Proseguono i colloqui con i membri del Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti dall’attuazione del Regolamento dell’assistenza ospedaliera (DM70) e dall’attuazione del Regolamento dell’assistenza territoriale (DM77)
“Bisogna superare l’imposizione dei tetti di spesa, una linea portata avanti da più di dieci anni dai governi che si sono succeduti, per valorizzare il personale medico e sanitario e salvare il Servizio Sanitario Nazionale”. Esordisce così Pina Onotri, Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani (SMI) sulle criticità del DM 70/2015 e del DM 77/2022 che si stanno discutendo al Tavolo ministeriale, interpellata all’indomani della prima riunione di venerdì 20 luglio. Ma non è tutto.
Quali sono a suo parere le principali criticità del Dm 70/2015 sugli standard dell’assistenza ospedaliera e del Dm 77/2022 sugli standard dell’assistenza territoriale?
I problemi del DM 70/2015 sugli standard dell’assistenza ospedaliera da superare sono molteplici, ma bisognerebbe partire dalla necessità di un aumento dei posti letto, perché nel nostro paese siamo a un rapporto di 3,7 posti letto per mille abitanti, che risulta essere tra i più bassi a livello europeo e non tiene conto dell’invecchiamento e dell’impoverimento della popolazione. È questa carenza di posti che genera condizioni inaccettabili per il sistema dell’emergenza urgenza e una modalità di assistenza pericolosa, precaria e non decorosa per i pazienti. Servono investimenti urgenti per i servizi di emergenza urgenza, che, ricordiamo, non sono solo Pronto Soccorso, ma riguardano l’intera rete dell’emergenza urgenza, dunque anche preospedaliera.
Quanto al DM 77/2022, le criticità sono legate alla costituzione delle Case di Comunità, su cui nutriamo un forte dubbio sul fatto che siano un vero valore aggiunto per la medicina territoriale.
Secondo noi, così come concepite, non miglioreranno dal punto di vista organizzativo il lavoro dei medici, né i servizi ai cittadini. Veramente si pensa che un medico che ha in carico 1500 assistiti lavori solo 15 ore a settimana? In epoca pre-pandemica, tale carico di pazienti comportava circa 40 ore di attività settimanale; attività che è però più che raddoppiata in tempo di pandemia con carichi di lavoro insostenibili, tant’è che molti colleghi hanno rinunciato all’incarico. Lavorare 38 ore a settimana? Ci mettiamo la firma subito, ma così non sarà.
I pazienti che abbiamo in carico, soprattutto quelli più fragili, richiedono ben più di 20 ore di attività a settimana, a meno di non contrarre la nostra disponibilità all’assistenza riducendola alle sole ore di apertura di studio previste. E per le restanti 18 ore da svolgere nelle Case di Comunità, quali saranno i nostri compiti? Nei confronti di chi verrà svolta questa assistenza aggiuntiva? Nei confronti dei pazienti per cui siamo pagati? In questo caso non vedo perché, se siamo facilmente raggiungibile nei nostri studi medici, i nostri pazienti dovrebbero cercarci in una Casa della Comunità situata a volte anche a chilometri di distanza. Oppure la nostra prestazione deve essere rivolta ad una popolazione di assistiti che non abbiamo in carico? Allora si porrebbero molti problemi medico legali e anche di natura contrattuale. Si può chiedere un impegno orario ed essere retribuiti a quota capitaria?
Le soluzioni sono diverse: studiare un meccanismo flessibile di equivalenza scelta/ore per cui i medici con un carico assistenziale inferiore al massimale (1500 scelte) possono andare a coprire un debito orario nelle Case di Comunità retribuiti in parte a quota oraria e in parte a quota capitaria, oppure modificare la legge 502/92 permettendo alle ASL di conferire incarichi a tempo indeterminato a medici convenzionati per ricoprire le aree che oggi sono più in sofferenza, dall’assistenza domiciliare, alla medicina scolastica, ai servizi di necroscopia e igiene.
Come proponete di affrontare queste questioni?
Senza un miglioramento delle retribuzioni dei medici, non si arresterà la fuga di professionisti dal SSN
Non possiamo che prendere atto della costante riduzione della spesa sanitaria pubblica per il periodo 2022-2025, confermando la tendenza dei prossimi anni di un ulteriore, progressivo definanziamento del SSN e di una forte penalizzazione del servizio pubblico. Bisogna invertire questa tendenza e destinare nuove risorse al fondo nazionale sanitario per i contratti della dirigenza medica e per l’accordo collettivo azionale di medicina generale. Senza un importante miglioramento delle retribuzioni dei medici, non si arresterà la fuga di professionisti dal SSN. A questo vanno aggiunte politiche di genere, sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e sull’avanzamento delle carriere, tenendo conto che le donne tra i medici sono ormai la maggioranza.
Qual è in questa fase la situazione dei professionisti che rappresenta SMI?
È una situazione che risente dello sforzo umano e lavorativo dovuto al contrasto al Covid.
Quali sono gli scopi principali attualmente per SMI?
Il Sindacato dei Medici Italiani è per composizione (con medici che operano in tutti i settori della sanità) e rappresentatività un elemento di novità, unico, in un panorama nazionale caratterizzato dalla presenza di realtà rigidamente strutturate per settore di appartenenza professionale. Una formazione, quindi, con grandi ambizioni, in grado di saldare gli interessi delle diverse generazioni di medici, capace di parlare a tutti i settori del lavoro del mondo medico del SSN: ospedalieri, pediatri, medici di famiglia, guardie mediche, specialisti ambulatoriali, medici in formazione, odontoiatri, medici addetti ai servizi e all’emergenza e al 118. Un’organizzazione che integra e valorizza le diverse professionalità sia del comparto dipendente sia di quello convenzionato. Oggi lo SMI ha una presenza capillare in tutta Italia, con sezioni sindacali in ogni regione. Il suo scopo principale è quello di battersi per difendere il carattere pubblico del SSN.
Quali sono le principali difficoltà che i medici si trovano ad affrontare nel quotidiano?
È tempo di invertire la rotta: la medicina del territorio ha bisogno di essere sgravata della burocrazia
È tempo di invertire la rotta: la medicina del territorio ha bisogno di essere sgravata della burocrazia; il medico di famiglia deve per poter dedicare il massimo del proprio tempo e delle proprie competenze alla cura delle persone, alla visita medica, al ragionamento clinico, alla diagnosi e alla terapia e deve poter farlo in scienza e coscienza. La medicina ospedaliera, invece, ha bisogno alla standardizzazione di un sistema che valorizzi le competenze professionali, che punti al benessere organizzativo, che permetta la progressione di carriera, con l’attribuzione e il rinnovo degli incarichi. Un sistema che migliori le condizioni lavorative, ora stressanti, determinate da pesanti turni di servizio, weekend sempre occupati da guardie e reperibilità, precariato protratto e stipendi inadeguati, molto al di sotto della media europea. Occorrono scelte che diano maggiore attenzione alla formazione, alle garanzie, e tutele per gli specializzandi. Bisogna prevedere modifiche al DM 70 per permettere maggior percorsi di carriera.
Qual è quindi dal vostro punto di vista l’obiettivo principale a cui tendere per il SSN?
Oggi in sanità abbiamo a che fare con una “catastrofe” vera e propria che, come tutte le catastrofi, è destinata probabilmente a cambiare in peggio il nostro paese il nostro SSN, la nostra società, e a peggiorare la nostra vita. Una catastrofe come quella che riguarda la sanità non viene fuori per colpa delle liste di attesa, o del DM 70, o dei tetti alle assunzioni, o dei Pronto soccorso che non funzionano, o dei tagli ai posti letto o da un territorio che nessuno sa cosa sia, o dal PNRR. Emerge soprattutto a causa di una grande, grandissima, contraddizione economica che nessuno mai ha davvero esplorato nella sua estensione e complessità. La responsabilità di cui parliamo prima è senz’altro storica e riguarda una estesa corresponsabilità, quindi una pluralità di responsabilità politiche sociali e tecniche. La responsabilità politica di questa situazione è quella dei suoi effettori, dei legislatori dei suoi amministratori, delle istituzioni, delle aziende sanitarie; le responsabilità politiche dell’attuale governo sono coincidenti con quelle di altri governi precedenti.
In questa crisi attuale, causata dalla spesa per gli armamenti e da una inflazione che non si placa, si è deciso di non difendere il SSN. Oggi tutti chiedono di rifinanziare la sanità, ma i conti con la catastrofe, come insegna la nostra pratica sindacale, nessuno vuole farli. Noi ci battiamo affinché il SSN continui ad assolvere alla propria missione: permettere l’accesso universale e ugualitario a tutti i cittadini. Solo in questo modo si potrà assicurare il benessere e salute nel nostro Paese.