Una fotografia di come è andata la sanità italiana nel 2020, ma anche uno strumento più agile e preciso rispetto al passato, in grado di monitorare in tempo reale e in modo puntuale i cambiamenti che avvengono all’interno del Servizio sanitario, nazionale e regionale.
Si presenta così, in una versione più moderna, il Piano nazionale esiti (Pne), che come ogni anno illustra la relazione esistente tra volumi di attività ed esiti delle cure. Quest’anno i dati sono particolarmente preziosi, visto l’impatto della pandemia in corso.
Si stima per esempio che nel 2020 ci siano stati 1,7 milioni di ricoveri in meno negli ospedali italiani, il 13% dei quali urgenti e che per oltre un quarto hanno riguardato attività programmate e day hospital.
Il Pne è composto da 184 indicatori (7 in più dell’edizione precedente) che hanno registrato i dati relativi all’attività assistenziale effettuata nel 2020 da oltre 1.300 ospedali pubblici e privati (accreditati e non), confrontandola con quella del quinquennio precedente (2015-2019). 164 indicatori riguardano l’assistenza ospedaliera (71 di esito/processo, 78 di volume di attività e 15 di ospedalizzazione) e 20 quella territoriale, valutata indirettamente in termini di ospedalizzazione evitabile (14 indicatori), esiti a lungo termine (2) e accessi impropri in Pronto soccorso (4).
Gli ambiti clinici considerati sono: cardio e cerebrovascolare, digerente, muscolo-scheletrico, pediatrico, ostetrico e perinatale, respiratorio, oncologico, urogenitale, otorinolaringoiatrico e malattie infettive.
Il documento, che è stato presentato il 15 dicembre, è realizzato da Agenas su mandato del Ministero della Salute, in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità (Iss) e con il Dipartimento di Epidemiologia della Asl Roma 1. L’obiettivo è valutare l’efficacia nella pratica, l’appropriatezza, l’equità di accesso e la sicurezza delle cure garantite dal Ssn nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza.
Frutto della collaborazione tra Governo e Regioni, per la prima volta la stesura del documento ha coinvolto anche società scientifiche nazionali e internazionali e università: esperti riuniti in Gruppi tecnici per implementare ulteriormente la qualità dei dati. Questo per “poter scegliere non più sulla base del buonsenso, ma di indicatori alfanumerici”, come ha sottolineato Enrico Coscioni, presidente Agenas, che ha riportato anche l’altra grande novità del Piano 2021: “Per la prima volta siamo in grado di entrare nel dettaglio sul tempo di esecuzione delle varie metodiche, andando a misurare il singolo operatore. Un sistema capillare che si traduce in un miglioramento qualitativo del dato e che ci permette di fornire una fotografia più precisa degli interventi tempo-dipendenti, per esempio quelli relativi all’infarto”.
Speranza: “Adesso servono le riforme”
L’importanza del Pne è stata evidenziata dal Ministro della Salute Roberto Speranza, che ha aperto l’incontro: “Agenas è un punto di raccordo importantissimo tra il livello nazionale e quello locale – ha affermato. La pandemia ha aumentato la consapevolezza dei cittadini sul fatto che viviamo in un Paese con Ssn solido che dobbiamo rafforzare sempre di più . Stiamo vivendo forse la fase più delicata e importante degli ultimi anni in termini di ristrutturazione e rilancio di un Ssn che è un punto di tenuta essenziale di tutto il Paese. Sebbene la sfida sia ancora aperta e il Covid-19 continui a circolare, oggi abbiamo strumenti che prima non esistevano”.
Speranza ha poi sottolineato il nodo delle risorse destinate alla sanità, in costante aumento: “Dopo anni di tagli alla sanità, quando sono diventato ministro il fondo sanitario nazionale poteva contare su 114 miliardi di euro, uno in più rispetto all’anno precedente – ha ricordato. Grazie a una battaglia politica condotta negli ultimi mesi del 2019 siamo riusciti a ottenere 2 miliardi in più nel bilancio di previsione per il 2020, arrivando quindi a 116 miliardi. Sembrava un risultato straordinario. Nella legge di bilancio che stiamo approvando andremo a destinare 124 miliardi per il 2022, 126 per il 2023 e 128 per il 2024. Un aumento così marcato in pochi anni non si era mai visto per il Ssn”. A queste risorse ordinarie, inoltre, si aggiungeranno i 20 miliardi previsti dal Pnrr.
“Le risorse sono condizione necessaria ma non sufficiente per il rilancio del Ssn – ha sottolineato Speranza. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare le riforme, a partire da quella dell’assistenza territoriale prevista proprio dal Pnrr”. Per attuarle, è fondamentale avere una fotografia dello status quo della sanità, fornito appunto dal Pne.
Tra i dati peggiori riportati dal documento, quelli relativi agli screening non effettuati, alle visite saltate e agli interventi chirurgici rimandati: “Abbiamo stanziato un miliardo di euro per provare a recuperare ciò che abbiamo perso – ha ricordato il ministro. Credo però che questo sia solo il primo passo”.
Le novità del Pne
Alcune delle novità principali dell’ultima edizione del Pne riguardano:
- i volumi: con indicatori chirurgici di volume per singolo operatore, in modo da stimare l’impatto e l’expertise dei singoli medici e delle loro équipe;
- la tempestività: con indicatori di processo che utilizzano tempi calcolati non più in giorni, ma in ore e minuti. Questo è stato possibile grazie alla disponibilità di nuove informazioni all’interno della scheda di dimissione ospedaliera (Sdo);
- l’appropriatezza clinica: approfondita soprattutto in ambito perinatale, con il ricorso al taglio cesareo e alle episiotomie;
- gli esiti: con nuovi parametri clinici per misurare la gravità del paziente nel momento dell’ammissione ospedaliera.
Giovanni Baglio, coordinatore Pne per Agenas, ha fornito qualche numero: “Per quanto riguarda l’infarto miocardico acuto, l’ospedalizzazione si è progressivamente ridotta nel tempo grazie alle iniziative per il contrasto dei fattori di rischio per gli eventi cardiovascolari. Nel 2020 abbiamo assistito a un’ulteriore diminuzione non completamente spiegabile dal trend: mancano infatti all’appello circa 15.000 ricoveri rispetto al 2019”. Il picco negativo si è registrato nel mese di aprile, in concomitanza con la prima ondata pandemica. Tra le ipotesi più plausibili, il fatto che si sia effettivamente ridotta l’incidenza degli infarti in conseguenza alla diminuita esposizione durante il lockdown a fattori trigger come l’inquinamento atmosferico e l’iperattività, ma anche che ci sia stato un minore ricorso al pronto soccorso da parte dei casi meno gravi, in una sorta di autoregolazione che ha comportato un aumento della mortalità a 30 giorni dall’evento acuto. “Questo dato, in diminuzione negli anni scorsi, ha registrato un incremento dell’1% nel 2020”, ha riportato Baglio. La buona notizia è che non sembra peggiorata l’assistenza di coloro che si sono rivolti all’ospedale.
Per quanto riguarda gli interventi programmati, nel 2020 c’è stato un -24% per operazioni di bypass aorto-coronarico (3.500 in meno rispetto all’atteso), un -8% di interventi per fratture al femore (-7.200 ricoveri rispetto all’atteso) e -18% per quanto riguarda le protesi (-21.000 interventi).
Nell’ambito oncologico, poi, il rapporto evidenzia un -7.000 ricoveri per intervento chirurgico in donne con carcinoma mammario: “Il picco negativo in questo caso non si è osservato a aprile, ma in giugno – ha detto Baglio. Probabilmente questo è dovuto al ritardo negli screening che, secondo una ricerca condotta da Agenas in collaborazione con la Scuola Sant’Anna di Pisa, nel 2020 hanno riportato un -45%”, ha affermato Baglio.
Una sezione che compare per la prima volta nell’edizione 2021 del Pne riguarda il tema dell’equità, che diventa sempre più una chiave di lettura primaria delle dinamiche di salute e di accesso ai servizi. Per la sua valutazione è stato considerato:
- il genere: differenze nelle misure di processo ed esito tra uomini e donne. È stato evidenziato per esempio che l’accesso ad angioplastica per infarto ischemico vede in posizione di svantaggio sistematico le donne. Probabilmente perché i sintomi sono più sfumati rispetto agli uomini e possono essere sottovalutati o misinterpretati. Per contro, l’intervento dopo frattura del femore entro le 48 ore vede gli uomini svantaggiati. Una possibile spiegazione è che nei maschi l’evento accade in età più avanzata, quando sono presenti più comorbidità che vanno gestite;
- la cittadinanza: differenze tra stranieri provenienti da Paesi a forte pressione migratoria e italiani;
- le condizioni socio-economiche: differenze sulla base del titolo di studio degli assistiti. In questo ambito tuttavia non è stato possibile fornire alcuna analisi poiché il dato si è rivelato di bassa qualità.
A livello di prospettive di sviluppo parzialmente già attuate in questa edizione del Pne, Agenas ha indicato:
- la presenza di nuovi indicatori: possibili anche attraverso la valorizzazione dei registri clinici nell’ambito di collaborazioni con società scientifiche;
- l’attivazione di percorsi di audit clinico-organizzativo: a sostegno di programmi di riorganizzazione delle aziende sanitarie;
- l’integrazione dei flussi informativi: con l’inclusione di analisi provenienti dall’assistenza territoriale e delle cure primarie grazie all’integrazione delle Sdo con altri flussi informativi (come quello della farmaceutica, della specialistica ambulatoriale e delle Rsa o della domiciliarità)
Il dato al centro
Marina Davoli, responsabile tecnico Pne per Agenas, ha sottolineato l’importanza di compilare bene le Sdo, con l’integrazione di tutte le informazioni previste: “La validità dei confronti degli esiti tra strutture dipende dalla nostra capacità di rendere le loro caratteristiche confrontabili dal punto di vista clinico – ha affermato. Inoltre, è fondamentale l’alleanza tra la professione clinica e il management. Solo agendo su entrambi questi aspetti, infatti, si ottiene il miglioramento che vogliamo avere”. Davoli ha poi sottolineato l’importanza di avere indicatori più precisi dal punto di vista temporale e quella degli audit, che permettono di andare più in profondità rispetto alle differenze che esistono per esempio all’interno della stessa Regione.
Un esempio su tutti per le tempistiche: “Fino all’anno scorso, guardavamo i trattati con angioplastica coronarica percutanea transluminale entro due giorni dal primo accesso nella struttura di ricovero – ha ricordato – e la percentuale che rispettava questa tempistica era del 76,5%. Sappiamo però che si tratta di un intervento tempo-dipendente: scendendo a 90 minuti, la percentuale diminuisce al 49,9%. Il Dm70 stabilisce che l’angioplastica primaria deve essere raggiunta almeno dal 60% dei trattati”.
In conclusione, Domenico Mantoan, direttore generale di Agenas, ha ricordato che “l’obiettivo del Pne, l’attività principe di Agenas, non è dare pagelle, ma migliorare il sistema. Per avere i dati occorre che ci sia un sistema informativo che funzioni. Credo che sia importante il grande investimento che tramite il Pnrr stiamo facendo sulla telemedicina e sulla strutturazione del sistema informativo nazionale e regionale. In questo modo potremo abbattere molti degli ostacoli che oggi si incontrano a causa della mancata interoperabilità dei sistemi informatici”.
Il numero uno di Agenas ha ricordato l’obiettivo della riforma della sanità territoriale: “Uno degli obiettivi del Pne sarà riuscire a misurare anche gli outcome di salute dei pazienti cronici curati dal nuovo modello organizzativo che uscirà dal Pnrr. Questa è la sfida del futuro e Agenas c’è: avremo una piattaforma di telemedicina su cui saranno innestati tutti i verticali di telemedicina regionali e questo ci permetterà di avere in tempo reale il dato”.
Infine, servirà un’interlocuzione più forte anche con Aifa: “Per andare a misurare i risultati dobbiamo monitorare anche l’uso e le modalità con cui vengono prescritti e utilizzati i farmaci. In questo modo ci muoveremo in un contesto di grande collaborazione tra Agenas, Iss e Aifa, il Ministero della Salute e le Regioni e potremo, tutti insieme, inaugurare una nuova stagione di riformismo e di rinascimento del sistema sanitario”.