Esistono studi rigorosi che mostrano come per ogni sterlina spesa su arte e partecipazione culturale, il ritorno dell’investimento sia 4-5 volte superiore». Così Enzo Grossi a TrendSanità, a margine dell’evento “La cultura come risorsa per la salute. Salute & Cultura – L’altra dimensione della cura”, che si è tenuto il 4 e il 5 giugno a Torino. Epidemiologo, ricercatore, socio di CCW-Cultural Welfare Center, durante l’incontro Grossi ha fornito una panoramica della letteratura esistente: «Il corpus delle prove scientifiche sul ruolo delle arti nella promozione della salute in soggetti sani e malati è impressionante – ha affermato -: più di 10mila studi scientifici, oltre 3mila studi clinici randomizzati e centinaia di revisioni sistematiche e metanalisi, con i più rigorosi criteri di valutazione solitamente usati in campo farmaceutico. Tutto questo si può e deve tradurre in azioni politiche».
Anche l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) ha prodotto un report che riassume i risultati dei lavori pubblicati tra il 2000 e il 2019, che hanno a che fare con la prevenzione delle malattie e la gestione della salute.
I problemi
Eppure, nonostante questi dati, è complicato inserire in modo sistematico la partecipazione culturale all’interno dei percorsi dedicati alla salute: «Prima di tutto c’è un problema di formazione della classe medica – afferma Grossi -. Questo tipo di filosofia è rimasto estraneo al mondo della medicina tradizionale occidentale. Ancora oggi nelle facoltà di Medicina non si parla della possibilità di intervenire, soprattutto in ambiti dove non ci sono farmaci a disposizione, con metodologie di coinvolgimento artistico e culturale delle persone». E l’effetto rischia di essere controproducente: «Se un cittadino sente parlare di questi temi e si rivolge al proprio medico per saperne di più, è probabile che verrà dissuaso o quantomeno l’efficacia di questi strumenti sarà ridimensionata proprio perché il dottore non conosce questa letteratura».
E poi c’è il nodo delle risorse: «La sanità non deve essere vista a silos: noi non dobbiamo competere con i farmaci. Esistono territori dove questi non hanno nessun ruolo, come nella promozione della salute. Esistono metodologie strutturate che si possono seguire, senza la necessità di intraprendere sperimentazioni ex-novo per dimostrarne l’utilità».
E in alcuni ambiti lo si potrebbe fare a costo zero: «Se si vuole per esempio risparmiare l’utilizzo di analgesici durante la colonscopia, si può consigliare al paziente una playlist da scaricarsi in autonomia e portarsi il giorno della visita, traendo sollievo dall’ascolto».
La prescrizione sociale
«Nei paesi nordici e nel mondo anglosassone è adottata almeno da tre decadi ed è un mezzo che consente ai professionisti e ai servizi sanitari di utilizzare risorse non sanitarie presenti nella comunità per rispondere ai bisogni dei propri pazienti, migliorandone la salute e il benessere – ha ricordato Giovanni Capelli, direttore del Centro nazionale per la promozione della Salute e prevenzione delle malattie dell’ISS-Istituto superiore di Sanità -. Le prove scientifiche dimostrano che i fattori sociali, come per esempio l’istruzione, il reddito e le condizioni abitative influenzano i comportamenti sanitari e hanno un forte impatto sulla salute. È quindi necessario ripensare l’equilibrio tra il modello di cura biomedico e quello sociale e psicologico nella pratica clinica, favorendo un approccio più personalizzato alle cure».
Le prove scientifiche dimostrano che i fattori sociali come istruzione, reddito e condizioni abitative influenzano i comportamenti sanitari e hanno un forte impatto sulla salute
La prescrizione sociale lavora proprio sui determinanti sociali della salute, riducendo potenzialmente la domanda di assistenza sanitaria e i relativi costi. Si rivolge in particolare alle persone che richiedono un supporto emotivo e sociale superiore a quello che può essere reso disponibile nell’assistenza sanitaria, come per le persone con patologie croniche o socialmente isolate, con disturbi mentali o vulnerabili a causa dell’età o della condizione economica.
In Italia ci sono quasi 4mila musei e circa 9mila biblioteche: una rete di servizi culturali che è già una risorsa e che potrebbe essere attivata per rispondere a questi bisogni.
Il canto per combattere la depressione post partum
Ilaria Lega, Prima ricercatrice presso il Reparto di Salute della Donna e dell’Età evolutiva, Centro per la Prevenzione delle malattie e la Promozione della salute dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha riportato l’esperienza di Music and Motherhood, un pilota che ha adattato alcune linee guida internazionali al caso italiano. Sono stati coinvolti alcuni consultori famigliari a livello nazionale, che a loro volta hanno intercettato 23 donne con sintomi di depressione post partum. «Si è trattato di un trial clinico di 10 settimane nel quale l’esperienza del canto di gruppo è stata confrontata con altri approcci – spiega Lega -. Questo metodo ha mostrato risultati più rapidi rispetto ad altri».
L’OMS ha scelto contesti culturali diversi in cui sperimentare questo protocollo.
«Abbiamo deciso di coinvolgere i consultori familiari perché sono tra i servizi che per primi hanno individuato l’importanza della promozione della salute mentale della donna in gravidanza e del dopo-parto. Parliamo anche di situazioni non patologiche, ma di disagio che spesso non trovano una risposta adatta nei servizi di salute mentale».
Una volta individuati i partner dell’iniziativa, la difficoltà vera sono state le risorse: per il pilota non era previsto un riconoscimento economico per il lavoro svolto. «Il personale dei servizi consultoriali è accomunato da una grande passione e entusiasmo, ma sarebbe fondamentale avere fondi dedicati», rileva l’esperta.
Adesso, alla luce dei dati internazionali e di questo pilota, il protocollo sarebbe pronto per essere inserito nell’uso clinico. «Spetterebbe quindi a aziende e Regione reperire le risorse per implementare il progetto – rileva Lega -. L’investimento, poi, sarebbe minore di quanto richiederebbe una terapia psicologica individuale o di gruppo», conclude.
Il dialogo intersettoriale
Gli obiettivi della due giorni sono stati sintetizzati da Annalisa Cicerchia, Professoressa di Economia della Cultura all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Prima ricercatrice ISTAT, Vice Presidente di CCW: «Vogliamo delineare modelli di interazione tra mondi diversi che possano moltiplicare l’efficacia, la replicabilità e lo sviluppo di competenze trasversali».
Per farlo, è necessario lavorare sul dialogo intersettoriale.
Da qui le linee di impegno per il futuro: «Non mi piace chiamarle sfide – afferma Cicerchia a TrendSanità -: diffondere competenze insistendo sul dialogo tra ambiti diversi e portare un sostegno robusto alla capacità di progettare, valutare e rendicontare i risultati e gli impatti».
Non solo fare quindi, ma anche saper misurare e replicare i protocolli adottati. In questa direzione, l’8 marzo 2020, il primo giorno del primo lockdown, per rispondere con impatto alle grandi sfide sociali acuite dalla pandemia, da esperti provenienti da diverse discipline è nato a Torino CCW-Cultural welfare center, il primo centro italiano di ricerca su Cultura e Salute, per accompagnare la ricerca valutativa, l’innovazione con la ricerca-azione e la costruzione di competenze e i decisori.
Sottolinea Catterina Seia, presidente del CCW – Cultural Welfare Center: «Le politiche europee danno forti segnali di legittimazione alla relazione tra Cultura e Salute, indicata dall’Agenda Europea della Cultura 2030 come pilastro per le prossime decadi e il Piano di lavoro UE per la Cultura 2023-2026 include tra i 21 assi l’obiettivo di potenziare la partecipazione culturale. Va sostenuta la ricerca valutativa e costruite nuove competenze sulle medical humanities. CCW con la CCW School ha formato oltre 3000 professionisti in Italia e ha lanciato la terza edizione del Master Executive Cultura & Salute».
La due giorni è stata possibile grazie a: Reti HPH Piemonte Italia e Internazionale, Università di Torino – Dipartimento Scienze Chirurgiche; CCW – Cultural Welfare Center ETS, in collaborazione con MAMD – Fondazione Medicina a Misura di Donna; DoRS – Centro di Documentazione per la Promozione della Salute Regione Piemonte; ISS – Istituto Superiore di Sanità; Università di Chieti e Pescara – Centro BACH e con la partecipazione di Osservatorio Culturale del Piemonte, Istituto dei Sordi di Torino, Biblioteche civiche torinesi, SCT – Social Community Theatre Centre, Centro Scienza e Fondazione Compagnia di San Paolo.