia” sui social network con i pazienti; non a caso, una piattaforma come Facebook, basata principalmente sulla condivisione di contenuti, viene utilizzata soprattutto per motivi personali piuttosto che professionali. Al contrario, WhatsApp, che può essere utilizzata per condividere rapidamente messaggi con individui selezionati, è stata più utilizzata nelle attività cliniche. La preferenza per l’app di messaggistica può essere spiegata con questioni di privacy o anche considerando la necessità di un dispositivo più rapido per veicolare informazioni cliniche in una situazione caratterizzata da notevoli vincoli di tempo.
Tuttavia, nonostante la messaggistica istantanea sia spesso percepita come semplice, economica ed efficace, gli utenti generalmente non sono consapevoli dei potenziali problemi di riservatezza, consenso e sicurezza dei dati e le linee guida per l’utilizzo di tali canali di comunicazione per la telemedicina devono ancora essere definite. In Italia, le norme sul segreto medico non danno indicazioni specifiche sulla protezione e la condivisione delle informazioni sui pazienti sui social media o, più in generale, sulla comunicazione personale online.
Un ulteriore aspetto rilevante da considerare quando si usano i social media o WhatsApp è la sicurezza dei dati
Un ulteriore aspetto rilevante da considerare quando si usano i social media o WhatsApp è la sicurezza dei dati. I rischi di accesso alle informazioni private dei pazienti e altri problemi di sicurezza informatica, come malware, attacchi ransomware o violazioni del sistema, dovrebbero essere attentamente valutati nella scelta dei sistemi di telemedicina. Ciò potrebbe valere anche per l’uso diffuso delle e-mail per comunicare con i pazienti e condividere informazioni cliniche, che sono esposte al rischio di violazione dei dati. Piattaforme online specifiche, come Microsoft Teams, Zoom o Webex sono considerate più conformi alla condivisione di informazioni sensibili e il loro utilizzo potrebbe essere preso in considerazione dalle organizzazioni sanitarie, almeno negli Stati Uniti, dove sono conformi all’Health Insurance Portability and Accountability Act. Secondo uno studio italiano, dal 1° marzo 2020 al 21 maggio 2020 sono stati sviluppati 138 strumenti di telemedicina, tra cui app, sistemi di web-conferencing e piattaforme online.
L’uso di strumenti di telemedicina in neurologia in Italia è omogeneo?
Anche in Italia c’è una spiccata eterogeneità nell’uso della telemedicina per la gestione delle patologie neurologiche
In tutto il mondo ci sono significative differenze nell’uso e nelle normative della telemedicina e la qualità o la disponibilità del supporto tecnologico varia ampiamente a causa dell’elevato costo delle infrastrutture di telemedicina, che dipende dalle risorse economiche dei singoli paesi. Anche in Italia c’è una spiccata eterogeneità nell’uso della telemedicina per la gestione delle patologie neurologiche; in particolare durante l’attuale pandemia si è registrato un aumento della sua attuazione, ma, come già accennato, occorre compiere maggiori sforzi per dotare i neurologi del supporto tecnologico per le visite, aumentare la digitalizzazione dell’assistenza sanitaria, ridurre al minimo i dispositivi digitali necessari e superare altri limiti logistici, garantire la protezione e la riservatezza dei dati dei pazienti e regolamentare il rimborso.
La propensione all’uso dei social media nella comunicazione con i pazienti è associata all’età avanzata e alla provenienza da regioni al di fuori del Nord Italia
Per quanto riguarda le caratteristiche demografiche che possono influenzare la comunicazione con i pazienti con i social network, il nostro studio ha confermato quanto già evidenziato in una precedente indagine: la propensione all’uso dei social media nella comunicazione con i pazienti è associata all’età avanzata e alla provenienza da regioni al di fuori del Nord Italia, mentre il sesso non ha alcun ruolo. È noto che persistono alcune differenze culturali e comportamentali tra Nord e Sud Italia e che i cittadini del Sud sono propensi a una maggiore fiducia negli altri o a comportamenti pro-sociali. Questo potrebbe spiegare perché i neurologi del Nord sono meno propensi all’uso dei social media per comunicare con i pazienti, poiché di solito hanno atteggiamenti più distaccati.
Per quanto riguarda il ruolo dell’età, i risultati possono apparire in contraddizione con la credenza comune secondo cui le generazioni più giovani sono ‘esperte di tecnologia’ e più propense all’uso delle tecnologie. Una possibile spiegazione potrebbe essere che i neurologi più giovani, soprattutto se neolaureati o ancora residenti, di solito non hanno un rapporto profondo con i loro pazienti. È anche possibile che i medici più giovani, che probabilmente hanno una maggiore conoscenza dei social media, siano più consapevoli dei rischi e dei limiti del loro utilizzo nelle attività professionali, essendo quindi meno inclini a comunicare attraverso di essi.