Si è riacceso il dibattito sul ruolo delle evidenze cliniche nel contesto delle patologie rare, dove la disponibilità di opzioni terapeutiche è spesso limitata e l’accesso ai trattamenti può dipendere da percorsi regolatori complessi.
L’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), dopo un prolungato periodo di revisione, ha infatti revocato l’autorizzazione al commercio di due farmaci per malattie rare: Ocaliva (acido obeticolico), usato per la colangite biliare primitiva, e Translarna (atarulen), terapia per la distrofia muscolare di Duchenne. La decisione arriva dopo che gli studi clinici richiesti a seguito dell’autorizzazione iniziale (rilasciata con procedura accelerata, detta “condizionata”) non hanno confermato i benefici attesi.
L’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata è una forma di approvazione accelerata concessa dall’EMA per farmaci destinati ai malati gravi, rari o con bisogni medici insoddisfatti o in caso di emergenze sanitarie: il farmaco può essere commercializzato prima di avere a disposizione i dati completi di efficacia e sicurezza, perché il beneficio di un’immediata disponibilità del farmaco supera i dubbi derivanti dalla mancanza di dati clinici completi. L’azienda farmaceutica deve, quindi, fornire altri dati clinici dopo l’approvazione e l’autorizzazione è successivamente verificata per confermare il rapporto rischi/benefici.
Dopo il ritiro EMA, il nodo dell’accesso per Ocaliva e Translarna
In Italia, l’Aifa ha respinto la richiesta di inserire Ocaliva nella Legge 648, che consente l’accesso a terapie prive di alternative, motivando il diniego con la bocciatura europea. Al momento, l’unica possibilità per garantire continuità terapeutica ai pazienti sono i complessi e limitati programmi di uso compassionevole del farmaco, avviati dal DM 7 settembre 2017, che prevedono la fornitura diretta e gratuita da parte del produttore. Per Translarna, invece, la Commissione europea lascia ai singoli Stati membri la decisione di proseguirne l’utilizzo, considerando i dati raccolti che ne dimostrano benefici per alcuni pazienti.
Le associazioni di pazienti denunciano l’assenza di alternative terapeutiche e chiedono revisioni normative che valorizzino le evidenze reali (real life), più adatte alle specificità delle malattie rare. Molte le critiche alla rigidità delle procedure regolatorie europee, con appelli urgenti affinché si definiscano rapidamente percorsi per tutelare efficacemente il diritto alla cura e la continuità terapeutica delle persone affette da malattie rare. I real world data, ovvero le evidenze raccolte nella pratica clinica quotidiana, hanno un ruolo fondamentale nello studio delle patologie rare, soprattutto alla luce delle difficoltà e delle specificità che caratterizzano i trial clinici per queste patologie orfane.
Ne abbiamo parlato a TrendSanità con Ilaria Ciancaleoni Bartoli, fondatrice e direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare, e Marco Rasconi, presidente UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
Efficacia teorica vs risultati reali

«Ocaliva e Translarna sono stati utilizzati da centinaia di persone in tutta Europa e ritirati dal commercio perché non sono riusciti, secondo gli studi clinici (ma non secondo la real life), a dimostrare un beneficio significativo. Il ritiro è avvenuto sulla base di studi randomizzati – ci spiega la direttrice di Omar. È il caso sia di Ocaliva, sia di Translarna. Uno dei problemi è che non sono stati presi sufficientemente in considerazione i dati dei pazienti (real world) durante la pratica clinica di ogni giorno, che erano buoni, mentre quelli dei trial non lo erano altrettanto.
Nel trial clinico c’è un gruppo di pazienti detto “di controllo” che non sa se sta assumendo il farmaco oppure no. Se fai uno studio clinico e il farmaco non è disponibile, è normale che le persone aderiscano allo studio, ma quando il farmaco è già in commercio e lo stanno prendendo in tanti, perché un paziente dovrebbe rimanere in una sperimentazione con il rischio di non curarsi? Così molti pazienti sono usciti dal trial e, di conseguenza, la significatività statistica si è abbassata. Si tratta di un problema metodologico che andrebbe affrontato dall’EMA e dalla FDA.
Se si concede l’autorizzazione condizionata, e quindi si permette ai pazienti di usare il farmaco, è impensabile chiedere di fare un trial in doppio cieco
Se occorre controllare la validità del farmaco, va fatto entro due o tre anni, comunque non dopo nove, perché non si possono lasciare le persone in terapia così a lungo e poi togliere il trattamento. Quindi, il problema è legato alle regole e ai metodi utilizzati e imposti a livello europeo, laddove oggi esistono o devono essere individuati modi diversi di fare i trial che non prevedano di chiedere a persone con patologie serie di rinunciare alla certezza della terapia per entrare in un trial. Inoltre, è assurdo non aver previsto prima soluzioni per casi come questi, che potevano avvenire come, infatti, si è verificato: ora non possiamo lasciar passare tempo e poi trovarci di nuovo in queste condizioni».

«Per Translarna gli endpoint primari del farmaco non sono stati raggiunti – aggiunge Rasconi, mentre quelli secondari sì. Abbiamo visto che i bambini con distrofia di Duchenne riescono a camminare tre anni e mezzo in più, ritardando così l’avanzare della malattia. Ciò comporta un miglior flusso sanguigno, maggiore resistenza ossea e benefici alla parte respiratoria. Non è una cura, ma permette di arrivare, quando ci sarà una cura, in condizioni migliori. E questo lo dicono i clinici che studiano questa patologia da anni, riconosciuti a livello internazionale».
Nessuna alternativa terapeutica
«Purtroppo, EMA non aveva previsto alcuna soluzione alternativa – prosegue Ciancaleoni. La loro posizione è: il farmaco non funziona, lo togliamo e basta. Ma ai pazienti cosa succede? Attualmente, per quanto riguarda la colangite biliare primitiva, Francia e Spagna hanno trovato una soluzione normativa per garantire continuità terapeutica. In Italia, invece, non è stato possibile con le norme attuali. Pazienti e medici stanno cercando metodi alternativi attraverso l’uso nominale dei farmaci, cioè accesso ai farmaci non ancora autorizzati per quella specifica indicazione, su richiesta medica individuale. È una possibilità spesso adottata in situazioni di emergenza terapeutica per malattie gravi o rare, nell’ambito del cosiddetto uso compassionevole, in cui i medici si prendono responsabilità personali e amministrative. Ma è complicato e spesso c’è l’interruzione della terapia e parecchia incertezza. Per Translarna, invece, negli ospedali c’erano delle scorte che però finiranno nel giro di poche settimane e ancora non si sa quale soluzione potrà essere adottata.
Le associazioni di pazienti chiedono modifiche normative e maggiore considerazione dei dati real world, perché restare ancorati al doppio cieco come unico gold standard oggi non è più sufficiente. EMA non ha dato risposte soddisfacenti, limitandosi a dire che hanno seguito correttamente le procedure. Ma è proprio la procedura che non va bene, non il modo in cui l’hanno seguita.
Il problema non riguarda la sicurezza, mai messa in discussione per entrambi i farmaci, ma la ridotta efficacia attestata dagli studi clinici randomizzati
Per la Duchenne la situazione è particolarmente grave, perché non ci sono terapie alternative, né a breve né a lungo termine. Per la colangite biliare primitiva in parte è diverso, perché esiste una prima linea terapeutica, ma ci sono comunque pazienti che non rispondono e che rischiano di dover ricorrere al trapianto di fegato, una procedura molto invasiva e molto costosa.
Alla fine, il problema non riguarda la sicurezza, che non è mai stata in discussione per entrambi i farmaci, ma solo una presunta scarsa efficacia dimostrata dagli studi clinici randomizzati. Però negare una terapia, anche poco efficace secondo i loro criteri, significa lasciare i pazienti senza alcun trattamento. E questo è sicuramente peggio che avere un farmaco di efficacia ridotta».
Cosa si può fare
«Proveremo a fare ricorso alla Corte di Giustizia Europea, organizzandoci con le famiglie e le associazioni di categoria – ci dice il presidente UILDM. Molti esperti stanno chiedendo alla Commissione di rivalutare i parametri di valutazione dei nuovi farmaci. Esiste anche una discrepanza importante tra EMA e FDA, dato che l’FDA ha approvato il farmaco. Bisognerebbe capire il motivo di queste differenze.
Per i pazienti in trattamento con Translarna sarà sospesa la cura. Stiamo cercando di capire se possiamo arrivare all’uso compassionevole almeno per i farmaci già in stoccaggio. Però se un bambino si ammala adesso, non possiamo dargli il farmaco perché non c’è alternativa e mettere tutto nelle mani degli avvocati vuol dire perdere tempo prezioso. Sono due anni che queste famiglie combattono e giustamente si chiedono: se i clinici dicono che funziona, perché fermarsi?
Mancano terapie alternative e i nuovi farmaci in arrivo sono più efficaci in combinazione con Translarna. In Europa poi non ci sono farmaci approvati per la Duchenne, mentre negli Stati Uniti ce ne sono sei. Questo spinge spesso le famiglie a migrare per essere curati, almeno chi può farlo.
La vera battaglia riguarda l’accessibilità alle cure, al lavoro e alle terapie. Non è giusto che una persona debba spostarsi per curarsi, con conseguenti sacrifici enormi per le famiglie».