Le carenze di personale, l’incognita della pandemia, la transizione digitale da completare, la situazione politica in evoluzione. Quanti ostacoli sul cammino di un progetto ambizioso come il DM 77. Il Regolamento, uno dei cardini del PNRR, definisce la rete dell’assistenza delineata dalla Missione 6. Una rivoluzione. Parole chiave tutte nuove: Case della Comunità, Centrali Operative Territoriali, Ospedale di Comunità, infermiere di famiglia e di continuità assistenziale. Cambiano i ruoli: maggiori compiti ai distretti, una posizione centrale per gli infermieri e un’inedita integrazione con il lavoro dei medici di medicina generale.
La rivoluzione scritta sulla carta riuscirà a tradursi in realtà? Come? Ne abbiamo discusso durante la Live DM 77 – Fotografia della nuova assistenza territoriale con Agenas, attore principale del processo, e con Federsanità, che associa le Aziende Sanitarie Locali, Ospedaliere e gli Irccs insieme ai rappresentanti dei Comuni associati alle Anci regionali di riferimento.
La criticità maggiore: manca il personale
Come sempre, la diretta ha preso le mosse dal confronto con i due ospiti sui risultati dei sondaggi condotti tra i nostri lettori nelle scorse settimane su questo argomento, da cui emerge come maggiore difficoltà verso la messa a terra del nuovo sistema la carenza di personale (opzione indicata dal 57% dei votanti), e come figura che dovrà cambiare maggiormente il proprio approccio alla professione il medico di medicina generale (MMG), (75% dei voti).
“Il problema della carenza del personale è legato alla necessità di affrontare il futuro con una diversa filosofia di sistema, che per altro è suggerita sia dal DM77, la prima milestone importante del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che dal PNRR stesso – commenta Francesco Enrichens, Project Manager PonGov Cronicità – Agenas -. La richiesta comporta uno sforzo che tutti dobbiamo fare: è il momento in cui dobbiamo metterci di comune accordo a riprogettare l’approccio alla base del sistema sanitario nazionale e regionale. Ce lo dice il DM77 quando parla di medicina di prossimità e presa in carico della persona. Il mondo dei Pdta, delle categorie e dei silos è finito. Adesso c’è un mondo in cui tutti insieme dobbiamo contribuire, anche affrontando le criticità, a partire dalla carenza di personale”.
“Tra le criticità del sistema, avrei puntato più sull’organizzazione – dice Tiziana Frittelli, Presidente Nazionale Federsanità e Dg AO San Giovanni Addolorata -. Innanzitutto abbiamo un sistema molto buono: non demonizziamo il nostro servizio sanitario, che anche in questi anni di difficoltà ha tenuto e ha saputo dare grandissimi risultati anche rispetto altre realtà europee, ma, com’è noto, per la maggior parte delle regioni è un sistema ospedalocentrico. Pensare di transitare verso una sanità territoriale e più vicina al cittadino con un obiettivo ambizioso come la cura domiciliare per oltre il 10% degli ultrasessantacinquenni, che vuol dire attuare uno degli slogan più importanti del PNRR, La casa come primo luogo di cura, non potremo di certo realizzarlo in una realtà ospedalocentrica senza cambiare in primo luogo l’organizzazione.
Come sappiamo, il PNRR darà finanziamenti di tipo strutturale, ma prima ancora di stabilire i fabbisogni bisognerà capire quale organizzazione transiteremo nel nuovo sistema, e a questo fine non basterà neanche il contenuto del DM 77 di per sé, bensì servirà a mio parere tenere in controluce una revisione necessaria del DM 70, che ha stabilito i capisaldi della rete ospedaliera, unitamente al DM 77. Questo perché non si può pensare di aggiungere tutto ciò che è previsto dal DM 77 senza capire che fine farà quello che è già sul territorio; sarà necessario definire un nuovo fabbisogno di personale. Entra in gioco anche la transizione digitale: gestire alcuni sistemi con la possibilità di condividere il fascicolo sanitario elettronico, ma io dico anche socio-sanitario, non sarà irrilevante rispetto al fabbisogno di personale che sarà necessario”.
DM 77: cosa, come e perché
Enrichens ha quindi inquadrato la riforma nei suoi aspetti più rilevanti. “Il primo punto cardine del decreto è la disponibilità di risorse per la sanità: parliamo di 1355 Case della Comunità (impegno che quasi tutte le regioni hanno ulteriormente implementato con fondi propri, dimostrando di credere in questo approccio), 611 Centrali Operative Territoriali (COT) e 20mila letti di Ospedali di Comunità. È previsto un incremento del 10%, pari a 800mila persone, ma in prospettiva anche maggiore, di assistenza domiciliare. Ma la cronicità non è più solo l’apice della piramide, che richiede uno sforzo specialistico importante, multidisciplinare e multiprofessionale; è invece principalmente la base, la presa in carico della famiglia e delle persone come stili di vita. Si tratta di un cambio epocale per gli operatori, che dovranno assumere una nuova filosofia di sistema e di lavoro, che preveda di lavorare insieme ai MMG e pediatri di libera scelta, i quali non solo non diminuiscono ma amplificano il loro ruolo di registi, perché sono loro a prendere in carico quotidianamente nelle Case di Comunità i soggetti.
Dopodiché ci sono le tecnologie, con le centrali 116 117, una ogni milione di abitanti, e le COT, una per ogni distretto, cioè ogni 100mila abitanti, che saranno gli strumenti formidabili e fondamentali per mettere i MMG in connessione diretta con i propri assistiti e coordinati con tutti gli abitanti dell’organizzazione per poter costruire il sistema”.
A regime i cittadini si rivolgeranno alle Case di Comunità, abitate in primis dai MMG e dalle altre professioni sanitarie, mentre il 116 117 comincerà a coordinare le attività di guardia medica e progressivamente diventerà la porta tecnologica e telefonica per gli utenti
A regime, spiega Enrichens, funzionerà così: “Il sistema vedrà il cittadino rivolgersi alle Case di Comunità, abitate in primis dai MMG e dalle altre professioni sanitarie; il 116 117 comincerà a coordinare le attività di guardia medica e progressivamente diventerà la porta tecnologica e telefonica per gli utenti; le COT, non aperte al pubblico, che, in rapporto con il 116 177, metteranno in connessione, anche grazie agli strumenti di telemedicina, tutti gli attori con chi ha bisogno. Il MMG, d’intesa con il Dipartimento di Prevenzione, sarà l’artefice dei cambiamenti di stili di vita. Anche le maggiori fragilità, come la salute mentale, la Neuropsichiatria Infantile, le dipendenze e le comunità ristrette come la medicina penitenziaria si avvarranno di questi strumenti: nessun cittadino sarà abbandonato, ma anzi ci sarà una crescita tecnologica e di approccio umano al sistema”.
Quali sono le principali ricadute sui diversi attori delle Asl (territorio, comunità, ospedali)?
“È molto difficile delinearle tutte perché davvero dovrà essere una rivoluzione – risponde Frittelli -. Cambierà completamente il rapporto fra ospedale e territorio. Il nosocomio continuerà a essere un punto centrale, soprattutto per quanto riguarda il secondo livello, ma con la novità eccezionale delle centrali 116 117, che c’erano già ma sono state messe a regime dal DM 77. Perché oggi, quando il cittadino ha bisogno di qualcosa, l’unica porta che trova aperta è quella del Pronto Soccorso, e quindi tende a imboccarla troppo facilmente.
“Come Federsanità, e su questo fronte siamo particolarmente impegnati, crediamo che una delle novità più importanti sia la sinergia fra Missione 5 – Inclusione e coesione e la Missione 6 del PNRR”
Come Federsanità, e su questo fronte siamo particolarmente impegnati, crediamo che una delle novità più importanti sia la sinergia fra Missione 5 – Inclusione e coesione e la Missione 6. Abbiamo già i presupposti normativi in grado di portare a regime gli strumenti delineati dalla Legge di bilancio 234 del 2021, che ha evidenziato la necessità che innanzitutto siano definiti gli ambiti territoriali e sociali che immagino non potranno non trovare una coincidenza con i distretti sanitari, che pertanto saranno il punto di snodo fondamentale per poter gestire la nuova sanità territoriale. Per riprendere i sondaggi, possiamo affermare che di sicuro i MMG dovranno cambiare, ma non di meno i manager e i direttori di distretto. A questo proposito devo dire che la forza che vedo più pronta al cambiamento e già in fase di startup sono gli infermieri, mentre mi pare maggiormente in difficoltà la classe medica, ai vari livelli.
Tornando alla Legge 234, si vedono all’orizzonte, già maturi, strumenti eccezionali come il Piano nazionale della non autosufficienza 2022-2024, che ha già passato il vaglio della Conferenza delle Regioni ed è pertanto in fase di definizione finale, perché la Missione 5 comprende sia la riforma della non autosufficienza (che in un Paese che sta invecchiando così rapidamente e con tante malattie croniche collegate anche all’età diventa un punto nodale, anche per rendere sostenibile la sanità), la Legge sulla disabilità, di cui stiamo attendendo i decreti attuativi, lo sdoganamento del sistema dei Livelli essenziali di prestazioni sociali (Leps), che hanno il loro apposito fondo. Ora si tratta di mettere a regime tutto questo. Riteniamo che a regime non possa essere l’unico punto di accesso la Casa della Comunità, dove si concentrano le équipe sanitarie e sociali: pensiamo siano necessari una regia e un monitoraggio di livello nazionale e regionale, poiché mentre il coordinamento regionale e nazionale durante la pandemia sono stati importantissimi, dall’altro lato per ora l’assistenza sociale da parte dei singoli comuni presenta gravi difformità e disomogeneità di intervento.
Altro punto fondamentale è la promozione di sani stili di vita, previsti anche come indicatore di monitoraggio dal nuovo sistema di garanzia, seppur non sufficientemente declinato. Come Federsanità intendiamo concentrarci quindi in modo particolare sull’impulso alle politiche di integrazione sociosanitaria, con la costituzione dell’Osservatorio sulla raccolta di buone pratiche di integrazione sociosanitaria che stiamo avviando con Agenas, e alla promozione di sani stili di vita, di invecchiamento attivo e anche in età scolare e prescolare, ponendo grande attenzione all’ambito per noi imprescindibile della medicina scolastica”.
L’importanza delle buone pratiche per il PNRR e per superare le disomogeneità territoriali
A che punto è la definizione delle nuove strutture: Case della Comunità, Centrali Operative Territoriali, Ospedale di Comunità? Quali sono i nodi da sciogliere per arrivare davvero a contare su questa nuova organizzazione? “Intanto, non stiamo parlando di una tabula rasa su cui costruire, ma di un sistema che, pur con diverse sfaccettature, sta già lavorando ed è già allocato fisicamente; a mutare sono la strutturazione e l’ammodernamento in toto del sistema sia dal punto di vista tecnologico e informatico che edilizio – sostiene Enrichens -. Anzi, quest’ultima è una delle critiche principali che vengono fatte al piano: l’idea che ci si metta il cappello da muratore ma manchi tutto il resto; una sensazione che mi permetto di confutare.
Agenas ha un ruolo importante, essendo diventata Agenzia Digitale, nella gestione e nel governo della telemedicina, strumento formidabile che permetterà di modificare anche il modo di lavorare
Quello che era la Casa della Salute, il Poliambulatorio, sta diventando in realtà qualcosa di fisicamente più gradevole sia per spazi che per servizi offerti all’interno della struttura. Laddove si affittavano locali, anche fatiscenti in alcuni casi, è stato possibile progettare e strutturare qualcosa di nuovo, efficiente e moderno, e dove era necessario costruire qualcosa che non c’era, adesso c’è la disponibilità. I patti tra presidenza, Ministero della Salute e Regioni sono già stati firmati e implementati, quindi le regioni stanno andando avanti. Agenas ha un ruolo importante, essendo diventata Agenzia Digitale, nella gestione e nel governo della telemedicina, strumento formidabile che permetterà di modificare anche il modo di lavorare.
Le regioni hanno fatto tutte il loro progetto e molte di esse sono già avanti nella costruzione o nel miglioramento delle strutture. Si tratta di un processo in divenire, seguito dal gruppo di lavoro istituito all’interno di Agenas e coordinato dalla dottoressa Alice Borghini. In più c’è un gruppo di monitoraggio non solo di tipo “ispettivo”, ma facilitatore, collaborativo e di disponibilità. Io stesso mi trovo a coordinare diverse situazioni sperimentali, in Piemonte, nel Lazio con una convenzione specifica, a Ragusa, in Trentino, in Friuli e in Sardegna attraverso il PonGov: abbiamo cominciato a sperimentare le COT, il funzionamento delle Case della Salute, ed esiste già un Manuale operativo e buone pratiche per ispirare e supportare l’implementazione del PNRR, che non è calato dall’alto ma abbiamo condiviso con questi soggetti sperimentatori.
In ultimo, c’è il tema della sinergia fra Missione 5 e Missione 6, che, come già sottolineato dalla dottoressa Frittelli, è un grande elemento di novità, che ci permetterà, tramite le COT, di coordinare le risorse della sanità ma anche dei Comuni per il sociale, e Federsanità sta facendo un grandissimo lavoro con i sindaci per creare queste sinergie”.
L’anno scorso, da un’indagine condotta da Federsanità insieme all’Ifel, è emerso che la spesa per il sociale varia dai 20 euro pro capite dei comuni più poveri calabresi ai 352 di Trento
Non si tratta di un compito facile. “Abbiamo due sistemi malati di grave disomogeneità – sostiene Frittelli -. Da una parte il SSN, che sicuramente è un apparato a due o anche tre velocità, e dall’altro lato, anche in conseguenza del primo aspetto, un’assistenza sociale, che comunque costituisce una significativa determinante di salute, in gestione ai Comuni. L’anno scorso, insieme all’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale (Ifel) di Anci, abbiamo condotto un’indagine sui dati 2018, constatando che la spesa per il sociale varia dai 20 euro pro capite dei comuni più poveri calabresi ai 352 di Trento. Così come, analizzando il documento conclusivo dell’intergruppo sulla cronicità, possiamo riscontrare come gli indicatori di cronicità siano di gran lunga peggiori al Sud e nelle isole che al Centro e al Nord. Ecco perché risolvere il problema della disuguaglianza è cruciale.
Credo potremo migliorare la situazione facendo crescere la cultura organizzativa e la formazione innanzitutto dei professionisti sul territorio. Il modello, che è stato usato in maniera strategica e intelligente nel progetto PonGov, è di creare delle comunità di pratiche, perché altra strada non c’è, e noi come Federsanità ci ripromettiamo di disseminare quelle buone pratiche nelle realtà che sono meno forti.
L’altro progetto che abbiamo è quello sulle cure primarie nelle aree interne, che potrà avere un incredibile sviluppo grazie alla teleassistenza: in realtà la gran parte dei Comuni italiani si trova in aree interne, dove è ancora più difficile la presa in carico dei soggetti fragili sia dal punto di vista sanitario che sociale. Sarà un altro banco di prova per la raccolta di buone pratiche che consentiranno alle diverse realtà di operare nel migliore dei modi”.
Il DM 77 e la sfida della cronicità
Sin dai risultati dei questionari la cronicità emerge come criticità per il sistema. Il DM 77 potrà essere risolutivo? “L’obiettivo del PonGov Cronicità è proprio di gestire la cronicità con strumenti ICT. Senza fare voli pindarici, anche se ormai non sono più tali alla luce dei numerosi esempi concreti di uso dell’Intelligenza Artificiale in ambito sanitario, il primo punto viene da molto lontano perché noi spesso pensiamo che le cose nascano come funghi: ad esempio, il DM 77, prima milestone del PNRR, da approvare entro il 30 giugno affinché il PNRR potesse ricevere l’approvazione d’inizio della Comunità Europea – afferma Enrichens -. Ma il DM 77 nasce da documenti lontani, come l’Accordo Stato-Regioni del 7 febbraio 2013, dove per la prima volta si è parlato di gestione in piattaforme tecnologiche condivise fra il mondo dell’emergenza-urgenza e quello della continuità assistenziale; il 24 novembre del 2016 l’acquisizione del Numero unico europeo per le cure non urgenti 116-117; il Decreto rilancio, che definisco il “turbo” del Covid, che ci ha messi tutti in condizione di rimboccarci le maniche e di ritrovare una solidarietà di comportamento e una multidisciplinarietà che sono le categorie di pensiero con cui dobbiamo approcciare il lavoro del futuro: lavorare insieme non solo tra medici delle diverse specialità, ma anche con gli infermieri e tutti i professionisti del settore; e da ultimo il Dl. 34/2020 che parla di 9.600 infermieri di famiglia, di incrementare l’assistenza domiciliare, delle Case di Comunità, e dà oltre un milione di euro alle regioni per incrementare le Centrali Operative.
Tutto questo lo leggiamo esploso nel PNRR. Poi, certo, ogni cosa è perfettibile. Il DM 77 giustamente non ha ricompreso lo scibile, tant’è che di recente abbiamo lavorato su un documento per armonizzare gli ambiti della salute mentale, Neuropsichiatria Infantile, dipendenze e medicina penitenziaria, e altri pezzi dovranno essere migliorati in progressione. Però questo è un cammino inarrestabile, perché da un lato gli operatori hanno capito che è ora di cambiare approccio: non c’è più il Pdta, c’è la presa in carico, e si va in casa della gente con la telemedicina e con tutte le tecnologie a disposizione; e dall’altro il cittadino ha compreso che può prenotare qualunque cosa al mondo tramite una App sul telefono e allora deve approcciarsi a un sistema sanitario più efficiente e tecnologico”.
“Ormai tutti i presupposti per poter cambiare pelle al Paese sono partiti – aggiunge Frittelli -. Non dobbiamo nemmeno riferirci solo alla Missione 5 e alla Missione 6, che pure rappresentano una novità assoluta: pensiamo anche alle altre Missioni, alla transizione digitale generale del Paese, alle grandi infrastrutture, al potenziamento dell’istruzione e della ricerca. Pensiamo al PNRR nel suo complesso.
Soffermandoci sul settore sanitario, mai come adesso c’è stata una convergenza fra strumenti che a brevissimo diventeranno operativi (Missione 5, Missione 6 e le Linee guida per progettare il budget di salute approvate nel luglio scorso) e c’è anche una consapevolezza importante che al di là del mondo strettamente sanitario e di quello sociale sono sicuramente da portare a bordo gli altri stakeholder, dal terzo settore, sul quale come Federsanità stiamo lavorando in un’ottica di sensibilizzazione, perché è una parte importante della presa in carico, alle associazioni dei pazienti“.
Il ruolo della sanità privata e il futuro del PNRR
Pubblico numeroso e tante domande in diretta per gli ospiti. La prima: la classe medica italiana è anagraficamente vecchia e sta uscendo dal mercato del lavoro, mentre i colli di bottiglia creati dal sistema sanitario rendono disponibili pochi medici rispetto al reale bisogno. Potrà essere la sanità privata quella che attuerà di fatto il DM 77?
“Ricordiamoci per prima cosa che sempre in epoca Covid c’è stato un incremento di 17mila borse di studio – risponde Enrichens -. Anche qui però ci deve essere un diverso approccio: il mio pensiero, condiviso in realtà da molti, è che la programmazione delle specialità sanitarie dovrebbe venire dal ministero della Salute e non da quello dell’Università. Il punto è il fabbisogno, tant’è che il direttore di Agenas Mantovan ha voluto molto precocemente istituire col ministero un gruppo di lavoro sugli standard di personale formato da Agenas, ministero e regioni, che sta per portare a compimento il proprio lavoro. Dobbiamo capire cosa serve, che non significa solo lo storico: bisogna incrociare le attività, depurandole con l’appropriatezza e incrociandole con l’epidemiologia e la previsione per il futuro, sperando di azzeccarla.
Teniamo conto anche del fatto che in Italia abbiamo più personale medico che infermieristico rispetto alla media europea. Per realizzare l’intero PNRR, nel giro di cinque o sei anni abbiamo calcolato che serviranno 47.500 infermieri, oltre ai circa 30mila che andranno in pensione, quindi il fabbisogno è 70mila: è qualcosa che si può concretizzare in questo arco di tempo ed è anche possibile finanziarlo, in progressione”.
Cosa fare nel frattempo? “Se andiamo a vedere la distribuzione della continuità assistenziale nelle singole regioni, vediamo che abbiamo più di 20mila medici, di cui molti specialisti, che stanno svolgendo un lavoro un po’ anacronistico, magari prendendo appunti su un taccuino, altro che ICT. Allora, anziché pensare di chiudere queste postazioni, si potrebbe riqualificare questo personale e già lì avremmo una forza in più.
Sulla collaborazione col privato: questi tabù devono finire, purché quella col privato sia una co-progettazione e co-programmazione in una casa di vetro trasparente e non accada che, quando c’è da costruire un ospedale, uno faccia fuori i fondi di magazzino che non riesce a vendere”.
“Sarà fondamentale il parametro del fabbisogno – concorda Frittelli -. Il grande sforzo dovrà essere organizzativo. Non possiamo pensare di costruire a pezzi il DM 77 mettendolo accanto a quello che già c’è. Certo il privato fa una grande concorrenza rispetto al pubblico e per migliorare la situazione credo ci sia una grande necessità di rivedere i meccanismi di programmazione che sono stati indotti più dalle esigenze finanziarie del ministero dell’Istruzione che dalle esigenze reali del Paese, non solo per la professione medica ma anche per le professioni sanitarie in genere. Ma il problema è molto più ampio.
In primis abbiamo un’organizzazione per silos che risale come impianto al Duemila, con pochi remake: parliamo di venti anni fa, quando la situazione era tutt’altra. Inoltre abbiamo una certa difficoltà ad acquisire personale qualificato. Si va da un estremo all’altro: concorsi farraginosi e lunghi o stabilizzazioni senza la possibilità di effettuare alcun tipo di valutazione sulla qualità di chi si va a includere, che resterà nella Pubblica Amministrazione per quarant’anni. Terzo punto, una remunerazione bassa e al momento per tutti uguale, senza nessun modo per premiare chi è più inserito nel sistema e vuole fare di più. Tutto l’insieme va pertanto rivisto, a partire dalla contrattazione nazionale che nel pubblico è in notevole ritardo.
Urge trovare delle metriche per incoraggiare l’ingresso nel sistema delle professionalità
Cosa fare allora? Insieme alla definizione del fabbisogno, urge trovare delle metriche per incoraggiare l’ingresso nel sistema delle professionalità. Adesso chiunque entri nel SSN deve attendere almeno cinque anni per poter avere un incarico di livello superiore, anche se magari ha già raggiunto standard elevati. C’è da riflettere pure sulla remunerazione, che sia per i medici che per gli infermieri è più bassa rispetto ai livelli europei”.
Molte le domande da parte del pubblico sul possibile impatto del nuovo governo sulle riforme in atto: il PNRR potrebbe essere davvero ridiscusso per focalizzarsi di più sul personale? In alternativa, da dove si potrebbero reperire i fondi per il personale?
“Tutto è perfettibile – sostiene Enrichens -. Ci sono regole che andranno stabilite insieme alla Comunità europea e degli aggiustamenti saranno possibili ed erano previsti anche in corso d’opera per situazioni che potessero emergere non previste all’inizio. Tuttavia ritengo che abbiamo tante risorse disponibili e non adeguatamente utilizzate: invece di chiudere quello che riteniamo non efficientissimo, facciamo addestramento e formazione e andiamo a mettere in condizione questi medici e infermieri di ricevere un upgrade tecnologico che permetta loro di lavorare in un sistema più moderno ed efficiente”.
“Un Paese in salute è sicuramente in grado di produrre di più, quindi considero importante agganciare il finanziamento del SSN a una percentuale di Pil – conclude Frittelli -. Credo anche, come Enrichens, nella necessità di ottimizzare un sistema che nelle pieghe può trovare già oggi delle risorse”.