Malattie rare della retina, malattie neuromuscolari, immunodeficienze, malattie genetiche che intaccano i tessuti, tumori del sangue: fino a non molti anni fa per molte di queste patologie non c’era alcuna possibilità di cura e la diagnosi non poteva che avere un esito infausto. Oggi, invece, grazie alle terapie avanzate esistono concrete opportunità di guarigione per molte di queste patologie.
Si tratta di terapie innovative, basate su terapia genica, terapia cellulare e ingegneria tissutale che stanno rivoluzionando la medicina e offrendo nuove possibilità di cura e un miglioramento della qualità della vita a persone gravemente malate.
Per alcune di queste malattie le terapie sono già consolidate e offrono una concreta opzione terapeutica. Si guarda quindi alle sfide future, ad ampliare il bacino delle malattie curabili e a rendere queste terapie accessibili a sempre più pazienti e sempre più sostenibili per aziende e sistemi sanitari. Ne abbiamo parlato con alcuni esperti, per indagare le prospettive future di questo settore innovativo e la sfida aperta sulla loro sostenibilità.
Terapie avanzate: dal presente al futuro
I farmaci per le terapie avanzate, solitamente abbreviati ATMP, dall’inglese Advanced Therapy Medicinal Products, sono medicinali anche detti “biologici” perché non si basano su sintesi chimica ma sull’utilizzo di acidi nucleici come DNA o RNA (terapia genica), cellule (terapia cellulare) e tessuti (ingegneria tissutale). Le terapie avanzate sono un settore emergente, che sfrutta la biomedicina e le biotecnologie per offrire nuove opportunità di trattamento per gravi patologie, spesso rare, per le quali le opzioni terapeutiche sono limitate o addirittura assenti.
“Si tratta di tecnologie impensabili fino a poco tempo fa ma che offrono ancora di più la possibilità di correggere difetti genetici o di curare malattie gravi come il cancro”, spiega il professor Alessandro Aiuti, vice direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) e primario di Immunoematologia Pediatrica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.
In generale, i risultati clinici dimostrano che queste tecnologie sono valide e consentono trattamenti efficaci e con un profilo rischio favorevole, per malattie genetiche del sistema immunitario, malattie genetiche del sangue come la beta talassemia o l’anemia falciforme, malattie neurodegenerative e metaboliche, malattie a carico dell’occhio e tumori. “I risultati su queste patologie sono ormai consolidati e quello che ci si aspetta è che possano essere diffusi anche ad altre malattie”, aggiunge il professor Aiuti.
La sfida in termini di terapie avanzate, secondo Alessandro Aiuti, vice direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), sono al momento le tecnologie basate sull’editing genomico
La sfida in termini di terapie avanzate, secondo il professor Aiuti, sono al momento le tecnologie basate sull’editing genomico. Si tratta di un processo innovativo che interviene in maniera mirata per correggere difetti genetici all’interno del genoma, responsabili di diverse malattie. “La nuova frontiera basata sull’editing genomico o sulla tecnologia dell’mRNA (quella usata, ad esempio, nei vaccini anti-COVID), offre prospettive interessanti e apre al trattamento con terapie geniche per patologie fino a oggi considerate impossibili da trattare. Gli studi sono al momento concentrati a livello preclinico e, per questo motivo, la strada è ancora lunga. Bisognerà dimostrarne l’efficacia e la sicurezza a lungo termine”, precisa a tal proposito Aiuti.
Lo stato dell’arte e la sfida della sostenibilità
Sono 15 i farmaci per le terapie avanzate al momento approvati in Europa e 8 di questi sono presenti anche in Italia. Solo nel 2022 è attesa l’approvazione dell’EMA per altre 7 terapie avanzate. La maggior parte di queste ha come bersaglio alcuni tipi specifici di tumore, a testimonianza del fatto che le terapie avanzate, sviluppate inizialmente per curare malattie rare, stanno allargando i loro orizzonti di applicazione. Si stima che nel prossimo decennio, a livello mondiale, potrebbero arrivare fino a 50 nuovi farmaci innovativi basati su queste tecnologie.
“Le sfide legate alla terapia genica, ad esempio, non sono più tanto scientifiche o tecnologiche. L’ostacolo principale è riuscire ad applicarle su scala più ampia e quindi portare queste tecnologie al paziente e trovare le risorse economiche, e le strutture per poter ampliare il numero di malattie per cui le terapie avanzate possono essere utilizzate”, spiega il professor Aiuti. Una volta completato il loro sviluppo, è necessario poi che queste siano anche accessibili al paziente.
Queste terapie innovative richiedono investimenti importanti in tutte le fasi di sviluppo, dalla sperimentazione preclinica e clinica, alla produzione e commercializzazione
Queste terapie innovative richiedono infatti investimenti importanti in tutte le fasi di sviluppo, dalla sperimentazione preclinica e clinica, alla produzione e commercializzazione. Perché le terapie siano veramente accessibili al paziente questo percorso deve essere reso il più sostenibile possibile, soprattutto dal punto di vista economico. Può infatti succedere che dopo anni di ricerca e studio, e dopo l’ottenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio dagli enti regolatori, il sistema non supporti economicamente le nuove terapie avanzate. Il problema è infatti duplice: da un lato ci sono le aziende produttrici, per le quali alcune terapie non sono attrattive dal punto di vista commerciale a fronte di un alto costo di produzione e una bassa richiesta. Ricordiamo infatti che, soprattutto le terapie geniche, sono spesso risolutive e si basano su un’unica somministrazione nella vita per ottenere l’effetto terapeutico. Dall’altro lato ci sono i sistemi sanitari nazionali, su cui grava il rimborso di queste terapie.
La sfida più grande per le terapie avanzate è creare un equo bilancio tra l’esigenza di ridurre il carico sui sistemi sanitari e quella delle aziende farmaceutiche di sviluppare terapie che abbiano un interesse commerciale
“La sfida più grande riguardo le terapie avanzate è creare un equo bilancio tra l’esigenza di ridurre il carico sui sistemi sanitari e quella delle aziende farmaceutiche di sviluppare terapie che abbiano un interesse commerciale”, sottolinea Aiuti. La strategia adottata fino ad oggi per le terapie avanzate è la stessa che viene applicata ai farmaci tradizionali usati per le malattie croniche. Ci sono, però, sostanziali differenze e, per questo, non possono essere trattate allo stesso modo. Come abbiamo già sottolineato, la terapia avanzata è spesso risolutiva, ma l’iter di progettazione e commercializzazione del farmaco necessita di risorse importanti, maggiori di quelle richieste solitamente per un farmaco tradizionale. Serve quindi un cambio di paradigma, che tenga conto del fattore sostenibilità già nelle fasi iniziali di progettazione della terapia.
Parole chiave: programmazione e dialogo tra stakeholder
Anche secondo Barbara Polistena, direttore generale e direttore scientifico del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (CREA Sanità), non esiste ancora una soluzione definitiva al problema della sostenibilità economica delle terapie avanzate, ma si possono tentare alcuni approcci che vadano in quella direzione. “Fino ad oggi ci si è concentrati sui problemi contingenti, senza una vera programmazione riguardo al futuro delle terapie avanzate per quel che riguarda la sostenibilità. Questo soprattutto perché le terapie avanzate approvate e commercializzate fino ad oggi sono poche e sono per lo più per malattie rare. Sono in studio al momento, invece, terapie che hanno come target un numero maggiore di pazienti. Questo ci mette di fronte alla necessità di elaborare una strategia diversa rispetto a quella applicata fino ad ora in termini di rimborsabilità e costo per le aziende”, spiega Polistena.
L’eterogeneità dei meccanismi di azione di queste terapie, delle tempistiche di efficacia, delle malattie target e dell’incertezza legata al loro utilizzo fa sì che la valutazione del valore di questi farmaci sia molto complessa e non risolvibile con i modelli applicati in precedenza
L’eterogeneità dei meccanismi di azione di queste terapie, delle tempistiche di efficacia, delle malattie target e dell’incertezza legata al loro utilizzo fa sì che la valutazione del valore di questi farmaci sia molto complessa e non risolvibile con i modelli applicati in precedenza.
La prima misura che entrambi gli esperti auspicano per superare questa complessità è un dialogo continuo e precoce tra tutti gli stakeholder coinvolti, pubblici e privati, per instaurare un rapporto costruttivo basato sulle reciproche esigenze.
“Sicuramente quello che deve essere cambiato è il paradigma con cui ci si approccia a queste terapie. Costruire, ad esempio, un tavolo permanente tra le agenzie regolatorie e le aziende potrebbe aiutare a trovare degli elementi per sviluppare una metodologia valutativa condivisa, una negoziazione, per arrivare a una mediazione sul costo della terapia in maniera più efficace e semplice”, suggerisce la dottoressa Polistena.
Anche il professor Aiuti è dello stesso avviso: “Se si instaura precocemente un dialogo e una cooperazione tra, ad esempio, gli enti che valutano la validità della terapia e i rapporti costo-beneficio, quelli che si occupano di efficacia e sicurezza, le associazioni di pazienti e l’accademia, si potrebbe instaurare un percorso virtuoso. Da una parte chi sviluppa il farmaco ha in mente fin da subito che questo non deve essere solo sicuro ed efficace ma anche sostenibile. In questo modo sin dagli albori della terapia gli sforzi saranno fatti in direzione della sostenibilità. Dall’altra, chi andrà a rimborsare le terapie si renderà conto di quanto il percorso è complesso e di quanto si tratti di terapie personalizzate”.
La preoccupazione è che per malattie ultra-rare l’interesse da parte delle aziende a produrre una terapia possa non realizzarsi mai. Quando si parla di pochissimi pazienti l’unica soluzione è un sostegno esterno per garantire che non solo si investa in ricerca ma che il paziente abbia anche una possibilità di accesso alla cura
“Un’altra strategia può essere quella di sviluppare modelli che si basino su un coinvolgimento maggiore del mondo accademico in tutte le fasi di sviluppo delle terapie avanzate, sostenuto da enti no profit, fondi statali ed europei. La preoccupazione è, infatti, che per malattie ultra-rare l’interesse da parte delle aziende a produrre una terapia possa non realizzarsi mai”, continua Aiuti. “Quando si parla di pochissimi pazienti l’unica soluzione è un sostegno esterno per garantire che non solo si investa in ricerca ma che il paziente abbia anche una possibilità di accesso alla cura. È inutile e frustrante, infatti, sviluppare terapie che funzionano e vederle ritirate dal mercato o non arrivarvi”.
È chiaro quindi come, a livello italiano, la sfida sia andare oltre la ricerca scientifica sulle terapie avanzate, che nel nostro Paese rappresenta già un’eccellenza, e renderle effettivamente fruibili ai pazienti. È necessaria una svolta dal punto di vista organizzativo, che abbandoni i vecchi paradigmi, individuando nuovi fondi per coprire i costi di queste terapie e nuovi modelli di pagamento che possano renderle sostenibili nel tempo. Questo soprattutto in vista di un auspicabile aumento nel tempo della disponibilità di questi nuovi trattamenti innovativi.