Dovrebbe essere un sistema per monitorare l’accesso alle cure essenziali e ridurre le disuguaglianze, ma rischia di diventare uno strumento che alimenta le differenze e intacca il diritto di accesso alla salute. È il nuovo sistema di garanzia dei Lea (i livelli essenziali di assistenza): introdotto nel 2020, a distanza di due anni ha mostrato alcuni limiti.
“Ci sono alcuni punti di forza, rispetto al sistema precedente – riconosce Tonino Aceti, presidente di Salutequità –: prima di tutto, il flusso dei dati e la qualità del dato sono più robusti. Il precedente modello era costruito quasi interamente su autodichiarazioni delle Regioni, mentre il nuovo è alimentato con flussi del Ssn”.
Il secondo aspetto riguarda le modalità di calcolo: “Secondo il precedente sistema di monitoraggio Lea, se una Regione otteneva un punteggio superiore a 160 era considerata adempiente – ricorda Aceti – Tuttavia, questa cifra era la media algebrica tra assistenza ospedaliera, quella distrettuale e la prevenzione. Il nuovo sistema prevede che la Regione raggiunga la sufficienza in tutti e tre gli ambiti”.
Vantaggi non da poco, che però scontano alcuni problemi altrettanto significativi: da una parte calano gli indicatori “core”, che passano da 34 a 22. Dall’altra, per Salutequità, “gli indicatori inseriti permettono di fotografare solo parzialmente la reale dinamica che c’è tra cittadino e sistema sanitario nazionale”.
Pochi indicatori “core”
Le liste d’attesa, per esempio, hanno un solo indicatore; non viene misurato il tempo d’attesa al Pronto soccorso; non esistono indicatori per la telemedicina, né per monitorare i tempi di accesso alle innovazioni tecnologiche.
Manca un indicatore che misuri tempestività ed equità d’accesso alle innovazioni tecnologiche del SSN
“Manca un indicatore che misuri tempestività ed equità d’accesso alle innovazioni tecnologiche del Ssn, che è la grande sfida non vinta – afferma il presidente di Salutequità – Nessuno si prende la briga di monitorare in che tempi queste arrivano nelle Regioni e come funziona l’equità d’accesso. Finanziamo con un miliardo di euro all’anno i farmaci innovativi, ma poi non ci preoccupiamo di capire cosa le Regioni restituiscono ai cittadini in termini di accesso”.
Ancora: niente indicatori per le cure primarie, per l’aderenza terapeutica, per il territorio e l’Assistenza Domiciliare Integrata.
“Guardiamo la quantità delle prestazioni, ma non la qualità né il personale coinvolto nel trattamento”, osserva Aceti.
In questo quadro, il Governo ha incrementato le risorse per il Servizio sanitario nazionale portandole da oltre 114 miliardi del 2019 a circa 124 nel 2022 e 128 nel 2024. La sanità potrà inoltre contare su 18,5 miliardi aggiuntivi del Pnrr.
Serve un sistema di controllo e verifica dell’erogazione dei Lea nelle Regioni più forte e dinamico
“I maggiori finanziamenti messi sinora sul piatto potrebbero però non essere sufficienti per aumentare come servirebbe l’accesso alle cure dei cittadini, ridurre le liste di attesa, contrastare le disuguaglianze e mettere a terra le riforme, a partire da quella della nuova sanità territoriale – prosegue Aceti – Serve un sistema di controllo e verifica dell’erogazione dei Lea nelle Regioni più forte e dinamico rispetto a quello attuale, in grado di cogliere molto meglio le reali difficoltà che ogni giorno incontrano i cittadini in tutti gli ambiti dell’assistenza, poter intervenire con misure più mirate di potenziamento, spingere in tutte le Regioni l’attuazione concreta della programmazione nazionale e delle riforme, così da utilizzare al meglio tutte le risorse stanziate”.
Problemi di aggiornamento
A questo si aggiunge il fatto che manca un sistema di aggiornamento agile, flessibile e dinamico degli indicatori di monitoraggio. Il Nuovo sistema, entrato in vigore il 1° gennaio 2020, è ormai vecchio: “Continuiamo a basarci su indicatori pre-pandemia, ma nel frattempo il mondo – e non solo quello sanitario – è cambiato”, osserva Aceti.
Un rafforzamento del monitoraggio, poi, darebbe al Ministero della Salute anche la possibilità di esercitare in modo più incisivo le sue competenze a garanzia dell’unitarietà del Ssn e dell’esigibilità dei Lea in tutte le Regioni.
“In sanità abbiamo bisogno di un sistema di controllo forte dello Stato”
“In assenza di un tavolo di confronto serio, il sistema rischia di diventare uno strumento che, nella sua architettura e composizione, è un compromesso politico al ribasso tra Stato e Regioni. In sanità abbiamo bisogno di un sistema di controllo forte dello Stato. Questo è completamente inadeguato per quanto riguarda gli indicatori, sul sistema di revisione, che attualmente è un sistema pesante, che necessita di decreti, intese, pareri, che in modo dinamico, periodico e tempestivo aggiorni i suoi indicatori perché deve adeguarsi alla realtà che cambia”.
Il presidente di Salutequità nota poi come oggi il Comitato Lea sia paritetico tra Ministero, Agenas e Regioni, senza la presenza di alcun soggetto esterno.
“Oggi abbiamo bisogno di un sistema sfidante che tenga alta la tensione nelle Regioni in un’ottica di miglioramento delle prestazioni. In questo momento, invece, abbiamo le Regioni che si concentrano su questi pochi indicatori, spesso a discapito di tutto il resto. Quando l’allora ministro Roberto Speranza stanziò un miliardo di euro per recuperare le cure mancate, avremmo dovuto inserire un indicatore ad hoc per misurare capacità di recupero da parte delle Regioni. Questo significa avere un sistema dinamico”.
Accanto a tutto questo, c’è poi un problema di trasparenza: sono da poco stati pubblicati i dati aggiornati al 2020. “È contrario alla norma, oltre che inaccettabile: il decreto ministeriale del 2019 dice che i dati devono essere pubblicati entro la fine dell’anno successivo a quello di riferimento”.
I risultati non sono confortanti e mostrano grandi disuguaglianze tra Nord e Sud. Solo 11 Regioni sono state promosse in tutte e tre le aree: Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Provincia Autonoma di Trento, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto. Le altre 10 sono inadempienti: Abruzzo, Liguria, Molise e Sicilia con un punteggio insufficiente in una sola area; Basilicata, Campania, Provincia Autonoma di Bolzano, Sardegna, Valle D’Aosta con un punteggio insufficiente in due aree; la Calabria insufficiente in tutte le tre aree.
Le sfide aperte
Che cosa fare dunque? “Una delle nostre richieste è avere una pubblicazione non annuale, ma dinamica, nel corso dell’anno. Quando si individua criticità su un indicatore Lea, lo Stato dovrebbe subito intervenire con la Regione per migliorarlo”.
In questo momento, anche a regime, il dato arriva a fine anno: “Dobbiamo essere in grado di prevenire e anticipare i problemi: ora abbiamo un sistema che produce effetti di valutazione a valle. Noi lo dovremmo farlo a monte, per evitare l’errore”.
Una volta misurato, poi, serve l’intervento del Ministero: “Nel Patto per la Salute 2021 questo impegno era stato messo nero su bianco, proprio per riequilibrare il potere Stato-Regioni. Questa cosa è rimasta in sospeso, non si è fatta e oggi abbiamo un sistema che è assolutamente inadeguato”.
Un buon sistema di monitoraggio dovrebbe spingere le Regioni a fare sempre meglio e, nel caso di risultati positivi, ricevere risorse importanti
Essere adempiente dà la possibilità di accedere ad alcuni fondi del finanziamento: “Tuttavia, si sta andando sempre di più verso una riduzione dei fondi legati alle performance a vantaggio del finanziamento indistinto. Un buon sistema di monitoraggio dovrebbe spingere le Regioni a fare sempre meglio e, nel caso di risultati positivi, ricevere risorse importanti”.
“Abbiamo solo due strumenti, a livello centrale: il finanziamento del Ssn in base a criteri di reparto rinnovati, dove l’innovazione pesa comunque pochissimo, ma è un primo passo, e il controllo e il monitoraggio. Ancorare la distribuzione delle risorse ai risultati ottenuti è l’unica leva sulla quale lo Stato può fare perno”, conclude Aceti.