Riforma IRCCS, le Reti sono strategiche: importante usare bene i dati

A TrendSanità Raffaele Lodi (Rete IRCCS Neuroscienze) sottolinea che «essere aggregati in una rete permette al singolo istituto di partecipare a programmi di ricerca a lungo termine con un assetto e una composizione dei partecipanti stabile»

Lavorare in rete è tra gli obiettivi principali della riforma degli IRCCS, gli istituti a carattere scientifico che dopo 20 anni sono oggetto di una riforma che sta lentamente diventando operativa.

«La nuova legge permette di includere nelle reti anche altri enti del servizio sanitario, come l’Università. Si tratta di una possibilità che prima non era declinata a livello legislativo». Raffaele Lodi è direttore scientifico dell’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, e Presidente della Rete IRCCS delle Neuroscienze e della Neuroriabilitazione istituita nel 2017. Per l’esperto, però, l’aspetto più rilevante riguarda l’assetto che la nuova legge permette: «Essere aggregati in una rete permette al singolo istituto di partecipare a programmi di ricerca a lungo termine con un assetto e una composizione dei partecipanti stabile, garantendo quindi un’interazione costante e che persiste nel tempo con gli altri IRCCS della rete». In altri contesti, infatti, è frequente che la collaborazione sia legata a un finanziamento: quando questo si esaurisce, anche la prima tende a chiudersi.

L’uso secondario dei dati sanitari

Raffaele Lodi

«Il metodo di lavoro della nostra rete è invece quello di lavorare costantemente, scambiandoci e condividendo i protocolli di indagine e le casistiche dei pazienti dei nostri istituti, indipendentemente dai flussi dei finanziamenti che ci impegnano su specifiche attività – spiega Lodi -. All’interno della rete sono quindi condivisi i dati che vengono raccolti nella normale pratica clinica: oggi si parla molto di big data, ma si fa poco riferimento alla qualità delle informazioni che vanno ad alimentare i sistemi». Da diversi anni, le reti IRCCS hanno avviato una politica rivolta primariamente al controllo della qualità dei dati clinici e strumentali che raccolgono sulle casistiche dei pazienti.

L’uso secondario dei dati sanitari mette in difficoltà anche gli istituti a carattere scientifico, sebbene possano beneficiare di una legislazione speciale: il Garante della Privacy ha infatti recentemente chiarito che, all’interno dell’IRCCS, i dati raccolti a scopo di cura possono essere utilizzati per la ricerca, a patto di svolgere e rendere pubblica una valutazione di impatto. 

«Oggi vedo molta attenzione bipartisan sul tema dell’utilizzo dei dati sanitari – premette Lodi -. Noi tutti auspichiamo, nel rispetto dei diritti del singolo in termini di privacy e di trasparenza, una semplificazione da parte del legislatore, in modo da poter utilizzare con meno vincoli il frutto dell’attività clinica e assistenziale che si svolge nei nostri istituti. Pur avendo una legislazione ad hoc, anche negli IRCCS la gestione dei dati potrebbe essere migliorata».

L’interoperabilità dei sistemi

Anche per quanto riguarda un altro problema che da anni affligge la sanità, la mancata interoperabilità dei sistemi informatici, secondo Lodi «i limiti non sono tecnici o tecnologici, ma normativi». Le reti IRCCS, a seconda della progettualità, raccolgono i dati di un determinato programma di ricerca su piattaforme all’interno di un IRCCS, in modo che rimangano di proprietà del singolo istituto, ma possano essere condivisi. Oppure, si affidano a servizi esterni, come quello offerto dal CBIM appositamente per gli IRCCS.

Il Consorzio di Bioingegneria e Informatica Medica è un ente di ricerca no profit con personalità giuridica, nato nel 1992 per promuovere lo sviluppo di applicazioni IT nella sanità. Nel 2023, la Direzione Generale Ricerca e Innovazione in Sanità del Ministero della Salute ha invitato tutti gli IRCCS a valutarne l’adesione per armonizzare e programmare uniformemente lo sviluppo di servizi e strumenti software a supporto dell’attività dei singoli istituti e ottimizzare l’integrazione informativa con la piattaforma Workflow della Ricerca, utilizzata dal Ministero per la gestione dei bandi e il monitoraggio dei finanziamenti agli IRCCS.
Trattandosi di una partecipazione volontaria, non tutti hanno aderito.

Per quanto riguarda la mancata interoperabilità tra sistemi, i limiti sono normativi, non tecnici

A inizio anno è stato firmato un protocollo di intesa biennale tra Alleanza Contro il Cancro (la rete per la ricerca in ambito oncologico) e Farmindustria per Health Big Data, un progetto che prevede lo sviluppo di una piattaforma integrata per raccogliere, condividere e analizzare i dati clinici e scientifici dei pazienti di ciascuno dei 51 IRCCS partecipanti al progetto.

Il progetto è finanziato con 55 milioni di euro e prevede la partnership con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e il Politecnico di Milano.

Il nodo delle risorse

Degli oltre 50 riconosciuti, una parte sono pubblici e l’altra privati: «Dal punto di vista giuridico, il fatto che esistano istituti pubblici e privati ha una valenza, anche nell’operatività quotidiana – ammette Lodi -. Un istituto pubblico deve operare come tutte le altre amministrazioni pubbliche, che spesso allungano i tempi ma al tempo stesso non pone limiti per quanto riguarda le casistiche che vengono trattate in istituto garantendo la massima libertà per i pazienti e per i ricercatori».

La riforma degli IRCCS arriva a 20 anni di distanza dalla legge precedente, che risale al 2003: «È stata un’opportunità per introdurre dei correttivi e contiene molti elementi positivi, come il maggior coinvolgimento del direttore generale per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi di ricerca, affiancando in maniera più stretta l’attività del direttore scientifico – afferma Lodi -. Inoltre, ha definito in maniera forte il ruolo delle reti di patologie, fissando per legge la condivisione non solo di competenze, ma anche di attrezzature, con la finalità di realizzare laboratori virtuali distribuiti sul territorio nazionale che cercano di operare in modo integrato».

Un altro elemento positivo riguarda l’introduzione degli indicatori quantitativi che dovranno essere tenuti in considerazione da parte delle commissioni che valuteranno gli istituti per confermarne il carattere scientifico. «Anche la legislazione precedente prevedeva delle valutazioni ogni due anni, ma mancavano criteri oggettivi per confermare il livello di eccellenza dell’attività».

Resta il nodo delle risorse: a fronte di un allargamento previsto del numero di istituti a carattere scientifico, non è previsto un incremento dei fondi: «Il problema è importante perché è solo attraverso il finanziamento, in primis del Ministero della Salute, che possono essere sostenute le politiche di indirizzo degli istituti e delle reti di patologia», conclude Lodi.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista