Tra la prima e la seconda ondata di Covid-19 i medici hanno smesso improvvisamente di essere eroi e sono diventati facili bersagli. In nome di cosa? Una medicina sicura e infallibile? Una terapia miracolosa per il Covid che non esisteva a marzo, non c’è oggi e non ci sarà ancora per tanto tempo? Non è chiaro quale tipo di negligenza si invochi, ma un fatto è certo: le denunce stanno arrivando.
Fin da marzo si è parlato di scudo penale per difendere la categoria dei medici e degli operatori sanitari da eventuali ricorsi da parte di pazienti o famigliari di pazienti Covid. La desolazione che si porta dietro questo virus non ha limiti, le sue origini ancora non sono note, la fine è lontana. Per chi è passato attraverso questo inferno la ricerca di un colpevole è più forte di una lettura più attenta della realtà. Perché a ben vedere, con le scarse conoscenze scientifiche su come questo virus si può curare, i medici hanno fatto quello che potevano.
La legge già li protegge dalla responsabilità sia penale, sia civile. Ma la voglia di riscatto è tanta e lo tsunami di denunce che potrebbe abbattersi sulla sanità italiana non è una chimera.
Lo scudo penale di cui si è tanto discusso in realtà non è mai stato approvato. Da tutti i partiti di maggioranza e opposizione sono arrivate proposte di emendamenti al Decreto Cura Italia (n.18 del 17 marzo 2020) per poter proteggere i professionisti sanitari.
Il problema è che, accanto a medici e operatori, si volevano esentare da ogni responsabilità anche i dirigenti delle strutture. I medici si sono opposti parlando di ingiusto colpo di spugna su tutte le condotte tenute dai dirigenti, soprattutto quelle (a loro dire) che hanno esposto il personale a seri rischi sanitari evitabili.
A causa di questa diatriba, dello scudo penale non se n’è fatto più nulla. E visto che ormai le procure in tutta Italia si sono già mosse, è inutile.
Ma, come detto, la legge italiana in realtà già protegge medici e anche strutture da eventuali responsabilità lievi legate alla gestione della pandemia (non, naturalmente, per colpa grave o dolo). Quello da cui non protegge è l’ondata di denunce che potrebbero arrivare (alcune sono già partite) anche se poi finiranno per essere archiviate. Questo significherà perdita di tempo e di risorse dietro processi che non porteranno a nulla, ma rappresenteranno comunque una magra vittoria per chi li ha messi in moto. Il Sistema Sanitario Nazionale sarà pronto a reggere l’urto?
Ne abbiamo parlato con Tiziana Frittelli, presidente Federsanità Anci e l’Avvocato Roberto Bonatti, Avvocato specializzato in contratti pubblici, servizi pubblici locali e diritto della concorrenza, Studio Legale Russo Valentini, Bologna.
Intervista a Tiziana Frittelli
Presidente Federsanità Anci
Come vede la situazione dei medici e dei dirigenti sanitari in merito alla responsabilità sanitaria?
La situazione oggi è preoccupante: i decreti attuativi della legge 24 del 2017 (Legge Gelli-Bianco) per l’obbligo assicurativo non sono ancora stati attuati e non c’è la tabella per le macro lesioni prevista dalla Legge sulla Concorrenza.
Siamo arrivati nella fase pandemica senza strumenti. Non avere una tabella di riferimento nazionale per l’entità risarcitoria (nel caso in cui un medico o la struttura fossero denunciati per responsabilità civile e fossero quindi chiamati a risarcire per il danno inflitto, ndr) lascia al giudice piena discrezionalità sull’entità del risarcimento.
Ci sarebbe voluta almeno una ridefinizione della responsabilità e della colpa riferita alla pandemia, ma non siamo riusciti nemmeno a fare questo. Mi chiedo se il Sistema Sanitario Nazionale sarà in grado di far fronte alle moltissime richieste risarcitorie che sicuramente arriveranno. Alcune strutture hanno già ricevuto richieste di documentazione (a fronte, credo, di denunce), magari non si arriva a nulla ma è comunque un primo segnale. Molte procure nel nord Italia già si sono mosse.
Nei mesi scorsi lei aveva richiesto uno scudo penale per operatori e per aziende sanitarie, ma è saltato tutto. Che cosa rischiano i professionisti e i dirigenti adesso?
Io non chiedo uno scudo penale, ma una commisurazione delle responsabilità in relazione alla situazione contingente. L’obbligazione assunta dai medici è un’obbligazione di mezzi, non di risultato. I medici devono assicurare di fare il possibile nel modo più professionale, ma non sono tenuti a guarire.
Io ho visto come hanno lavorato in questi mesi, sono molto vicino a loro, si sono sacrificati. Ho a cuore la sostenibilità del SSN e se domani dovessimo trovarci con un numero altissimo di contenziosi sarebbe costoso e defatigante per tutti e parlo anche per la sanità privata. Rischiamo molto, tutto il sistema sanitario rischia.
«Siamo arrivati nella fase pandemica senza strumenti, e non siamo riusciti a ridefinire responsabilità e colpa»
Già prima della Legge Gelli gran parte delle aziende sanitarie non era coperta dalle assicurazioni e quindi faceva fronte a richieste risarcitorie con il proprio bilancio: in quel caso la rivalsa sui professionisti era totale, mentre nel caso di aziende assicurate la rivalsa è solo nella parte a carico dell’azienda.
Se c’è stata negligenza a prescindere dalla situazione contingente (al di là del dolo e colpa grave che vanno sempre sanzionate, ndr) è giusto che si proceda ma se, al contrario, un evento è successo perché non era possibile agire diversamente oppure è occorso anche se si è fatto tutto il possibile, non è giusto procedere.
Come si potrebbero proteggere adesso i professionisti e le aziende sanitarie?
Questo non è solo il tempo della responsabilità, deve essere anche il tempo delle alleanze. Solo alleandoci e lavorando insieme potremo uscirne più forti.
Ormai è tardi per ridefinire la responsabilità medica per questa pandemia, perché le procure si sono mosse.
Sarebbe quindi il caso di prevedere un fondo per gli eventuali risarcimenti che ci verranno richiesti: così come si sono create compensazioni con la creazione di fondi per operatori sanitari in aggiunta agli indennizzi INAIL, si dovrebbe definire un fondo per gestire queste richieste sotto forma di indennizzo, individuando cluster di accesso come si è fatto in passato con la legge sui danni per i vaccini (Legge 210 del 1992, ndr).
«Questo è il tempo della responsabilità ma anche delle alleanze»
La vera strada da intraprendere avrebbe dovuto essere quella di ridefinire la responsabilità degli operatori, ma non c’è stata una volontà politica in questo senso. Ci sono state molte opposizioni da parte sindacale, ma credo che ci sia stato un fraintendimento totale, perché si intendeva ridefinire la responsabilità nei confronti di terzi, le direzioni strategiche non c’entravano nulla. Anche se, a mio parere, anche la direzione strategica sta operando in totale emergenza e non è giusto scaricare sulla dirigenza tutta la responsabilità. Nessuno vuole sconti, ovviamente, se ci sono state negligenze dovute a comportamenti scorretti è giusto che si paghi.
Dobbiamo essere tutti uniti in questa pandemia, perché queste rivendicazioni tra categorie diverse nello stesso settore non fanno bene a questo paese.
Che cosa rischia il sistema nel caso dovessero arrivare molte denunce, come lei stessa teme?
I nostri operatori, dopo essere stati in prima linea, si meritano contenziosi? Io non credo proprio.
Questi soldi che spenderemo tra processi, avvocati, etc. sarebbe meglio tenerli per le cure. A furia di prendere di mira i medici, questi smetteranno di rischiare, di spendersi, di fare di più per gli altri. A che serve fare un passo in più, se poi ti portano in tribunale?
Io vorrei sedermi a un tavolo congiunto con i sindacati, i tecnici del Ministero della salute, dell’innovazione, dell’economia e dello sviluppo economico per trovare una soluzione ed evitare che si applichi tour court la Legge Gelli che è stata pensata per un contesto diverso da questo e di certo non per un’emergenza sanitaria.
Intervista a Roberto Bonatti
Studio Legale Russo Valentini, Bologna
Ad oggi, senza lo scudo penale tanto richiesto, i medici e le aziende rischiano davvero dal punto di vista penale e civile?
Direi proprio di no. Il Codice civile e la Legge Gelli-Bianco potrebbero essere già sufficienti per far star tranquilli gli operatori e le strutture.
Bisogna però distinguere tra responsabilità civile e responsabilità penale.
Secondo la Legge Gelli – e in questo sta una delle principali novità apportate da questa legge a favore della classe medica – la responsabilità penale è esclusa per il medico in caso di colpa lieve. Ad esempio l’imperizia, vale a dire la colpa nel non avere applicato correttamene la scelta medica, ma parliamo sempre di una colpa che non deve essere inescusabile. In questo caso quindi si ammette che il medico possa sbagliare in una data circostanza, mentre diventa colpa grave quando nessun medico può sbagliare in quella circostanza (colpa inescusabile).
È una norma innovativa perché per la prima volta si esclude la colpa lieve dalla responsabilità penale e già questo è uno scudo.
La Legge Gelli-Bianco esclude la colpa lieve dalla responsabilità penale
Quindi nessun medico può essere ritenuto penalmente responsabile per come ha trattato i pazienti Covid nella prima fase?
Esatto. Anche perché non c’erano tutte le informazioni scientifiche sufficienti per poter diagnosticare e curare correttamente questa patologia. Il medico che avesse mal diagnosticato o somministrato una terapia sbagliata tra marzo e aprile, quando i dati erano inesistenti o scarsi, non può essere accusato per colpa inscusabile.
Per quello che ho visto io finora, infatti, le denunce ai medici sono state tutte archiviate per questa ragione.
In questa pandemia non c’erano informazioni scientifiche sufficienti, soprattutto nei primi mesi. Quindi gli errori fatti nella gestione dell’emergenza non possono imputarsi a colpa grave. Dal punto di vista penale il medico è già protetto in modo adeguato.
E in caso di responsabilità civile, il medico rischia in qualche modo?
Direi di no. Chiariamo che la responsabilità civile, a differenza di quella penale, scatta anche – in via generale – in caso di colpa lieve. Ma qui ci viene in soccorso il Codice Civile che si applica al professionista e quindi anche al medico. L’art. 2236 cita infatti: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.
La pandemia di Covid implica una situazione di speciale complessità quindi il medico può anche non risponderne civilmente in caso di colpa lieve, mentre ne risponderà per colpa grave o dolo (come per la responsabilità penale).
Pertanto, in merito alla gestione dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, mi sento di dire che ci troviamo in una situazione di, al massimo, colpa lieve, ma questa dal punto di vista penale non esiste e dal punto di vista civile, con l’art. 2236 del Codice Civile, è comunque esclusa visto che il Covid chiede la soluzione di problemi tecnici di speciale complessità.
Se il medico o la struttura fossero comunque accusati di colpa lieve, che tipo di responsabilità avrebbero?
La responsabilità del medico è distinta da quella dell’azienda sanitaria: il medico risponde per la responsabilità extracontrattuale (da fatto illecito), dopo 5 anni scatta la prescrizione della domanda risarcitoria e l’onere della prova è a carico del paziente. Il medico è responsabile della sua prestazione, in termini diagnostici e terapeutici, deve quindi curare la malattia secondo il protocollo terapeutico, se esistente. La Legge Gelli-Bianco protegge il singolo professionista e dà importanza ai fini della responsabilità alle linee guida medico-scientifiche: se il medico dimostra di aver seguito queste linee guida, non corre nessun rischio (la colpa grave semmai si verifica quando queste linee guida non sono rispettate). Con il Covid non esistevano linee guida su come gestire i pazienti Covid e quindi non gli si può imputare alcuna violazione del protocollo terapeutico.
La responsabilità del medico è distinta da quella dell’azienda sanitaria
La responsabilità della struttura sanitaria è invece di tipo contrattuale, anche se un vero contratto tra l’azienda e il paziente non esiste, ma la giurisprudenza ormai lo identifica come “contratto da contatto sociale”, in virtù del fatto che l’assistito ha diritto a una prestazione sanitaria. In questo caso i tempi di prescrizione sono di 10 anni e l’onere della prova è a carico dell’azienda. La struttura risponde sempre per la responsabilità civile, mentre per quella penale rispondono i suoi dirigenti.
Per quanto riguarda la gestione della pandemia, l’azienda deve curarsi di problematiche legate agli accessi alle strutture, all’organizzazione dei reparti Covid, la distribuzione dei dispositivi medici, etc. È compito della parte organizzativa dell’azienda mettere in piedi dei percorsi efficienti perché si possano affrontare tutte le ondate.
Ma, attenzione, la struttura deve avere protocolli per affrontare il problema, non per risolverlo.
Non si può pretendere che quei protocolli possano curare tutti e salvare tutti, perché questo può dipendere da situazioni imprevedibili.
E l’imprevedibilità solleva la struttura da ogni responsabilità.
L’imprevedibilità è una sorta di forza maggiore: se arriva lo tsunami è forza maggiore, io posso costruire tutti i muri più alti che posso, ma cadranno sotto il peso di quell’onda gigantesca. Stessa cosa per la seconda ondata della pandemia che stiamo vivendo: io posso organizzare la struttura e il personale per fronteggiare l’emergenza nel modo più efficiente possibile, ma se i numeri salgono troppo questa seconda ondata diventa forza maggiore. La struttura deve dimostrare di aver fatto il possibile con le risorse disponibili.
Anche se la legge tutela medici e strutture, è comunque probabile che le denunce arriveranno lo stesso. Come si può evitare tutto questo?
In effetti, anche se le leggi per proteggere i medici ci sono, rimane il fatto che le cause, anche se non porteranno a condanne, saranno comunque costose e avranno come conseguenza l’inasprimento della medicina difensiva, quella pratica per cui i medici, per tutelarsi, prescrivono visite su visite. Una pratica che la Legge Gelli-Bianco aveva cercato di arginare ma che adesso potrebbe riesplodere. Perché i medici non sono sereni e i costi per assicurarsi sono proibitivi.
Lo scudo penale non ha senso perché, da un punto di vista penale, come detto, i medici sono protetti. Bisogna semmai lavorare sul fattore culturale e smontare questo costante pensiero negativo contro i medici: la medicina presenta dei rischi e le terapie possono non essere sempre efficaci. È un dato di fatto e va accettato. Il consenso informato serve proprio per informare in questo senso, ma non protegge i medici fino in fondo, perché viene comunque facilmente aggirato quando si vuole ottenere un risarcimento. Il consenso informato non basta a far stare tranquilli i medici.
Nel clima di denuncia, si inasprirà la medicina difensiva
L’idea di un indennizzo generale stile Legge 210 non ha nemmeno senso. Quella legge fu fatta per indennizzare una vaccinazione obbligatoria imposta dallo Stato. Per il Covid è diverso, qui si parla di prestazione medica. E se l’idea è di fare una legge simile per evitare le denunce, è ancora più inutile perché, come nel caso delle vaccinazioni obbligatorie degli anni ’70 (ancora oggi ci sono processi), anche quelle eventuali per Covid potrebbero comunque essere portate avanti indipendentemente dall’indennizzo.
Lavorare sulla cultura e sperare che le persone cambino idea nei confronti dei medici è un processo a lungo termine che non può esaurirsi in questi mesi, ma su cui sicuramente occorre iniziare a lavorare. Chi ha lottato e continua a lottare in prima linea per salvare vite umane, impegnandosi nel modo più professionale possibile, non merita di essere denunciato. L’ondata dei ricorsi potrebbe essere la stoccata finale a un sistema sanitario già duramente provato e con costi stellari. E un sistema che non funziona, sommerso dalle cause e dalle denunce, di certo non può assistere i malati come dovrebbe.