Quando il telemonitoraggio riduce i ricoveri: il caso dell’ASL di Nuoro

Un sistema che è riuscito a creare un’alleanza terapeutica forte tra ospedale e territorio mediante i dispositivi di controllo a distanza. Coinvolte oltre 500 persone con scompenso cardiaco. Tra i risultati, meno accessi in ospedale e un risparmio significativo per il SSN

Tra il 2010 e il 2020, il SSN ha perso 11 aziende ospedaliere, 100 ospedali a gestione diretta e 113 pronto soccorso. In 11 anni si è perso il 23% dei posti letto nelle ASL e il 41% di quelli negli ospedali a gestione diretta. Sono i dati della Federazione CIMO-FESMED, che dopo la pandemia ha analizzato risorse economiche, umane e strutturali della sanità italiana.

L’intenzione di ospedalizzare meno le persone va di pari passo con la necessità di potenziare il territorio, sia con strutture come le Case della Comunità, sia al domicilio del paziente.

Il telemonitoraggio

La telemedicina non è solo uno degli obiettivi del PNRR, ma anche una strada imprescindibile per continuare a prendere in carico i pazienti cronici. 

Le linee di indirizzo nazionali del Ministero della Salute definiscono alcuni servizi minimi per l’attuazione della telemedicina. Tra queste il telemonitoraggio, che le indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni di telemedicina stabilite nell’Accordo Stato-Regioni del dicembre 2020 definiscono come la «modalità operativa che permette il rilevamento e la trasmissione a distanza di parametri vitali e clinici in modo continuo», grazie a un kit personalizzato fornito al domicilio del paziente.

L’importanza di questo strumento si vede soprattutto nelle aree lontane dai grandi centri e con una morfologia che ostacola gli spostamenti. 

Da anni si cerca di capire come monitorare efficacemente e in modo costante il paziente senza farlo spostare da casa propria. negli ultimi anni, complice anche la pandemia, ci sono state molte sperimentazioni.

Il caso di Nuoro

Mauro Pisano

«Contenitori come il DM77 e il PNRR hanno senso solo se viene attivata la telemedicina: dobbiamo cambiare strutturalmente il sistema con l’aiuto di questi strumenti, che vanno integrati con l’esistente. Il 60-70% dei pazienti cardiologici non ha bisogno di una visita in presenza: ne basta una all’inizio e poi ogni 2-3 anni». Mauro Pisano, Direttore Cardiologia HSF dell’ASL di Nuoro e Direttore Dipartimento Area Medica sempre a Nuoro ha seguito da vicino un sistema di telemonitoraggio in ambito cardiologico.

«Da inizio 2023 abbiamo arruolato circa 550 pazienti con scompenso cardiaco che seguiamo a distanza – spiega a TrendSanità -. L’obiettivo è di raggiungere quota 800 entro fine anno».

Le persone, per lo più anziani, hanno ricevuto un kit composto da hotspot per il collegamento, tablet, strumenti wireless (bilancia, sfigmomanometro, saturimetro, glucometro, termometro) e elettrodi per elettrocardiogramma a 3 derivazioni.

«L’indicazione è misurarsi peso e pressione una volta la settimana, ma spesso le persone si appassionano alle proprie curve riportate sui dispositivi ed effettuano le misurazioni due volte al giorno», sorride Pisano.

Le informazioni sono inviate a un centro di monitoraggio, attivo sei ore al giorno per cinque giorni alla settimana.

Ridurre gli sprechi

«La selezione dei pazienti da arruolare è avvenuta dapprima tramite una manifestazione di interesse – spiega il cardiologo -. Chi ha risposto è stato contattato da un team di ingegneri clinici che ha spiegato loro esattamente che cosa dovessero fare, valutando che ci fossero tutti i presupposti, anche quelli tecnologici, per avviare il progetto».

Chi non ha risposto alla manifestazione di interesse è invece stato intercettato quando ha avuto un contatto medico, soprattutto nel centro Hub. 

Chi ha preso parte alla sperimentazione è stato classificato in base alla necessità di risposta clinica: «Ci sono dei pazienti che devono ricevere un monitoraggio molto stretto e altri meno», osserva Pisano.

Recentemente la FADOI (la Federazione dei medici internisti ospedalieri) ha rilevato che ogni anno in Italia si sprecano circa 6 miliardi di euro e ci sono 2 milioni di ricoveri impropri a causa della mancata presa in carico del territorio.

Il PDTA costruito a Nuoro prevede la presenza di sei operatori non sanitari (i cosiddetti laici) all’interno della centrale di monitoraggio: si tratta di persone che controllano i dati in ingresso. «Il meccanismo prevede che, in caso di anomalie, compaia una bandierina rossa – ripercorre Pisano – . Queste persone sono state addestrate a chiamare le persone e porre loro qualche domanda. Se il problema persiste, viene inviato al domicilio del paziente un infermiere di comunità».

Nel caso in cui non si riesca a risolvere, il paziente viene indirizzato all’ambulatorio presente sul territorio per eseguire una visita cardiologica entro 24-48 ore.

Se permane la situazione negativa, si deve recare all’ambulatorio scompenso presso l’ospedale principale.

Tutto questo è stato facilitato dal lavoro svolto da ARES Sardegna, che ha coordinato le attività per la definizione dei dispositivi medici, i processi logistici e la progettazione tecnica dell’integrazione fra cartella clinica cardiologica e la piattaforma di telemedicina fornite da CGM Telemedicine, SOF e Ebit – Gruppo Esaote.


La personalizzazione del servizio

«L’intento è cercare di integrare l’attività tra ospedale e centro hub e far sì che la medicina di prossimità ci permetta di gestire la domanda – afferma Pisano -. Il problema che abbiamo in Italia è il fatto che continuiamo a ragionare in base al numero di prestazioni. Parlare di liste d’attesa per la cardiologia non ha senso, è un concetto antiquato: un paziente può avere bisogno di una visita da 10 minuti in telemedicina perché ha il suo storico, oppure in quei 10 minuti va intercettato e indirizzato a un servizio in grado di fornirgli una risposta ad alta intensità. Dobbiamo essere in grado di applicare un filtro in base al bisogno».

La risposta dei pazienti è stata estremamente positiva: «Abbiamo avuto un dropout tecnologico inferiore all’1% e un 2-3% di persone che si sono dimostrate poco aderenti alla terapia, numeri del tutto fisiologici». Per il resto, la diffidenza iniziale è presto svanita: «All’inizio alcune persone non capivano, poi hanno toccato con mano i vantaggi dell’essere chiamati entro due giorni in caso di anomalie, per essere seguiti ed indirizzati verso il percorso più adatto alla situazione».

I risultati

E anche i risultati rispecchiano l’esito positivo dell’esperimento: nel secondo semestre del 2023 si è registrato un -44% dei ricoveri per scompenso rispetto al secondo semestre del 2022. Si è verificata anche una riduzione dei reingressi in ospedale a 30 giorni (passati da 7 a 3). 

Un altro outcome importante riguarda gli accessi al Pronto soccorso: chi è seguito in telemedicina arriva più stabile, è stato intercettato prima e viene dimesso più in fretta rispetto a chi non è monitorato a distanza. Infine, i pazienti che vengono ricoverati in Cardiologia sono selezionati meglio: «In questo modo si razionalizza il percorso».

Infine, l’aspetto economico: il costo del telemonitoraggio è pari a circa la metà del risparmio che proviene dai mancati ricoveri, dato che rende sostenibile questa modalità di presa in carico del paziente cronico.

Un modello simile potrebbe infatti essere utilizzato per monitorare altre patologie, come diabete o BPCO. «Oggi non abbiamo più la possibilità di sbagliare – afferma Pisano -: dobbiamo essere in grado di prendere in mano la governance della domanda del territorio e fornire risposte puntuali ai pazienti».

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista