Il prossimo futuro vedrà la popolazione anziana diventare sempre più ampia, con l’aumento dei tassi di cronicità, di poli-patologici e di non autosufficienti. Lo spunto di riflessione attivato dalla vostra serie di interviste intitolata “5 domande a…” mi offre la possibilità di portare un mio contributo e il punto di vista di chi si occupa di sanità integrativa.
«Per dedicare più risorse al SSN, la sanità integrativa dovrebbe essere a costo zero per le finanze pubbliche, e sostenuta solo dai contributi di imprese e lavoratori»
Quelle citate all’inizio sono sfide a cui bisogna arrivare preparati e quindi occorrerebbe capire anzitutto che tipo di strategia socio-assistenziale, sanitaria, ed aggiungo, anche previdenziale, e più complessivamente economica, il Paese intende darsi per gestire un processo, oramai consolidato, di progressivo invecchiamento della popolazione così marcato da far parlare di vero e proprio “inverno demografico”.
Le risorse del PNRR destinate alla sanità non sono poche, così come è vero che la telemedicina potrebbe essere un pezzo della risposta ad una domanda di cure, se declinata anche in termini di più vasta digital health. Lo stesso DM 77 andrebbe letto in combinato disposto con la Legge Delega per gli Anziani, al fine di avere un quadro complessivo delle misure, delle strategie, delle risorse che il Governo intende destinare a questa enorme questione sociale e demografica.
Il SSN è ancora un nostro punto di forza e deve continuare ad esserlo. Ma a condizione che si faccia finalmente un discorso, anche etico oltre che politico, di verità e di reale equità. L’articolo 32 della Costituzione tutela anzitutto il diritto alla salute degli indigenti, espressamente citati come la fascia sociale più bisognosa di un Servizio Sanitario Nazionale universalistico. Un SSN che possa prevalentemente dedicarsi a chi non ha un lavoro ed un reddito, ai quiescenti, agli anziani con pensioni minime, ai nuovi working poors, ai 14 milioni di italiani che, a vario titolo, versano sul limite o sotto la soglia di povertà.
«Il SSN è ancora un nostro punto di forza e deve continuare ad esserlo. Ma a condizione che si faccia finalmente un discorso, anche etico oltre che politico, di verità e di reale equità…»
A mio avviso, invece, per chi ha altre forme di tutela sanitaria derivante dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) di categoria, buona parte delle cure, ovviamente non tutte, dovrebbero essere a carico dei fondi di sanità integrativa, a costo zero per le finanze pubbliche, e sostenuti dai contributi di imprese e lavoratori proprio per garantire assistenza a questi ultimi e spesso anche alle rispettive famiglie.
Gli erogatori delle prestazioni sanitarie possono essere strutture pubbliche e private, questo non rileva. L’importante è che la spesa non sia sempre e solo a carico della fiscalità generale. In un sistema equo tra un manager, un quadro o un funzionario aziendale coperti da fondi di sanità integrativa pagati dalle imprese, ed un anziano con la pensione minima, non dovrebbe esistere dubbio su chi abbia prevalentemente bisogno di un servizio sanitario pubblico.
Oggi la spesa sanitaria nazionale complessiva – tra SSN, sanità integrativa, spesa privata dei cittadini, assicurazioni individuali – già ammonta a circa 200 miliardi di euro. A questa va aggiunta la spesa socioassistenziale, non meno importante, che ne vale altri 40/50. È pura utopia pensare che le risorse pubbliche possano coprire una mole di fabbisogno simile. Siamo a 125 miliardi e ne servirebbero 250. Ma se pure ne servissero 240, 230, 200 o 150 sarebbe comunque fuori da ogni logica di sostenibilità per le casse pubbliche.
Non è un caso che in tutti i principali Paesi europei, a cominciare da Francia e Germania, esistano modelli di sanità integrativa – con il coinvolgimento diretto di cittadini, lavoratori, meccanismi assicurativi mutualistici e imprese – che supportano la parte pubblica agendo come secondo motore del “sistema salute” nazionale. Tutto ciò esiste anche in Italia, ma pesa quattro volte meno degli altri Stati UE.
Ecco perché sostengo con forza il “secondo pilastro” e la sua insostituibile funzione di supporto ed integrazione al Servizio Sanitario Nazionale: un welfare contrattuale che, a partire dal lavoro e dalla concertazione tra parti sociali, sia capace attraverso un approccio mutualistico, e non selettivo, di garantire tutele e prestazioni ai lavoratori senza gravare inutilmente sul SSN che resta un valore assoluto del nostro modello complessivo di welfare state.
Per garantire più salute a tutti io credo in un Servizio Sanitario Nazionale composto dal “primo pilastro” SSN, dal privato convenzionato a supporto della sanità pubblica, dalla sanità integrativa “secondo pilastro” complementare al primo e figlia del welfare contrattuale e sussidiario, dalla sanità privata di libera scelta, dal sistema delle assicurazioni individuali per chi può e vuole costruirsi un rafforzamento delle tutele individuali. Il tutto sotto una intelligente e moderna governance pubblica che sappia fissare le regole per evitare duplicazioni, spese improprie, conflitti di attribuzione. E per evitare l’odioso binomio tra inutile consumismo sanitario di chi spende anche senza reali bisogni e chi rinuncia alle cure perché non può spendere neanche per bisogni reali.