PNRR e sanità: le dieci proposte dal mondo dell’Università

Dieci punti per mettere in pratica con successo la “Missione Salute” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e sostenere il SSN, duramente colpito dalla pandemia. A stilare il decalogo un gruppo di ricercatori di sei università italiane: Università Bocconi, Politecnico di Milano, Università Cattolica, Università di Torino, Università di Roma Tor Vergata e Scuola Superiore Sant’Anna.

Dieci punti per mettere in pratica con successo la “Missione Salute” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e sostenere il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), duramente colpito dalla pandemia che ne ha messo in evidenza criticità e spazi di miglioramento. A stilare il decalogo un gruppo di ricercatori di economia, management e politiche sanitarie di sei università italiane: Università Bocconi, Politecnico di Milano, Università Cattolica, Università di Torino, Università di Roma Tor Vergata e Scuola Superiore Sant’Anna.

“Il PNRR è un documento di alta visione e di allocazione di importanti risorse di investimento per il SSN che devono garantire valore entro cinque anni. La partita attuativa”, sottolinea Francesco Longo, direttore del Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) Bocconi “è, quindi, appena iniziata e durerà cinque anni: un tempo breve in cui occorre definire la progettazione esecutiva per ogni misura, costruire pianificazioni regionali e attuare le politiche nelle singole aziende sanitarie locali”.

La partita attuativa del PNRR è appena iniziata e durerà 5 anni

“Gli interventi sul SSN, oltre a migliorarne l’efficacia e l’efficienza, avranno un ruolo determinante nel diminuire le disuguaglianze di accesso al sistema salute – spiega Giuseppe Costa, docente di Sanità pubblica all’Università di Torino e direttore del Servizio di Epidemiologia Regionale dell’Asl To3 -. “Il successo del PNRR si misurerà anche sul suo impatto sociale e non solo economico”.

Il decalogo è stato presentato al direttore generale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) Domenico Mantoan a fine maggio, durante un webinar organizzato dagli atenei coinvolti.

Il PNRR e la salute

“Attraverso una programmazione mirata e un monitoraggio continuo e puntuale degli outcome”, dice Americo Cicchetti, Università Cattolica, “dobbiamo essere in grado di realizzare l’indispensabile riforma sanitaria delineata dal PNRR”.

Come: “Abbiamo elaborato delle proposte attuative sulla governance e sul riparto dei fondi del PNRR”, spiega Federico Spandonaro dell’Università di Roma Tor Vergata, “sull’autonomia e i vincoli per le regioni e le loro aziende, sullo sviluppo dei fattori abilitanti e sulla progettazione organizzativa ed operativa delle diverse linee di intervento del PNRR”.

Nell’ambito del Bilancio dell’Unione Europea 2021-2027, ha detto Spandonaro, la Commissione europea ha introdotto il Recovery Fund (Next Generation Eu) come strumento per la ripresa economica post crisi da Covid-19, per un ammontare totale di 750 miliardi di euro, il quale si poggia su tre pilastri fondamentali: sostenere la ripresa degli Stati membri (che ha come obiettivo le riforme strutturali e il Green Deal), rilanciare l’economia e sostenere gli investimenti privati (che punta a digitalizzazione e sostegno alle imprese) e trarre insegnamento dalla crisi, aspetto che tocca la salute, la sicurezza e la ricerca scientifica.

Dei 750 miliardi, 390 sono contributi a fondo perduto e 360 prestiti: l’Italia è il beneficiario numero uno del Recovery Fund con un importo fino a 191,5 miliardi di euro in aggiunta a 30,6 miliardi di euro del fondo complementare. Più del 65% delle risorse destinate all’Italia sono prestiti: “Un debito ha senso solo se si investe per creare sviluppo nel lungo periodo”, sottolineano gli universitari.

 

Il PNRR prevede sei missioni per l’allocazione delle risorse:

  1. digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo;
  2. rivoluzione verde e transizione ecologica;
  3. infrastrutture per la mobilità;
  4. istruzione, formazione, ricerca e cultura;
  5. equità sociale, di genere e territoriale;
  6. salute.

La disponibilità complessiva del Piano è di 235,14 miliardi di euro. La Missione 6, Salute, a cui vengono assegnati in totale 20,23 miliardi (inclusi i finanziamenti del Fondo Complementare e di React-Eu), è quella dedicata alla sanità e si articola in due componenti principali: da un lato il potenziamento dell’assistenza territoriale tramite la creazione di nuove strutture (come Ospedali di Comunità e Case della Comunità), rafforzamento dell’assistenza domiciliare e lo sviluppo della telemedicina; dall’altro la digitalizzazione e il rafforzamento del capitale umano del Ssn attraverso il potenziamento della ricerca e della formazione.

Il Recovery Fund stanzia 750 miliardi, 390 sono contributi a fondo perduto e 360 prestiti

Il Next Generation EU, sottolineano i ricercatori, per altro è complementare alle altre fonti di finanziamento europee a disposizione. Il finanziamento europeo impone un orizzonte temporale relativamente breve: i fondi che arriveranno dall’Europa dovranno infatti essere spesi entro cinque anni.

Gli attori e il modello di riparto

“Nel percorso di attuazione del PNRR sarà fondamentale il ruolo delle Regioni”, ha spiegato Milena Vainieri della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Un piano di investimenti di tale portata richiede un rafforzamento delle competenze regionali in tutte le fasi di vita dei progetti come ad esempio prevede il Next Generation Eu per il supporto nel disegno e nell’implementazione delle riforme negli Stati membri”.

Il futuro del Servizio Sanitario Nazionale dipende però anche dalla messa a terra di tre fattori strategici abilitanti: ricerca e innovazione, trasformazione digitale e capacity building. “Il successo non può però considerarsi scontato”, dice Cristina Masella del Politecnico di Milano, “richiedendo grande coesione di intenti, da perseguirsi con un forte impegno finalizzato a creare convergenze e collaborazione istituzionale: il nostro lavoro mira proprio a facilitare un confronto continuo tra tutte le parti”.

 

PNRR. Attori del Piano Ripresa e Resilienza coinvolti per missione

Il decalogo

L’iniziativa spontanea degli atenei ha condotto alla stesura di un “decalogo” di proposte di attuazione del PNRR condiviso. Ecco le indicazioni dei ricercatori universitari nel dettaglio.

#1 Prevenire i rischi e promuovere comportamenti salubri, per tutti

La prevenzione insieme alle nuove tecnologie di diagnosi e cura è la protagonista dei principali miglioramenti della speranza di vita e dei funzionamenti delle persone degli ultimi decenni. Il PNRR e i suoi correlati di riforma della giustizia e della pubblica amministrazione dovrebbero permettere alla prevenzione primaria di tornare ad investire su competenze e laboratori capaci di investigare, ricercare e valutare rischi e efficacia delle soluzioni, alla pari con le imprese, in una governance della prevenzione primaria e con metriche di valutazione che permettano alle imprese, ai soggetti sociali e alle istituzioni di trovare il miglior bilanciamento tra rischi, benefici e co-benefici che serve alla società.

#2 Garantire clinical competence nella rete dei piccoli ospedali

I ricercatori evidenziano la presenza, su tutto il territorio nazionale, di una sensibile quota di ospedali sottodimensionati, al di fuori di quelli di zona disagiata, che può rappresentare una criticità in termini di qualità delle cure e di organizzazione. Secondo le Università, è pertanto necessario intervenire sui piccoli ospedali per aumentare la massa critica di casistica necessaria alla competenza clinica. Le proposte sono:

  1. equipe itineranti. Mantenere i servizi nei piccoli ospedali ma istituire delle equipe professionali itineranti, in modo tale da assicurare la casistica minima stabilita da DM/70 e che le prestazioni siano erogate in sicurezza;
  2. messa in rete dei piccoli ospedali. Mantenere le UO nei piccoli ospedali ma adottare logiche di specializzazione su determinate vocazioni, così da redistribuire e concentrare la casistica all’interno della rete ospedaliera così da rispettare gli standard;
  3. logiche di accorpamento e di riconversione:
  • accorpare gli ospedali per una maggiore massa critica in termini di casistica e competence clinica;
  • riconversione degli attuali piccoli ospedali in strutture territoriali;
  • concentrare le tecnologie e le grandi attrezzature clinicamente più efficaci e produttive, per aumentare tasso di saturazione della capacità produttiva;
  • riduzione dei costi di gestione, per l’economia di scala e per l’effetto del rinnovo infrastrutturale.

#3 Rinnovo infrastrutturale dei grandi ospedali, con nuova logistica e accresciuta flessibilità

L’infrastruttura ospedaliera è considerata vetusta e spesso inefficiente, mentre il processo di concentrazione e razionalizzazione ha dato risultati positivi. Le nuove strutture dovranno seguire nuovi modelli logistici.

 

PNRR. Grandi ospedali

#4 e 5 Sviluppare la presa in carico delle cronicità e supportare l’autosufficienza a domicilio

La proposta degli atenei è che, per potenziare l’assistenza domiciliare, l’investimento in personale debba essere integrato da alcune riforme, che costituiscono condizione necessaria per lo sviluppo di una vera assistenza di prossimità.

In primo luogo andrebbe perseguita una piena integrazione della gestione dei servizi sociali con il SSN; l’auspicio è che il Welfare sia riorganizzato in due rami: uno dedicato all’erogazione delle prestazioni in denaro (risparmio previdenziale, indennità di disoccupazione…) e un altro alla erogazione dei servizi in natura per la persona, trasformando il SSN in un Servizio Socio-Sanitario Nazionale (SSSN).

Auspicabile la piena integrazione dei servizi sociali con il SSN

In secondo luogo, propongono che venga creato un Fondo Nazionale unico per la Long Term Care, accorpando le risorse pubbliche destinate agli anziani non autosufficienti (INPS, SSN, enti locali) in unico fondo per le non autosufficienze; a tal fine prevedono la trasformazione in voucher di servizi delle indennità legate ai programmi di tutela alla persona, quali ad esempio le indennità di accompagnamento.

In terzo luogo, è necessario prevedere azioni per permettere ai nuclei familiari di rimanere autosufficienti con adattamenti delle loro condizioni abitative (domotica, condomini con servizi condivisi) e anche creando le condizioni affinché il mercato possa investire in progetti di co-housing e housing sociale. Si ipotizza l’istituzionalizzazione dell’assistenza erogata dalle badanti e dai caregiver, prevedendo una adeguata e qualificata formazione e l’istituzione di una specifica procedura di accreditamento; la professionalizzazione delle badanti va incentivata promuovendo il loro inserimento in cooperative o società di servizi. Infine, l’assistenza domiciliare va potenziata mediante un utilizzo più diffuso degli strumenti di digital health, ripensando i servizi nell’ottica dell’assistenza al nucleo familiare, più che del solo paziente.

#6 Razionalizzare la rete ambulatoriale concentrando casistica e servizi

Gli ambulatori pubblici, hanno sottolineato i ricercatori, sul territorio sono sottodimensionati e le attività esistenti non sono coordinate, con molta variabilità interregionale. Da questo punto di vista è necessario quindi riqualificare l’assistenza ambulatoriale con interventi tesi ad integrare gli ambulatori fra i vari setting assistenziali:

  1. ampiezza portafoglio servizi. Realizzare strutture più grandi e meno numerose, con portafoglio di attività e tecnologie molto più ricco, con orari e giorni di apertura più estesi, che concentrano e integrano diverse professionalità e in grado di far confluire una maggiore casistica;
  2. prossimità. Diffondere il modello delle Case della Salute (CdS), con integrazione funzionale tra CdS/CdC (Casa di Comunità) e ambulatori e studi individuali degli MMG nelle aree a minore densità abitativa;
  3. integrazione della filiera professionale. È necessario ridefinire complessivamente il ruolo della specialistica ambulatoriale, integrando quella del territorio con la specialistica ospedaliera e suddividendo i pazienti in funzione dello stadio di patologia o delle fasi del processo assistenziale razionalizzando l’offerta sul territorio e migliorando l’integrazione tra CdS, CdC e poli territoriali specialistici.

#7 Rafforzare la Medicina Generale

I MMG sono ancora troppo abituati ad operare singolarmente, con ridotte interdipendenze e scarse risorse di supporto, in strutture architettonicamente e tecnologicamente non adeguate. La diffusione di un modello organizzativo “comune” fatica ad affermarsi a livello nazionale. Per gli estensori della proposta, è necessario promuovere un’assistenza primaria continuativa e più evoluta, fornendo adeguate infrastrutture, tecnologie e supporto in termini di personale sia clinico che amministrativo, nell’ottica di raggiungere i seguenti obiettivi:

  1. promuovere la continuità della cura: garantire su tutto il territorio forme associative tra MMG, con standard minimi in termini di tecnologia e caratteristiche del servizio; assicurare maggiore disponibilità degli ambulatori con almeno 8 ore al giorno, 6 giorni a settimana di apertura al pubblico; integrazione tra MMG, pediatri di libera scelta e medici di continuità assistenziale;
  2. investire a livello infrastrutturale: investire le risorse nella riprogettazione strategica degli spazi, in modo che siano funzionali al lavoro “in gruppo” e con condivisione degli strumenti. Rendere disponibili spazi adeguati per gli ambulatori di MMG, adattando gli esistenti e/o edificandone di nuovi, con la possibilità di condivisione di tecnologie, personale infermieristico, sociosanitario e di supporto amministrativo;
  3. fornire una tassonomia dei centri di cure primarie: suddividere i centri di cure primarie in differenti livelli, in funzione di gamma di servizi offerti, tecnologie disponibili, orari di apertura al pubblico e condivisione di una lista unica di pazienti.

#8 Uniformare le dotazioni delle strutture intermedie (riabilitazione, LD, OSCO, RSA)

Le Università ritengono necessario un investimento mirato per far convergere l’offerta regionale e riqualificare la rete delle cure intermedie, in questo modo:

  1. un “Decreto 70” per le strutture di cura intermedie: è necessario far convergere la dotazione delle strutture di cura intermedie (ospedali di comunità, RSA, RSD, hospice, riabilitazione); gli investimenti vanno orientati sulla base delle necessità di riequilibrio territoriale; gli standard infrastrutturali e di organico vanno ridefiniti e riqualificati; vanno anche introdotte misure di esito;
  2. sviluppo in rete con gli altri setting assistenziali: le strutture intermedie devono essere collegate funzionalmente con gli ospedali (onde evitare ricoveri ospedalieri evitabili) e con i servizi territoriali; il collegamento deve garantire il consulto con le equipe specialistiche ospedaliere e la disponibilità di teleconsulto e telemonitoraggio deve costituire criterio di accreditamento;
  3. ridefinizione delle responsabilità di gestione: nelle cure intermedie va valorizzata la competenza infermieristica. Deve altresì essere previsto un collegamento con la medicina di base, per garantire la continuità assistenziale.

#9 Cambio del parco tecnologico: meno numeroso, più efficace e più usato

In Italia le apparecchiature sono in quantità eccessiva, obsolete e poco utilizzate. Il rinnovo della dotazione tecnologica deve ripensare le allocazioni, per ottenere meno macchinari ma più nuovi e più utilizzati. Serve rinnovare il parco tecnologico tramite piani regionali di allocazione delle tecnologie che non si limitino alla mera sostituzione dei macchinari esistenti con macchinari di ultima generazione: deve essere fatto in modo da avere il 60% di apparecchiature sotto i 5 anni di età, riducendo il numero e la varietà di apparecchiature allineandosi alla media europea in rapporto alla popolazione e aumentandone l’utilizzo medio concentrandole in base al fabbisogno. Alla base di questo processo è necessario rinforzare le competenze di valutazione delle tecnologie e dei dispositivi medici (ad esempio l’HTA).

#10 Skill mix change tra medici e professioni sanitarie

I grandi trend demografici ed epidemiologici hanno evidenziato nuovi bisogni che possono essere soddisfatti da professionisti sanitari e case manager. È necessario quindi ripensare a un cambio di ruoli nella presa in carico dei pazienti che valorizzi sia i medici sia gli operatori sanitari. Serve poi favorire il cambio di competenze: i nuovi ruoli devono essere accompagnati da processi formativi che preparino medici e infermieri ai ruoli a essi assegnati e infine ridisegnare i processi produttivi. I processi di erogazione dei servizi sanitari devono essere ridisegnati, tenendo conto del progresso tecnologico e della multicanalità dei percorsi, oltre che dei nuovi ruoli e competenze assegnati a medici e infermieri.

Riflessioni conclusive

In conclusione, i ricercatori delle sei università che hanno sviluppato le proposte sottolineano che:

  • il finanziamento del EU Next Gen è condizione necessaria ma non sufficiente per rilanciare il SSN: occorre un progetto di cambiamento;
  • i progetti (le riforme) non vanno semplicemente annunciati: vanno realizzati;
  • la programmazione e il monitoraggio si devono focalizzare sui risultati (outcome), anche per salvaguardare l’autonomia regionale prevista dalla Costituzione;
  • nel rapporto Stato-Regioni occorre bilanciare gli incentivi, il supporto (norme, competenze) e i poteri sostitutivi.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario