Si chiama drug repurposing e consiste nel “riposizionare” farmaci già approvati per nuove indicazioni terapeutiche. Si tratta di una branca di ricerca molto promettente perché permette di risparmiare tempo e risorse riuscendo a sperimentare molecole su malattie rare o su patologie per le quali serve una certa velocità.
Si calcola infatti che per lo sviluppo di una nuova molecola (dalla produzione all’approvazione, passando per le varie fasi della sperimentazione preclinica e clinica) generalmente siano necessari 12-15 anni e circa 2-3 miliardi di euro. Per la valutazione di un riposizionamento, invece, occorrono dai 6 ai 7 anni e circa 300 milioni di euro.
“Fino a poco tempo fa il drug repurposing era interessante soprattutto dal punto di vista accademico – spiega Alfredo Budillon, direttore scientifico dell’Istituto nazionale Tumori Irccs Fondazione G. Pascale di Napoli – Con il Covid ne abbiamo tutti visto l’utilità”.
Durante la pandemia, infatti, sono stati usati medicinali già approvati e disponibili sul mercato, come gli antivirali, il tocilizumab o l’interleuchina 6.
Proprio l’emergenza sanitaria ha accelerato alcuni processi: “Da tempo c’era consapevolezza che il drug repurposing potesse essere utile anche per il sistema sanitario, a patto che si riuscissero a coinvolgere tutti gli attori: oltre all’accademia, anche le aziende e le associazioni di pazienti – ripercorre Budillon – A settembre 2022, dopo un lungo lavoro preparatorio, è partito Remedi4All, un progetto europeo da 23 milioni di euro che coinvolge ben quattro realtà italiane”.
Si tratta di un consorzio multidisciplinare che comprende 24 istituzioni, associazioni e centri di ricerca in 10 Stati membri. A capo di tutto, c’è Eatris, l’European advanced translational research infrastructure in medicine, l’infrastruttura europea per la medicina traslazionale nata nel 2007 per mettere insieme risorse e servizi per le comunità di ricerca e tradurre le scoperte scientifiche in benefici per i pazienti. In Italia, oltre al Pascale, sono coinvolti anche l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, l’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna e Dompé farmaceutici.
Quattro progetti pilota
Budillon dal 2005 è direttore della struttura complessa di Farmacologia sperimentale dell’istituto napoletano, una struttura dedicata allo sviluppo del farmaco, dal banco di laboratorio al letto del paziente. “Da una decina d’anni abbiamo iniziato a occuparci del riposizionamento dei farmaci in oncologia – spiega – Una delle molecole su cui abbiamo lavorato di più è stata l’acido valproico per il tumore al pancreas. Si tratta di un antiepilettico conosciuto da oltre 40 anni e molto sicuro, usato anche per prevenire le crisi epilettiche legate a febbre alta nei bambini”.
Il tumore al pancreas è uno dei più aggressivi e per il quale non esistono farmaci davvero efficaci (la terapia di prima linea consiste nella chemioterapia). Proprio grazie a questa esperienza, il progetto del Pascale è uno dei quattro progetti dimostratori selezionati all’interno di Remedi4All.
Gli altri tre riguardano il Covid-19 e due malattie rare: osteogenesi imperfetta (il cui centro di riferimento è il Rizzoli) e malattia di Austin.
La creazione del consorzio è finalizzata alla realizzazione di una piattaforma in grado di permettere il drug repurposing in qualsiasi aerea terapeutica
La creazione del consorzio è finalizzata alla realizzazione di una piattaforma in grado di permettere il drug repurposing in qualsiasi aerea terapeutica, fornendo competenze e servizi lungo tutta la catena di attività (scientifica, metodologica, finanziaria, legale, normativa, intellettuale). “L’ambizione è che questa infrastruttura sia self-sustainable tra cinque anni”, spiega Budillon, che è anche co-chair della piattaforma di prodotto dedicata alle small molecules di Eatris.
Contemporaneamente, saranno sviluppati i quattro progetti dimostratori “perché l’Unione europea ci chiede anche di fare scienza, oltre che di costruire una piattaforma che viva oltre al progetto”.
Lo studio guidato dal Pascale, in particolare, si occuperà di analizzare la fase preclinica e quella clinica dell’utilizzo di acido valproico più simvastatina in associazione con la chemioterapia convenzionale come approccio terapeutico di prima linea per il cancro del pancreas.
L’Istituto ortopedico Rizzoli, invece, lavorerà sull’osteogenesi imperfetta, una malattia che rappresenta la causa ereditaria più comune di fragilità ossea. Attualmente non è disponibile nessun farmaco per il suo trattamento.
Le sfide
Le sfide principali del drug repurposing riguardano il coinvolgimento delle aziende e l’aspetto normativo
Le due sfide principali del drug repurposing riguardano il coinvolgimento delle aziende e l’aspetto normativo. Sul primo aspetto Budillon è ottimista: “Le case farmaceutiche hanno in pipeline decine di molecole che sono fallite, vuoi per tossicità, vuoi per mancanza di efficacia – ricorda – Credo che potrebbe essere di loro interesse lavorare con l’accademia per sviluppare uno di questi farmaci, di cui poi deterrebbero un brevetto”. Finora, l’industria ha accolto tiepidamente il riposizionamento di farmaci, preferendo concentrarsi sulle strategie di drug discovery tradizionali, più lunghe e costose, ma che garantiscono un maggiore ritorno quando vanno in porto.
Dal punto di vista normativo, invece, il drug repurposing è una pagina bianca (e da qui la seconda sfida): “Non è chiaro se, una volta dimostrata l’efficacia in un’area terapeutica differente di una molecola già approvata, questa possa avere diretto a un iter autorizzativo più breve – rileva Budillon – Così come non è chiarissimo chi debba depositare la domanda”.
Infine, in caso di successo, il prezzo del farmaco andrebbe concordato in modo diverso, essendo il risultato di una ricerca che ha coinvolto anche enti pubblici, oltre all’azienda.
Pur vedendo questi ostacoli, il direttore scientifico del Pascale mantiene un certo ottimismo: “Tra i partner di Remedi4All c’è BfArM, l’ente regolatorio tedesco. La sua presenza è finalizzata proprio a analizzare come si potrebbe modificare l’impianto normativo affinché ci sia un vantaggio per tutti. Io credo che l’ecosistema dovrà cambiare: i cinque anni del progetto serviranno anche per questo”.
La centralità dei pazienti
Centrale anche il coinvolgimento delle associazioni di pazienti, chiamate a evidenziare quali siano i bisogni di salute insoddisfatti. La piattaforma, infatti, sarà disponibile a tutti gli Stati membri: chiunque abbia un bersaglio terapeutico che risponde a un bisogno non soddisfatto di salute e un’idea di drug repurposing può entrare a farne parte.
“Già dal secondo anno inizieremo a esaminare i primi progetti esterni”, assicura Budillon. La partenza sarà costituita da un’idea, un abstract e i dati preliminari, dopodiché la piattaforma affiancherà i diversi team nello sviluppo.
All’interno della piattaforma, un work package capitanato da Eurordis (l’associazione delle malattie rare) ha il compito di giudicare i progetti da un punto di vista patient centric, sviluppando il processo di patient engagement.
Siamo convinti, come anche l’Europa suggerisce, che la co-progettazione con i pazienti sia essenziale per individuare i veri bisogni
“Siamo convinti, come anche l’Europa suggerisce, che la co-progettazione con i pazienti sia essenziale per dissezionare quelli che sono i veri bisogni dei beneficiari finali dell’attività di ricerca che facciamo – osserva Budillon – È fondamentale che il paziente intervenga in tutte le fasi del progetto e dello studio, fornendo il suo apporto e prendendo parte alle decisioni sulle priorità e modalità di sviluppo di quel farmaco”. Un paziente ha infatti una sensibilità diversa rispetto a un ricercatore: può essere più interessato, per esempio, alla qualità di vita assicurata da una molecola rispetto alla pura efficacia di un farmaco.
A marzo Medicine for Europe ha pubblicato un libro bianco sul drug repurposing: pur riconoscendo il potenziale (in gran parte ancora inespresso) di questa strategia, il documento elenca una serie di questioni aperte per la sua applicazione in Europa.
In particolare l’associazione, che rappresenta le industrie farmaceutiche europee di generici, biosimilari e farmaci a valore aggiunto, ha sottolineato due necessità:
- riconoscere i medicinali a valore aggiunto, compresi i farmaci frutto di riposizionamento, come una categoria separata di farmaci nella legislazione dell’Unione europea, con un percorso normativo dedicato e incentivi adeguati;
- stabilire adeguati percorsi di rimborso per i medicinali a valore aggiunto
Anche queste questioni potranno essere sciolte nei prossimi cinque anni, grazie a Remedi4All e ad altre iniziative che nasceranno attorno a questa strategia che si deve ancora strutturare.