Legionellosi, il rischio negli ambienti sanitari è maggiore e richiede precise procedure di prevenzione

Sono necessari controlli periodici delle tubature e degli impianti di climatizzazione anche in ambiente domestico. Le infezioni nosocomiali hanno riguardato, nel 2023, il 3,2% dei casi totali notificati in Italia

L’infezione da Legionella pneumophila (LP) può rivelarsi grave e talvolta fatale, soprattutto nelle persone fragili e immunocompromesse. Il contagio in un contesto ospedaliero e sanitario è quindi particolarmente rilevante. Linee guida e normative specifiche stabiliscono le regole e procedure per prevenire il rischio di infezioni. TrendSanità ne ha parlato con Francesco Santi, presidente AIAS (Associazione Italiana Ambiente e Sicurezza).

Un batterio ubiquitario

In passato l’infezione da LP era comunemente nota come ‘malattia del legionario’. In realtà il batterio può provocare due tipi di malattie: la legionellosi, una polmonite batterica che nei soggetti più vulnerabili può avere esito fatale, e la febbre di Pontiac, condizione meno grave simile all’influenza, raramente identificata e che si risolve nel giro di qualche giorno.

Il batterio è naturalmente presente nell’ambiente; l’acqua è l’habitat ideale per il suo sviluppo e proliferazione, favoriti da incrostazioni, corrosioni e depositi calcarei, ristagno all’interno di boiler e serbatoi di accumulo e, secondo alcuni, studi anche dall’impatto del cambiamento climatico.

La temperatura ideale per lo sviluppo del microrganismo è tra i 20°C e i 40°C; temperature inferiori ai 20°C riducono la capacità di contaminazione, mentre temperature superiori ai 55°C portano alla morte del batterio.

La sua presenza all’interno delle tubature fa sì che il batterio possa essere veicolato da piccole particelle d’acqua nebulizzate, e facilmente inalato attraverso le prime vie respiratorie.

Francesco Santi

Spiega Francesco Santi, presidente AIAS: «La Legionella Pneumophila è considerata la più probabile causa di polmonite batterica; nella stragrande maggioranza dei casi l’infezione, che non è trasmissibile da persona a persona, viene contratta in ambito comunitario, quindi in contesti legati alla normale vita quotidiana». 

Al fine di prevenire la diffusione della legionellosi è necessario effettuare controlli periodici degli impianti di areazione e del sistema idrico. Anche in ambiente domestico è possibile che ristagni di acqua in scaldabagni e tubature non utilizzate (tipico è l’esempio delle case vacanza) e impianti di climatizzazione possano causare la diffusione della malattia.

Sorveglianza attiva

Attivo dal 1983, il sistema di sorveglianza nazionale della legionellosi dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) raccoglie informazioni specifiche sul quadro clinico e la possibile fonte di infezione per ogni caso di legionellosi diagnosticato. Il medico che accerta la diagnosi di legionellosi ha l’obbligo di compilare la relativa scheda di sorveglianza, inviandola alla ASL di competenza.

Secondo quanto riportato dal Bollettino Epidemiologico Nazionale nel 2023 in Italia sono stati segnalati al dipartimento di malattie infettive 3.911 casi di legionellosi, per il 74,9% concentrati in sole sei regioni: Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Lazio e Piemonte. L’incidenza aumenta al crescere dell’età, e raggiunge il valore massimo nella fascia degli ultraottantenni. Nei soggetti cardiopatici e con bronchite cronica ostruttiva, l’alterazione del sistema di difesa polmonare favorisce l’infezione. 

Il medico che accerta la diagnosi di legionellosi ha l’obbligo di compilare la scheda di sorveglianza, inviandola all’ASL

«Si tratta di una patologia a segnalazione obbligatoria, alla quale dovrebbe seguire una indagine da parte della ASL per cercare di individuare la causa del contagio. Inoltre il protocollo prevede che il sospetto di malattia sia verificato prima di iniziare la cura attraverso la ricerca dell’antigene urinario; una procedura che viene spesso ignorata, e che fa sì che la malattia sia sottostimata e sottodiagnosticata», aggiunge Santi.     

Contesti sanitari più a rischio

Il rischio di legionellosi è maggiore negli ambienti sanitari, non per una maggior prevalenza, ma per le condizioni di fragilità dei soggetti che in questi luoghi sono ospitati. Le infezioni nosocomiali hanno infatti riguardato, nel 2023, il 3,2% dei casi totali notificati in Italia. Si tratta di pazienti con età media di 72 anni ricoverati per cause legate a malattie di tipo cronico degenerativo, oppure oncologiche.

Negli ambienti sanitari sono considerate a rischio tutte quelle procedure che coinvolgono l’apparato respiratorio e prevedono la produzione di aerosol e l’uso di impianti idrici, tra cui terapie inalatorie, ventilazione assistita, broncoscopia, broncoaspirazione, broncolavaggio.

Il rischio di legionellosi è maggiore negli ambienti sanitari, non per una maggior prevalenza, ma la fragilità dei soggetti

Precisa Santi: «La contaminazione dell’impianto idrico sanitario all’interno di una struttura è la principale causa di infezione in caso di sistema immunitario deficitario; talvolta è sufficiente una minima contaminazione a livello dell’acqua per scatenare il contagio. L’erogazione di acqua calda sanitaria richiede controlli regolari; il batterio è resistente, ed è sufficiente un piccolo malfunzionamento o un lieve calo del biocida per far risalire le probabilità di diffonderlo nell’ambiente. Per effetto delle politiche di controllo e sensibilizzazione nel tempo, tuttavia, i casi nosocomiali sono decisamente diminuiti; circa 15 anni fa costituivano il 30% del totale dei casi registrati».

Normative specifiche per la gestione del rischio

Per tenere sotto controllo il rischio legionellosi è necessario adottare specifiche misure preventive e di controllo. La normativa per la sicurezza legata al rischio Legionella si articola in tre tappe.

Il Decreto Legislativo 81/2008 (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro) riguarda la gestione dei rischi sul luogo di lavoro e «stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di valutare tutti i rischi a cui espone non solo i propri dipendenti, ma anche tutti coloro che frequentano la struttura come visitatori esterni o altre persone autorizzate. La legionella viene identificata come agente biologico pericoloso; pertanto, a partire dal 2008, i datori di lavoro sono obbligati a effettuare una periodica valutazione del rischio specifico per questo batterio, e a prevedere piani di controllo e azioni correttive» afferma Santi.

«Nel 2015 l’introduzione delle Linee guida per il controllo e la prevenzione della legionellosi ha sistematizzato il processo e stabilito le modalità e frequenza di valutazione, fornendo inoltre dettagli sulle tipologie di impianti a rischio, come torri evaporative, sistemi di trattamento dell’acqua e di umidificazione. Gli edifici vengono classificati per priorità in base al rischio di contaminazione, con gli ospedali al primo posto, data la frequente presenza di pazienti vulnerabili con degenza continuativa, l’utilizzo di apparecchiature a nebulizzazione e la complessità degli impianti a elevato rischio, quali torri evaporative e unità di trattamento dell’aria. Seguono le strutture sanitarie senza residenza, come case di cura e ambulatori, e infine, con priorità più bassa, edifici civili come alberghi, uffici e fabbriche».

Tra le acque ad uso umano ci sono non solo le acque potabili, ma anche l’acqua utilizzata per il lavaggio

In seguito, il Decreto Legislativo 23 febbraio 2023, n. 18, ha recepito la direttiva europea sulle acque destinate ad uso umano (direttiva UE 2020/2184 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2020). Il Decreto ha ulteriormente dettagliato e rafforzato le indicazioni del 2015 confermando il monitoraggio obbligatorio degli impianti idrici degli edifici prioritari.

Aggiunge Santi: «La definizione di acque ad uso umano include non solo le acque potabili, ma anche quelle che entrano in contatto con il corpo umano, come l’acqua utilizzata per il lavaggio, che deve rispettare specifici requisiti fisici, chimici e biologici. In particolare, il decreto ribadisce che nessuna acqua, indipendentemente dall’uso, deve recare danno alle persone, e che la responsabilità della gestione della rete idrica interna e di distribuzione ricade sui rispettivi gestori. La normativa stabilisce che in tutti gli edifici con impianti di acqua potabile e sanitaria, sia fredda che calda, sia garantita la salubrità».

Con il decreto viene per la prima volta introdotta la figura del GIDI (Gestore della Distribuzione Idrica Interna) con il compito di realizzare la valutazione del rischio e comporre un team multidisciplinare per la valutazione di tutti i potenziali rischi connessi all’utilizzo dell’acqua, compresi quelli legati ad altri inquinanti che potrebbero essere presenti, per esempio il piombo.

Nel 2023 è stata introdotta per la prima volta la figura del Gestore della Distribuzione Idrica Interna (GIDI)

«Questo gruppo di lavoro si deve riunire almeno una volta all’anno per rivedere la valutazione del rischio» precisa Santi. «Nelle strutture sanitarie vige un regime di autocontrollo; nei punti sentinella (fondi dei boiler, ritorno del ricircolo, ingresso dell’acqua nei boiler e vari punti distali) i controlli dovrebbero essere fatti ogni tre mesi.

D’altra parte, le ASL hanno facoltà di predisporre ispezioni a seguito della segnalazione di eventuali casi oppure con piani mirati di prevenzione. Per quanto riguarda gli aspetti legali, la responsabilità giuridica del soggetto incaricato è diretta: qualora una persona contragga la legionellosi a causa di una mancanza di interventi adeguati di prevenzione, il referente sarà considerato responsabile per il danno subito dalla persona».

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Stefania Cifani
Giornalista in ambito medico-scientifico e medical writer