La storia recente della Digital Health in Italia racconta di un’evidente accelerazione, sostenuta da una sempre maggiore attenzione del mondo sanitario e da azioni fattive per la realizzazione di un ecosistema digitale nazionale in Sanità. L’obiettivo è quello di riorganizzare i processi di assistenza e di erogazione dei servizi, allineandoli ai principi di equità e universalità e fornendo una informazione più dettagliata sullo stato di salute dei territori e dei cittadini che vi abitano.
Gli atti normativi che si sono succeduti senza soluzione di continuità sul Fascicolo Sanitario Elettronico, sulle nuove Linee guida sulla Telemedicina, sull’abilitazione delle piattaforme digitali per la televisita e il teleconsulto, sulle puntuali indicazioni di utilizzo della Telemedicina nei DM 71 poi 77 e sugli standard per l’assistenza domiciliare, indicano una decisa volontà di coordinamento e di indirizzo nazionale, che deve tuttavia mediare con le scelte compiute negli anni dai 21 Servizi Sanitari Regionali, assai eterogenee nell’organizzazione e nella qualità dei sistemi.
I cospicui fondi di investimento PNRR della Missione 6 Salute, che prevede un finanziamento di 19,7 miliardi e che si articola nelle componenti: Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e innovazione, ricerca e digitalizzazione del SSN, cui si aggiunge un riverbero finanziario di una parte rilevante della Componente 1 della Missione 1 Digitalizzazione e Innovazione, hanno generato un diffuso entusiasmo, unito a un brillante fermento progettuale.
Inutile dire che questo fermento è stato bruscamente rallentato dalle condizioni stesse della Pubblica Amministrazione sanitaria, trovatasi impreparata per i numerosi legacci burocratici a rispondere con dinamismo alla domanda e a seguire e rispettare la stringente calendarizzazione degli interventi previsti dalla programmazione PNRR per velocizzare il processo di acquisto.
Ma, soprattutto, è venuto meno il coinvolgimento, organizzato, profondo, degli attori che lavorano in Sanità, dei medici in particolare e delle Società medico-scientifiche di riferimento, per avviare un processo condiviso di transizione digitale del SSN più appropriato e “sentito”, perché possa essere di natura strutturale e non episodica o sperimentale, come avvenuto nel decennio scorso.
Lo sforzo comune di avviare processi organizzativi e di lavoro integrati, capaci di superare l’organizzazione a silos, tali da promuovere pertinenti stili cognitivi di natura interdisciplinare, per non dimenticare la necessaria acquisizione di nuove conoscenze e di competenze indirizzate a migliorare la capacità di governo dei processi di cura e assistenziali in ambiente digitale, sono la sostanza stessa del cambiamento. Non intervenire organicamente su questo aspetto, che non è solo il tema nudo e crudo delle competenze, ha generato un vulnus che rischia di far partorire alla montagna il topolino di turno, senza riuscire a mettere a sistema l’innovazione e la modernizzazione del SSN.
Le Società medico-scientifiche rappresentano una risorsa importante e di valore per sostenere, affiancandosi, il processo di transizione digitale
Le Società medico-scientifiche rappresentano, in questo contesto, decisamente, una risorsa importante e di valore per sostenere, affiancandosi, il processo di transizione digitale, anche perché in possesso di expertise maturata negli anni sulla base di attività sperimentali e di progetto di piattaforme, ad esempio di Telemedicina, avviate nelle diverse regioni con successo, ma che non sono state messe a sistema e sono rimaste confinate nell’ambito sperimentale, con innegabile spreco economico, di conoscenze e di competenze acquisite.
Un patrimonio, dunque, considerevole, fatto di studi, ricerche e pubblicazioni di valore, che rappresenta, oggi, un serbatoio di riferimento analitico e critico per orientare al meglio il disegno di innovazione digitale, ma che è stato considerato, solo parzialmente e in maniera insufficiente per sostanziare le azioni e i programmi di intervento e di riorganizzazione del modello di salute avviati in ambito ministeriale e regionale, e che rappresentano il punto di vista della cura e dell’assistenza, cui devono essere plasticamente e logicamente adattate le piattaforme digitali.
Valorizzare e verificare le esperienze acquisite, i risultati e le centinaia di progettazioni fatte sul campo, da un mondo plurimo e plurale di attori sanitari, potrebbe essere una scelta strategica per evitare sovrapposizioni, duplicazioni e inappropriatezze nell’implementazione della Digital Health e per creare le condizioni anche di una maggiore sostenibilità sia in termini organizzativi che economici.
È importante, da parte delle istituzioni nazionali e regionali e delle stesse Aziende Sanitarie, avviare azioni di maggiore coinvolgimento delle Società medico-scientifiche nei processi di innovazione, anche attraverso la creazione di gruppi di lavoro fondati sullo stile collaborativo e co-progettuale
È importante, se non necessario, da parte delle istituzioni nazionali e regionali e delle stesse Aziende Sanitarie, avviare azioni di maggiore coinvolgimento delle Società medico-scientifiche e dei medici più in generale nei processi di innovazione, anche attraverso la creazione di gruppi di lavoro fondati sullo stile collaborativo e co-progettuale, aperti a tutte le società scientifiche.
L’innovazione calata dall’alto, condivisa tra e da pochi, figlia di una logica top down e di asset di natura essenzialmente e sostanzialmente tecnologica, non ha grandi probabilità di successo, non iscrivendosi in una logica di senso rispetto a quelli che sono gli obiettivi e le necessità di breve, ma anche di medio e lungo periodo, del mondo sanitario e dei suoi professionisti nel perseguire percorsi di cura e di assistenza pertinenti e appropriati.
L’introduzione di sistemi che possono essere sentiti come “alieni”, che hanno un evidente impatto organizzativo e “informativo”, che chiede maggiore flessibilità e azioni, spesso vissute come un maggiore carico di lavoro, rischia di vanificare le opportunità offerte dall’innovazione digitale e di raccogliere risultati modesti, senza ridurre il gap tra le regioni nel rispetto degli standard LEA.
Oltre alla necessità, di cui sopra, di avviare stili di natura collaborativa e co-progettuale nel grande come nel piccolo, ma soprattutto in quest’ultimo ambito – in cui si richiede un riposizionamento delle aziende sanitarie territoriali –, non si può innovare, poi, senza reingegnerizzare i processi di assistenza, rileggendo il ruolo delle aziende sanitarie rispetto al contesto di appartenenza, progettando i processi sulla base dei bisogni espressi dal territorio di riferimento, riformando la logica di finanziamento dei DRG e adeguando ai bisogni dei cittadini viciniori qualità di servizi, di informazione e di presa in carico.
Visione che dovrebbe guidare i processi di servizio delle aziende sanitarie e gli interventi di modernizzazione, in cui la Telemedicina è uno strumento fondamentale per sostenere il generale disegno assistenziale impegnato a riprogettare in maniera integrata gli aspetti organizzativi, tecnologici e di impatto per l’ecosistema delle cure.
Per l’aspetto organizzativo è di assoluta importanza valutare l’impatto, nella routine di gestione di una U.O. e della sua rete di riferimento assistenziale, dell’adozione di soluzioni di Telemedicina, dei nuovi carichi di lavoro richiesti, della logica di erogazione, del protocollo di gestione e di rischio, ad esempio nella televisita, e questo per gli aspetti legati alla qualità di erogazione del servizio, alla tariffazione e agli aspetti legali e di tutela.
Per l’aspetto tecnologico, fatte salve le indicazioni normative, bisogna rispettare i requisiti di qualità e di performance richiesti e garantire gli aspetti di integrazione e di interoperabilità nella logica dell’ecosistema digitale e insieme della circolarità delle informazioni e del loro rapido accesso e questo per la trasparenza, per l’unitarietà dell’assistenza, per la sostenibilità, per una coerenza logica e strutturale delle informazioni, su cui fondare attività di gestione e governo dei processi di cura e di assistenza.
Per quanto concerne la sostenibilità dell’innovazione digitale, si pone come strategica la possibilità di redigere processi di acquisto che, partendo da una stringente analisi dei bisogni, raccolga le indicazioni di contesto per adottare forme innovative di procurement VBP in PPP e PPI, per evitare standardizzazioni non appropriate ai contesti, per garantire la sostenibilità di medio-lungo periodo, per migliorare la domanda e la relativa offerta e più in generale per sostenere le logiche di gestione e di governo dei processi da parte delle aziende sanitarie.
Da queste riflessioni è nata l’idea di riunire la Società medico-scientifiche italiane, organizzando gli “Stati generali della Telemedicina” con l’intenzione di avviare un processo di lavoro che affronti i temi della digitalizzazione in Sanità comuni a tutti gli specialisti
È da queste riflessioni che è nata l’idea di riunire le Società medico-scientifiche italiane, organizzando gli “Stati generali della Telemedicina”, che si terranno a Bari il prossimo 15 e 16 settembre (programma su www.aisdet.it) con l’intenzione di avviare un processo di lavoro e di confronto che affronti i temi della digitalizzazione in Sanità comuni a tutti gli specialisti sanitari.
Partendo da una ricognizione di quanto fatto dalle singole società scientifiche e dai documenti già prodotti si vuole giungere a redigere, come primo momento, un paper condiviso, in cui indicare modelli e processi, che diventino punto di riferimento per le scelte istituzionali e delle singole aziende sanitarie nel rispetto dell’equità e dell’universalità di accesso alle cure e dell’offerta del SSN, che si innestino coerentemente nei processi e negli interventi istituzionali in atto, e che valorizzino la specificità delle singole specializzazioni sanitarie.