Obesità: la sfida italiana tra legge, assistenza e stigma

Con l’approvazione alla Camera della proposta di legge sull’obesità, l’Italia fa un primo passo nel riconoscere l’obesità come una malattia cronica. Le voci di esperti e associazioni tracciano un quadro tra speranze, ostacoli e urgenze concrete

Negli ultimi 20 anni abbiamo avuto quasi un +40% delle persone che ne soffrono nel nostro Paese, con un incremento tra le persone più giovani e le donne. Sono questi alcuni dei dati presentati all’ultimo Italian Barometer Obesity Forum sull’obesità, una condizione che è ancora considerata una comorbidità o una complicanza.

In Italia è in discussione una legge che prevede il pieno riconoscimento della malattia, oltre all’istituzione di un osservatorio nazionale e a misure per arginare lo stigma e tenere sotto controllo gli aspetti economici. Il nostro Paese si trova quindi a un bivio importante nella gestione dell’obesità: se da una parte sta crescendo la presa di coscienza clinica e istituzionale sul fatto che si tratti di una malattia cronica, complessa e multidimensionale, dall’altra persiste il vuoto nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e un sistema di cure ancora frammentato e disomogeneo. La recente approvazione alla Camera del disegno di legge è un passaggio importante, ma il percorso per il pieno riconoscimento e soprattutto per la messa a terra delle buone pratiche è ancora lungo. 

L’obesità riconosciuta come malattia

«La discussione sul riconoscimento dell’obesità come malattia autonoma in Italia è relativamente recente – ricorda Gianluca Aimaretti, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (SIE) – e questo spiega perché ancora oggi lo stigma sia così forte, persino tra gli operatori sanitari». Secondo l’esperto, è fondamentale superare l’idea dell’obesità come semplice conseguenza di uno stile di vita scorretto. «Ci sono componenti genetiche, ambientali, neuroendocrine ancora poco conosciute. È una malattia vera e propria e come tale va trattata, con percorsi di diagnosi, cura e prevenzione».

Gianluca Aimaretti

Il disegno di legge, approvato alla Camera e ora all’attenzione del Senato, apre finalmente alla possibilità di introdurre prestazioni specifiche per le persone con obesità tra i LEA. «È un segnale positivo, soprattutto per i pazienti che finora hanno dovuto sostenere quasi tutto di tasca propria – sottolinea Aimaretti – ma serve cautela e attenzione per evitare squilibri nei costi farmaceutici. Bisogna partire dalle basi: stile di vita, educazione, prevenzione».

Pazienti invisibili: «Ora servono cure garantite e accessibili»

Per le associazioni di pazienti, la legge rappresenta un riconoscimento atteso da tempo. «Oggi, se una persona con obesità vuole curarsi, spesso deve rivolgersi al privato – denuncia Iris Zani, presidente di FIAO –. Non esiste un percorso pubblico codificato, se non per la chirurgia bariatrica, che peraltro è riservata ai casi più gravi».

La Federazione Italiana Associazioni Obesità nasce proprio con l’obiettivo di unire le voci di realtà differenti ma accomunate dallo stesso obiettivo: portare alla luce l’urgenza dell’obesità come priorità sanitaria. «Serve un registro nazionale dei pazienti, occorrono prestazioni riconosciute nei LEA e soprattutto bisogna intervenire a monte, con programmi di prevenzione scolastica e campagne culturali – continua Zani –. Non possiamo più permetterci di essere il Paese con i tassi più alti di obesità infantile in Europa».

Senza un cambiamento culturale, anche la migliore legge resterà inefficace

Il nodo dei farmaci è un’altra questione aperta. Oggi, trattamenti come semaglutide e tirzepatide – già riconosciuti per efficacia – sono accessibili solo a pagamento. «L’AIFA ha aperto alla possibilità di future sperimentazioni gratuite per categorie selezionate – conferma Zani –. È una speranza concreta, ma bisogna fare in fretta».

Il cuore dei pazienti obesi: una priorità cardiologica

L’obesità è un fattore di rischio diretto per le malattie cardiovascolari. «Nei nostri ambulatori, il 20% dei cardiopatici è obeso e oltre il 40% è in sovrappeso – spiega Giuseppe Musumeci, Direttore S.C. Cardiologia, Ospedale Mauriziano di Torino –. E l’obesità, oltre a peggiorare ipertensione, colesterolo e diabete, è di per sé un moltiplicatore del rischio cardiaco».

Giuseppe Musumeci
Giuseppe Musumeci

Al Mauriziano di Torino è nato un PDTA multidisciplinare dedicato al paziente obeso cardiopatico, ora in estensione ad altri centri in Piemonte e Liguria. «Abbiamo integrato cardiologi, dietologi, farmacisti e direzione sanitaria in un modello collaborativo – racconta Musumeci –. I farmaci, anche se a carico del paziente, sono stati inclusi nel percorso: si discute insieme al paziente su quale sia l’opzione migliore per efficacia, effetti collaterali e sostenibilità».

Secondo Musumeci, il principale ostacolo non è economico, ma culturale. «Serve formazione. Non basta prescrivere una dieta. Bisogna considerare l’obesità come una condizione clinica cronica, da affrontare con strumenti moderni e condivisi».

Centri dedicati, formazione e multidisciplinarietà: la nuova rete che serve

Uno degli obiettivi prioritari, come ricordato da Aimaretti, è creare una rete capillare di Obesity Clinic, ambulatori dedicati che offrano un approccio integrato: endocrinologi, dietisti, psicologi, fisiatri, infermieri e, quando necessario, chirurghi. «Stiamo lavorando come Società Italiana di Endocrinologia a un programma formativo specifico per i nostri specializzandi – annuncia – in modo che possano costruire questi percorsi anche nei territori più periferici».

Ma oggi la realtà è ancora frammentata. «I grandi centri urbani sono abbastanza coperti, ma in molte aree del Sud e nelle province minori l’offerta è scarsa – denuncia Zani –. E questo crea disuguaglianze enormi tra cittadini».

Lo stigma: il primo nemico da abbattere

Iris Zani

Tutti gli esperti sono concordi su un punto: senza un cambiamento culturale, anche la migliore legge resterà inefficace. «Lo stigma verso le persone con obesità è ancora fortissimo – dice Aimaretti – e nasce dalla convinzione che sia solo colpa del paziente. Ma se l’obesità è una malattia, allora chi ne soffre ha diritto alla cura, non al giudizio».

Zani aggiunge che spesso lo stigma è interiorizzato dalle stesse persone con obesità: «Molti non chiedono aiuto perché si sentono colpevoli. Le nostre campagne mirano a ribaltare questo paradigma: non sei pigro, non sei solo. Sei un paziente e hai diritto di essere curato».

Può interessarti

Michela Perrone
Giornalista pubblicista