Pochi organismi notificati, banca dati Eudamed che funziona a metà e che non si sa ancora bene come dialogherà con la nostra Classificazione Nazionale dei Dispositivi medici (CND) a cui si ispira; linee guida che si susseguono e tolgono il sonno ai fabbricanti, soprattutto ai produttori di dispositivi a base di sostanze; software medicali che dovrebbero essere certificati come dispositivi ma non è chiaro secondo quali parametri. Infine, le indagini cliniche, necessarie per dimostrare sicurezza e valore aggiunto terapeutico dei dispositivi, ma che sono costose e decisamente non alla portata delle realtà più piccole.
In poche parole, a un anno dalla piena operatività del Regolamento Ue sui dispositivi medici (745/2017) la strada per i produttori è tutta in salita.
Ne abbiamo parlato in una Live dedicata insieme a Fernanda Gellona, Direttore Generale Confindustria Dispositivi Medici, e Silvia Stefanelli, Avvocato Cassazionista, esperta in diritto sanitario. Ma non è la prima volta che discutiamo di questi temi: Policy and Procurement in Healthcare ha affrontato spesso in questi ultimi anni il tema dell’applicazione del regolamento, anche ragionando sull’impatto che può avere per i provveditori e i farmacisti ospedalieri.
In questa Live abbiamo quindi provato a verificare se nel tempo la situazione fosse migliorata. E a quanto pare, non è così.
Il primo anno del Regolamento Europeo
Le difficoltà sono quelle di sempre, non è cambiato nulla.
I due punti sui quali ci sono ancora tanti dubbi sono, da una parte, la certificazione del software medicale (ad esempio quello usato per erogare prestazioni in telemedicina) perché è un adempimento nuovo e non è ancora chiaro in quali casi vada certificato come dispositivo medico, dall’altra ci sono timori per i dispositivi medici a base di sostanze: con la nuova linea guida MDCG 2022-5 (che ridefinisce l’azione farmacologica, metabolica e immunologica) molti DM a base di sostanze (come gli herbals) potrebbero non essere più considerati dispositivi.
“La Linea guida non ha lo stesso effetto di una legge – ricorda Gellona – ma sia gli organismi notificati sia le imprese si basano sulle linee guida per il loro lavoro e anche le istituzioni vi fanno riferimento, ad esempio in caso di contenziosi. C’è molta preoccupazione al riguardo perché molti prodotti, come quelli a base di sostanze vegetali, che rappresentano un’innovazione in questo settore, rischiano di essere buttati fuori da questo settore”.
Ad un anno dalla piena operatività, i dubbi riguardano ancora i pochi organismi notificati, la banca dati Eudamed che funziona a metà, il susseguirsi di linee guida, la certificazione di software come device
Secondo la nuova linea guida, in poche parole, una sostanza che entra in contatto con il corpo può essere considerata un farmaco; quindi, stiamo parlando potenzialmente di qualunque sostanza. Con questa nuova definizione, alcuni dispositivi potrebbero diventare farmaci, altri uscire da qualsiasi classificazione, come gli sciroppi, con il rischio di veder circolare prodotti non controllati e non certificati. “Si sta continuando a ragionare su questo – specifica Gellona – stiamo lavorando sia con il Ministero della Salute sia a livello europeo, ma è una battaglia ancora lunga e difficile: una definizione, sbagliata in termini tecnici, rischia di cancellare un intero settore che è un fiore all’occhiello dell’innovazione”.
A fine maggio, Confindustria Dispositivi Medici ha tenuto l’evento annuale sugli affari regolatori, il Regulatory Affairs Day (RADAY) e la giornata finale è stata moderata proprio da Policy and Procurement in Healthcare. Tre giorni in cui si è fatto il punto sulla situazione regolatoria dei dispositivi medici e in cui si è sottolineato ancora una volta il periodo difficile che sta vivendo il settore, proprio a causa delle complessità dettate dall’applicazione corretta del Regolamento e delle varie linee guida che continuano a susseguirsi. Si è parlato di vigilanza, di tracciabilità, di diagnostica in vitro, di problemi legati agli acquisti, di come gestire il passaggio tra le vecchie direttive e i nuovi regolamenti; si è parlato anche di indagini cliniche, un tema per certi versi nuovo per i fabbricanti e anche complesso, perché il dispositivo medico non deve solo essere sicuro ma deve anche avere un valore terapeutico significativo: le imprese più piccole non sanno come fare a condurre le indagini, che per molti aspetti sono costose e non alla portata di tutti.
L’attuazione del Regolamento in Italia
A maggio 2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato una prima versione dei decreti legislativi di adeguamento ai Regolamenti Ue sui dispositivi medici (745/2017) e sui dispositivi diagnostici in vitro (746/2017); si tratta di un’approvazione preliminare perché il testo deve passare ancora alle Regioni e dalle commissioni. Questi decreti, che attuano l’articolo 15 della legge 22 aprile 2021, n. 53 (la legge di delegazione europea 2019/2020), intervengono al fine di:
- definire contenuti, tempistiche e modalità di registrazione delle informazioni che fabbricanti, distributori e utilizzatori sono tenuti a comunicare al Ministero della salute;
- riordinare il meccanismo di definizione dei tetti di spesa;
- definire il sistema sanzionatorio;
- individuare modalità di tracciabilità dei dispositivi medici attraverso il riordino e la connessione delle Banche dati esistenti in conformità al Sistema unico di identificazione del dispositivo (sistema UDI);
- rendere efficienti i procedimenti di acquisto tramite articolazione e rafforzamento delle funzioni di Health Technology Assessment (HTA) e adeguamento delle attività dell’Osservatorio dei prezzi di acquisto dei dispositivi.
“Alcune parti di questi decreti – precisa l’avvocato Stefanelli – riprendono elementi che sono già presenti nel regolamento, in altri casi invece si introducono nuovi elementi, come per esempio il ruolo degli stati membri e del Ministero della Salute: parliamo di un regolamento e non più una direttiva, sono quindi cambiati i ruoli delle autorità competenti. Si prevede poi la registrazione in banca dati anche dei distributori, non solo dei fabbricanti; ci sono cinque pagine di sanzioni molto importanti (anche dal punto di vista economico) verso i fabbricanti, gli importatori, i distributori e i mandatari. Devo dire che mi ha sorpreso la sanzione verso la persona responsabile, che scatta nel caso non svolga i suoi adempimenti; non dico che non ci voglia una sanzione ma questa non è prevista per altre figure altrettanto importanti, come il Data Protection Officer. Queste discrepanze rischiano di rendere difficile reperire sul mercato la figura della persona responsabile”.
A maggio 2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato una prima versione dei decreti di adeguamento ai Regolamenti Ue n. 745/2017 e n. 746/2017
Il decreto che attua il Regolamento sui dispositivi medici tocca anche il tema della pubblicità, introducendo una stretta sulle regole esistenti. Secondo l’art. 26, infatti, è vietata la pubblicità verso il pubblico dei seguenti dispositivi:
- dispositivi su misura, di cui all’art. 2, numero 3 del Regolamento;
- dispositivi che necessitano prescrizione medica o per il cui impiego è prevista l’assistenza di un professionista sanitario.
Detto questo, il Ministero può comunque decidere altre limitazioni alla pubblicità.
La promozione dei dispositivi medici al pubblico, nei casi in cui è possibile, deve essere inoltre autorizzata dal Ministero della Salute (mentre il Regolamento Ue non prevede l’autorizzazione) e deve essere realizzata secondo le linee guida approvate dal Ministero.
L’informazione rivolta agli operatori sanitari non necessita invece di autorizzazione e si svolge nel rispetto delle modalità individuate con linee guida del Ministero della Salute.
Il nodo dei software medicali
Uno dei tanti punti ancora da chiarire riguarda i software medicali, perché in alcuni casi dovranno essere certificati come dispositivi medici. Capire di quali casi stiamo parlando è la vera sfida.
“I software medicali – riprende Stefanelli – sono da considerare dispositivi medici qualora supportino il sanitario e il medico nella sua attività lavorativa. C’è un cambio anche delle regole di classificazione, prima il software era in classe I e poi in autocertificazione, ora va in classe II (A o B) o addirittura III e c’è il coinvolgimento dell’organismo notificato: occorre quindi una documentazione a supporto del software più impattante rispetto a prima. Bisogna dire che esistono molti applicativi e che al momento sono pochi gli organismi in grado di certificarli come DM, la letteratura scientifica è ridotta, fare delle indagini cliniche sui software è complesso e costoso e sicuramente non c’è la pressione sul mercato, che invece avverrà quando si accelererà la sanità digitale. Senza dubbio è un settore molto interessante, ma anche critico”.
Ma come si stabilisce se il software medicale deve essere certificato come dispositivo medico?
Come si stabilisce se il software medicale deve essere certificato come dispositivo medico?
“C’è una recente sentenza del Tar della Lombardia (la 452 del 2022) che ha compiuto una prima importante distinzione giuridica tra una piattaforma che semplicemente raccoglie i dati (non è un dispositivo medico) da quella che invece raccoglie dati di un saturimetro o ecocardiografo, considerata dispositivo medico”.
Come si legge nella sentenza, una piattaforma che si limita ad attività di “archiviazione e gestione dei dati paziente, dei dati di monitoraggio e dei dati relativi alla terapia e alle decisioni cliniche” non può essere considerata medical device perché non vi è possibile svolgere “alcuna attività medica in senso stretto, ossia di diagnosi, di prevenzione, di controllo, di terapia o di attenuazione di una malattia, ma si prevede per il suo tramite l’esecuzione di compiti assolutamente accessori e di supporto all’attività di telemedicina vera e propria, essendo quest’ultima effettuata soltanto per mezzo degli apparecchi (device) destinati all’acquisizione dei parametri clinici del paziente (ovvero i saturimetri e gli elettrocardiografi)”.
“Siamo di fronte quindi a una complessità applicativa: il quadro giuridico è chiaro, ma è più complesso a livello pratico – riprende Stefanelli – il problema non è decidere se una piattaforma di telemedicina sia un dispositivo medico, ma se può diventare un dispositivo medico. È questo passaggio l’aspetto più critico”.
Obbiettivo del Regolamento: un mercato europeo dei DM forte
Era l’obbiettivo principale, ma a cinque anni dall’approvazione del Regolamento e a un anno dalla piena operatività, ci si chiede se questo obbiettivo sarà mai raggiunto.
“Il valore di fondo della normativa europea rimane – ribadisce la direttrice generale di Confindustria Dispositivi Medici – perché punta su una maggiore sicurezza e qualità dei dispositivi medici. Già le vecchie direttive avevano fatto molto, ma erano sicuramente da aggiornare. Le difficoltà si potranno superare se verrà utilizzato il buon senso da parte dei fabbricanti, che non dovranno aspettare l’ultimo giorno utile per riavviare le procedure di ricertificazione. Bisogna confidare anche nel buon senso dell’autorità competente e si è costantemente in contatto con la Commissione europea per smussare alcuni aspetti come la linea guida sui medical device a base di sostanze. Perché va bene contemplare regole più severe, ma occorre anche lasciare le imprese libere di fare il loro mestiere. In Italia, poi, la situazione dipenderà anche dalle politiche d’acquisto e si rischia che gli sforzi non siano del tutto ripagati”.
Con le vecchie direttive, l’Europa era un mercato molto più competitivo rispetto, ad esempio, a quello statunitense
Con le vecchie direttive, l’Europa era un mercato molto più competitivo rispetto, ad esempio, a quello statunitense.
“Con il peso della nuova regolamentazione – conclude Gellona – pur mantenendo un livello qualitativo alto, questo vantaggio competitivo rischiamo di perderlo: si spera quindi che sia solo un problema dell’inizio della nuova regolamentazione e che poi, con il tempo, si fluidifichi tutto il percorso”.
“La complessità applicativa del regolamento effettivamente è ancora superiore a quella che si poteva immaginare nel 2017 – chiude Stefanelli – quando già si cominciava a vedere la mole anche dal punto di vista degli articoli e da questo ne sono derivate le linee guida del Medical Device Coordination Group (MDCG). Senza dubbio, per la realtà italiana, esistono delle medie o piccole imprese che si trovano oggi a muoversi in un mercato e in una regolamentazione che mira a una maggior sicurezza del dispositivo e ad una uniformità del mercato: per una piccola impresa o una start up la fase iniziale può essere quindi molto complessa”.