Da qualche anno si parla di secondo pilastro in sanità, riferendosi al comparto privato, utile per affiancare il primo pilastro (cioè la sanità pubblica). Sebbene fin dalla scelta della terminologia sia chiaro l’intento di non contrapporre queste due realtà, nei fatti la questione è più complicata
L’intento iniziale era infatti di arrivare a un’integrazione tra i due mondi, ma oggi quello che abbiamo davanti agli occhi somiglia più a una concorrenza.
All’interno di un sistema sottofinanziato, questo modello rischia di portarci a dover rinunciare alla caratteristica che più contraddistingue il nostro servizio sanitario: l’universalismo. E la direzione sembra essere stata imboccata: nell’ultimo rapporto Crea si parla di Universalismo selettivo se non si investiranno abbastanza risorse nei prossimi anni.
In realtà il privato ha sempre affiancato il sistema sanitario pubblico
“In realtà il privato ha sempre affiancato il sistema sanitario pubblico, soprattutto in alcune aree. Penso per esempio all’impegno del mondo cattolico nell’assistenza”, riflette Marco Geddes da Filicaia, medico, già direttore sanitario del Presidio ospedaliero Firenze centro dell’Azienda sanitaria di Firenze e dell’Istituto Nazionale Tumori di Genova, tra gli ospiti del recente convegno “Privatocrazia: oltre il mantra della parità pubblico-privato” organizzato dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS.
Gli inizi comuni sono ricordati anche da Barbara Cittadini, presidente nazionale di Aiop, l’Associazione italiana ospedalità privata: “All’interno del Servizio Sanitario Nazionale, sin dalla sua configurazione originaria, operano sia strutture di diritto pubblico sia strutture di diritto privato, la cui coesistenza deve essere letta in chiave di miglior articolazione possibile dell’offerta sanitaria”. Cittadini ricorda che “l’articolo 32 della nostra Costituzione affida il fondamentale compito di tutela della salute degli individui alla Repubblica che, attraverso le Regioni, in base alla corrente attribuzione di competenze, deve – o dovrebbe – garantire tutte le prestazioni necessarie a soddisfare il bisogno di cura della popolazione. Questa funzione, quindi, è pubblica: diversamente, non è mai stato previsto, né sarebbe razionale prevedere, che pubblica debba essere la natura giuridica delle strutture delle quali lo Stato si avvale per il suo assolvimento. Come Associazione maggiormente rappresentativa della componente di diritto privato del Ssn, pertanto, abbiamo sempre promosso una sinergia virtuosa tra le due componenti del sistema, al fine di rispondere con efficacia, efficienza e puntualità alle esigenze di cura della popolazione”.
Le origini
Geddes ripercorre le tappe che, a suo avviso, hanno fatto sì che il privato diventasse “dilagante e scalzante”: un punto di non ritorno è stato quando “a livello internazionale la Banca mondiale e il Fondo internazionale hanno iniziato, nei primi anni ’90, una pressione affinché il sistema privato si impadronisse largamente del settore sanitario con il pretesto che si dovesse ridurre, per far fronte alle difficoltà economiche, la presenza dello stato nei servizi pubblici”.
L’ondata di privatizzazione e delle politiche neo-liberiste iniziate negli Stati Uniti e nel Regno Unito sono poi “state introiettate anche nella cultura progressista”.
Poi c’è il secondo pilastro di cui si parlava all’inizio. “Oggi abbiamo un sistema assicurativo che copre una parte della popolazione o una parte delle prestazioni – ricorda Geddes –. Il problema è che le prestazioni erogate non sono integrative del Ssn, cioè oltre i Livelli essenziali di assistenza”. Questo senza contare che “gli accordi all’interno dei contratti di lavoro hanno una rilevante defiscalizzazione e dunque sottraggono all’erario una discreta quantità di finanziamenti che vanno a diminuire le risorse destinate ai servizi pubblici. Per di più, questi accordi generalmente riguardano le categorie professionali già maggiormente tutelate e si concentrano soprattutto in alcune aree del Paese. Questo alimenta disuguaglianze”.
La riforma del Titolo V ha dato più potere alle Regioni, contribuendo ad alimentare la frammentazione
La riforma del Titolo V, poi, ha dato più potere alle Regioni, contribuendo ad alimentare la frammentazione che oggi caratterizza l’Italia. “Si potrebbe raggiungere un qualche equilibrio generale su questa materia seguendo alcune sentenze della Corte costituzionale e facendo funzionare in maniera più organica la Conferenza Stato-Regioni – osserva l’esperto – Si sta invece intraprendendo la via dell’autonomia differenziata che, per come la vedo io, è il cavallo di Troia della privatizzazione e porterà squilibri notevoli”.
Regole diverse?
Da tempo, una parte di chi analizza l’integrazione pubblico privato fa notare come i due settori siano sottoposti a regole diverse. Per Cittadini questa è una falsità: “Affermare che la componente di diritto privato del Ssn sia favorita e privilegiata è un luogo comune, che nuoce alla sanità tutta, e denuncia una mancata conoscenza di come funziona il sistema. È necessario, infatti, conoscere le regole di committenza del nostro Ssn: la funzione di tutela è garantita dalle Regioni che, per nome e per conto degli utenti, acquistano prestazioni sanitarie dalle strutture di diritto pubblico e di diritto privato accreditate. Queste ultime non scelgono autonomamente né cosa erogare (tipologia di prestazioni) né in che misura (i volumi di attività), ma possono fornire alla popolazione, esclusivamente, i servizi e le prestazioni loro richieste dalle Regioni in virtù di un rapporto che segue tre momenti fortemente regolamentati: l’autorizzazione, l’accreditamento e l’accordo contrattuale”.
Le Regioni sono vincolate dalla politica dei tetti di spesa
Le stesse Regioni, a loro volta, sono vincolate dalla politica dei tetti di spesa. “Se ci sono delle prestazioni mancate o procrastinate ed esiste la cosiddetta “fuga nel privato” non è causa della componente di diritto privato del Ssn – afferma la presidente Aiop – ma, al contrario, è l’effetto di una normativa datata, anacronistica e di dubbia costituzionalità che comprime le potenzialità del sistema. Risulta, peraltro, quantomeno anomalo che quando si parla di fuga nel “privato puro”, si ometta sempre di menzionare quel “privato puro” erogato dalle strutture pubbliche, in spazi pubblici, finanziati con i soldi dei contribuenti italiani attraverso la fiscalità generale, vale a dire l’intramoenia”.
È l’interesse collettivo che deve essere salvaguardato: “Va tutelato e garantito il diritto alla salute degli individui e il loro interesse a ricevere cure efficaci, appropriate, sicure e tempestive, senza distinzioni economico-sociali e pregiudizi fondati sulla natura giuridica di chi eroga prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale”, dice Cittadini.
Nel merito, Geddes ricorda come alcuni problemi che affliggono la sanità pubblica, ad esempio la mancanza di personale medico e infermieristico, siano la “conseguenza di una cecità assoluta da parte dei governi di ogni colore negli ultimi 15 anni. È mancata qualsiasi pianificazione e adesso servirà una generazione per recuperare”. L’età media del personale, poi, è la più alta d’Europa: “Siamo poco attrattivi nei confronti di giovani professionisti stranieri”.
Accanto a questi “mali”, da ascrivere alla mancanza di visione nel futuro, Geddes ricorda che a livello di strutture ospedaliere il privato ha un grande vantaggio: “Può scegliere le funzioni da svolgere, mentre il pubblico si deve occupare di tutte. Non esiste il privato che abbia reparti come un Centro ustioni, la Traumatologia, il Pronto soccorso, l’Oncologia pediatrica…”.
Un recente documento dell’Ocse sottolinea come sia inevitabile, in un prossimo futuro, aprire un dibattito sulla rivalutazione dei confini tra pubblico e privato in sanità, perché in presenza di budget limitati non tutti gli interventi potranno continuare a essere finanziati dalla spesa pubblica e andrà capito che cosa resterà indispensabile.
Le sfide
Preso atto della situazione attuale, come riuscire a realizzare una partnership pubblico-privato che funzioni?
“L’insegnamento più importante della pandemia è stato la sua gestione attraverso il ricorso alle potenzialità del Ssn nel suo complesso, favorendo – e non inibendo – il contributo della componente di diritto di privato – riflette Cittadini –. L’emergenza stessa ha consentito di superare i condizionamenti ideologici e di sistema che hanno, fino a ora, relegato la componente di diritto privato a un ruolo vicario e che, in troppi casi, ha sacrificato la tutela della salute pubblica sull’altare della pubblica proprietà”.
La logica dei tetti di spesa è anacronistica
Per la presidente di Aiop “le componenti del Ssn devono avere, pur nella differenza di stato giuridico, piena e uguale dignità: è improcrastinabile superare la logica anacronistica e fallimentare dei tetti di spesa, che ha dimostrato di depotenziare il Ssn nella sua capacità programmatoria di risposta ai bisogni assistenziali. I tetti di spesa sono espressione di una norma emergenziale che ha bloccato a tempo indeterminato la possibilità di erogare servizi e prestazioni in quantità maggiore rispetto a quelle rese nel 2011, prevedendo un limite massimo all’acquisto di prestazioni sanitarie di assistenza ambulatoriale ed ospedaliera da soggetti di diritto privato del Ssn. È questo uno degli aspetti più urgenti da affrontare e risolvere per ridurre fenomeni ingravescenti, come le liste d’attesa, e drammatici, come la rinuncia alle cure”.
Per Geddes “innanzitutto il pubblico dovrebbe conoscere bene il privato, inteso non solo come realtà ospedaliere, ma soprattutto come fornitori di farmaci, dispositivi e servizi. Servono poi forme di collaborazione ben studiate, senza caricare sul pubblico il rischio e il guadagno sul privato come a volte è stato fatto in passato. È necessaria una collaborazione nella progettazione anche di aspetti che rappresentano il core della sanità. Il pubblico, però, deve recuperare la governance”.
La sanità è un settore di sviluppo rilevante
L’altra sfida di fondo, per Geddes, è capire che “La sanità è un settore di sviluppo rilevante: si crede ancora che un aumento dell’occupazione di qualità in un settore altamente necessario non sia un elemento di aumento dei consumi e di arricchimento della popolazione. Non è così e i governi dovrebbero riuscire a stabilire obiettivi decennali e ventennali da monitorare con un crono-programma”.
Privatizzare è un rischio per lo stato democratico?
L’ultimo libro di Chiara Cordelli, filosofa, professoressa associata di Scienze Politiche presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Chicago, si intitola “Privatocrazia. Perché privatizzare è un rischio per lo stato democratico”. Cosa significa? Come si collocano queste riflessioni nel campo della salute? Quali possibili soluzioni?