Senza interventi sul Codice Appalti, rischiamo il collasso dei servizi essenziali

Matteo Nevi, Direttore di Assosistema Confindustria, spiega a TrendSanità le criticità del nuovo Codice degli Appalti, l’urgenza di una revisione prezzi equa tra lavori e servizi e le conseguenze concrete per cittadini e operatori sanitari se non si interviene subito

Il conto alla rovescia è partito. Mense scolastiche, pulizie ospedaliere, sanificazione dei dispositivi medici tessili e sterilizzazione dello strumentario chirurgico, servizi di welfare e assistenza: l’infrastruttura invisibile che ogni giorno tiene in piedi scuole, ospedali, uffici pubblici e strutture sanitarie rischia di fermarsi. Il motivo? Le criticità del nuovo Codice Appalti che, nonostante le recenti correzioni, continua a penalizzare pesantemente i servizi rispetto ai lavori pubblici, soprattutto in tema di revisione prezzi.

«Il tempo è scaduto. Ora serve il coraggio politico»

È questo l’allarme lanciato alla Camera dei Deputati dalla Consulta dei Servizi, rete che riunisce 19 associazioni nazionali e migliaia di imprese che operano nel settore del facility management e dei servizi essenziali. Un settore che impiega circa un milione di lavoratrici e lavoratori e genera un valore economico di oltre 70 miliardi di euro l’anno.

Durante la conferenza stampa promossa dall’Onorevole Erica Mazzetti e sostenuta da parlamentari di diversi schieramenti è stato presentato il 20 maggio il Manifesto dei Servizi e annunciata la nascita di un intergruppo parlamentare per gli appalti pubblici nei servizi, un primo passo per colmare il divario normativo che rischia di compromettere la continuità di funzioni vitali per il Paese.

Manifesto dei servizi

Il correttivo al Codice dei contratti pubblici approvato il 23 dicembre 2024, che disciplina la revisione prezzi diversificandola tra settore dei lavori pubblici e settore dei servizi, ha abbassato la soglia per la revisione prezzi nel settore dei lavori (dal 5% al 3%, con riconoscimento del 90% dei costi eccedenti), ma ha lasciato invariate le condizioni per i servizi (5% di soglia e riconoscimento solo dell’80%). Si crea, pertanto, una disparità di trattamento che mina l’equilibrio contrattuale, soprattutto nei settori ad alta intensità di manodopera, con pesanti conseguenze occupazionali, economiche e sulla qualità dei servizi pubblici.

I servizi rappresentano il 34% della spesa in appalti pubblici e le attività del settore impiegano circa un milione di persone, in larga parte donne. Il valore economico del settore si aggira sui 70 miliardi di euro.

Richieste delle associazioni
  • Parificazione delle soglie e percentuali di revisione prezzi tra servizi e lavori pubblici (art. 60 e Allegato II.2-bis del Codice).
  • Obbligatorietà della revisione prezzi nei contratti pubblici a esecuzione continuativa o periodica, per evitare che resti facoltativa e poco applicata dalle stazioni appaltanti.
  • Costituzione di un intergruppo parlamentare trasversale per affrontare le criticità del settore servizi.
  • Inserimento delle ponderazioni degli indici settoriali, già definiti con MIT, ISTAT e operatori, ma non inclusi nel Decreto Legislativo 209/2024.
  • Creazione di un tavolo di monitoraggio presso il MIT per valutare l’impatto della revisione prezzi e verificare la validità degli indici utilizzati.
  • Istituzione di un dipartimento ministeriale dedicato alle politiche dei servizi, per riconoscerne il valore strategico.
  • Tavolo con i ministeri competenti e le associazioni per individuare misure di sostegno per le PA con minori risorse, così da garantire l’equilibrio contrattuale.

Matteo Nevi, Direttore di Assosistema Confindustria, risponde a TrendSanità per capire meglio le ragioni della mobilitazione, cosa si chieda concretamente al governo e cosa accadrebbe, concretamente, se le proposte delle imprese rimanessero inascoltate.

Negli ospedali e nelle strutture sanitarie italiane, molti servizi essenziali, dalla pulizia alla sanificazione, dalla gestione delle mense alla sterilizzazione del materiale chirurgico, sono affidati in appalto. In che modo le attuali regole del Codice Appalti stanno mettendo a rischio la continuità e la qualità di questi servizi?

Matteo Nevi

«Lo diciamo anche nel manifesto: è evidente che abbiamo l’intenzione di fare in modo che il governo e il Parlamento inizino a ragionare sulla tenuta dei contratti pubblici, legati in particolare all’ambito dei servizi. Il nuovo codice degli appalti, così com’è stato modificato dal correttivo, ma anche com’era già in origine, presenta, almeno per quanto riguarda i servizi, alcune criticità.

Una su tutte è la questione dell’equilibrio dei contratti. Non parlo subito di revisione prezzi, perché l’equilibrio contrattuale è composto da vari elementi e la revisione dei prezzi è solo uno di questi. Anche se, va detto, è sicuramente quello più importante, perché si tratta di un equilibrio economico.

Un altro aspetto è la possibilità di modificare i contratti in corso di esecuzione, che ha un impatto diretto sulla qualità dei servizi. Il punto centrale qual è? Con il correttivo al codice degli appalti si è creata una distorsione proprio sull’istituto della revisione prezzi. Sono state previste soglie molto alte per potervi accedere, come ad esempio quella del 5% inizialmente e, anche quando si supera quella soglia, il riconoscimento riguarda solo l’80% della variazione.

Senza una revisione dei prezzi e un riequilibrio dopo i nuovi contratti, i servizi sanitari offerti rischiano di essere ridotti, con ricadute negative sui cittadini

Ciò, nell’ambito dei servizi, equivale di fatto a non riconoscere la revisione prezzi. E per contratti di lunga durata, come quelli dei servizi, che spesso durano 5 o 6 anni, significa che l’operatore economico si sobbarca tutta l’inflazione del periodo contrattuale, senza avere la possibilità di rinegoziare con la pubblica amministrazione per ristabilire l’equilibrio economico. Quindi, in sostanza, non si dà modo, nei servizi, e aggiungerei anche nelle forniture, di riequilibrare i contratti».

E cosa comporta questo?

«Comporta innanzitutto un problema di sostenibilità economica del contratto stesso, ma anche un problema di governance dei servizi legati alla sanità dove la forza lavoro ha un impatto importante (parliamo di un’incidenza che può andare dal 30 al 50% sui costi totali dello svolgimento del servizio) e c’è un’implicazione significativa anche come leva sui rinnovi dei futuri contratti collettivi.

Perché se il costo del futuro contratto collettivo riesco, in qualche modo, a utilizzarlo per riequilibrare i contratti già in corso, quindi compensare l’aumento dei costi, allora diventa un elemento positivo anche per arrivare alla firma dei nuovi contratti collettivi, e quindi per adeguare i salari delle lavoratrici e dei lavoratori.

Al contrario, invece, l’impatto è negativo: se ho tanti contratti in corso e non posso rinegoziare nulla dal punto di vista economico, e nel frattempo firmo un contratto collettivo che prevede un aumento del costo del lavoro del 10%, quel costo me lo devo sobbarcare per intero. Non posso trasferirlo nella revisione economica del contratto con la pubblica amministrazione. Quindi, la revisione prezzi, così com’è oggi costruita nel Codice degli Appalti, ha anche un effetto leva negativo sul rinnovo dei contratti collettivi. È il primo aspetto critico legato al mancato riequilibrio».

Quali sono le ricadute dirette, già visibili o imminenti, per pazienti, operatori sanitari e cittadine/i, se non si interviene subito con una modifica normativa?

«La mancata revisione dei prezzi, a cui si aggiunge un mancato riequilibrio derivato dalla sottoscrizione di nuovi CCNL, dopo l’aggiudicazione dell’appalto, comporta che, dovendo mantenere lo stesso prezzo, offrirò una qualità e una quantità inferiori di servizio. E naturalmente, chi ne fa le spese sono i cittadini che usufruiscono del sistema sanitario.

Il presidente dell’ANAC lo ricorda in ogni relazione annuale: i principali finanziatori, non solo del SSN, ma anche del corretto svolgimento degli appalti, sono i cittadini. Sì, perché sono contemporaneamente i principali contribuenti e usufruiscono del servizio

Quindi, quando c’è un affidamento fatto male, un’aggiudicazione sbagliata, una costruzione errata dell’appalto e un mancato riequilibrio del contratto che poi porta inevitabilmente o alla risoluzione del contratto stesso o alla riduzione della quantità e della qualità del servizio erogato, sono proprio le persone che pagano due volte il prezzo. Perché spendono soldi pubblici per un servizio che poi ricevono in forma ridotta, sia per quantità che per qualità».

Che tipo di modifica proponete per il Codice Appalti?

«Le modifiche che chiediamo riguardano proprio il tema della revisione prezzi, uniformare le aliquote previste per il comparto dei lavori anche a quello dei servizi. Con il primo correttivo al codice appalti, il legislatore si è posto il tema della tenuta dei contratti pubblici dal lato della revisione prezzi.

Però che cosa ha fatto? È intervenuto solo nell’ambito dei lavori pubblici, riducendo la percentuale per poter far scattare la revisione prezzi, quindi passando da un 5% a un 3% e aumentando di un 10% il valore di quello che ti riconoscono nel momento in cui c’è la revisione prezzi, quindi passando da un 80 a un 90%. Quindi la percentuale del 3% fa scattare la revisione ed è riconosciuto il 90% non dell’intera variazione ma della parte superiore al 3%. Con i servizi invece ho un’aliquota al 5% e viene riconosciuto l’80% della parte eccedente e la percentuale del 5. Insomma, ho due sistemi diametralmente opposti, per questo la prima richiesta è uniformare le modalità con cui scatta la revisione prezzi, quindi passare anche noi al 3 e al 90%.

Le associazioni di settore chiedono una revisione dei prezzi e l’uniformità delle aliquote tra lavori e servizi per garantire equità e sostenibilità negli appalti

La seconda richiesta è rendere obbligatoria quella revisione prezzi ordinaria che sempre nel correttivo è stata inserita proprio per i servizi. Nel correttivo è stata inserita la possibilità di una revisione ordinaria ma facoltativa. Cioè la centrale di committenza può decidere di esercitarla o meno. La nostra proposta è rendere la revisione prezzi obbligatoria, in modo che, per i servizi, ci sia una revisione straordinaria e una revisione ordinaria».

Cosa vi aspettate concretamente dell’intergruppo parlamentare e quali priorità porterete al tavolo?

«Le aspettative sono alte, poi vedremo la realtà. Di fatto, è il primo strumento istituzionale-politico che riguarda il mondo dei servizi. Attualmente non esiste nulla, in tutto l’ambito parlamentare e legislativo, che sia stato creato specificamente per i servizi. Per questo lo abbiamo individuato come una sede stabile, istituzionale, trasparente e trasversale, quindi condivisa tra maggioranza e opposizione, e tra vari ambiti dei servizi. Da utilizzare per far convergere tutte le nostre istanze.

L’altra esigenza è che ci sia anche una risposta di tipo ministeriale, non solo parlamentare. Per questo chiediamo di istituire un dipartimento all’interno del MIT o MEF (o di un altro ministero competente) che possa occuparsi delle politiche per il settore dei servizi, sia sulla gestione della governance, sia come osservatorio. Perché nel momento in cui si utilizza la motivazione economica come ostacolo per concedere la revisione prezzi nel settore dei servizi, diventa necessario monitorare la questione della revisione prezzi nei servizi, fare simulazioni, raccogliere dati».

Può interessarti

Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute