Il TAR del Lazio ha annullato i risultati dell’ultimo test di Medicina, mantenendo però la graduatoria. Gli oltre 3.000 ricorsi pervenuti riguardavano l’equalizzazione che, per un bizzarro gioco di parole, non è stata ritenuta equa.
Si tratta di un meccanismo che, nelle intenzioni dei suoi ideatori, avrebbe dovuto permettere di confrontare i diversi punteggi tenendo conto della facilità o difficoltà dei quiz che contenevano domande diverse.
La prima conseguenza dell’annullamento è che le prove per il prossimo anno accademico andranno realizzate in modo diverso. Per farlo serve tempo: le due sessioni si terranno tra aprile e luglio.
La ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, ha poi dichiarato di voler attuare una riforma che si ispiri al modello francese e che prevede un primo semestre senza sbarramento che porti al superamento di una serie di esami caratterizzanti e solo dopo a un test nazionale.
Intanto, le proposte di legge per la riforma del concorso di ammissione al Corso di laurea in Medicina e Chirurgia attualmente in discussione sono due: il Ddl 915, a firma della senatrice Carmela Bucalo (FdI), che propone appunto lo spostamento del test di ammissione alla fine di un primo semestre a cui tutti gli studenti accedono iscrivendosi liberamente, e il Ddl 942, presentato dal senatore Roberto Marti (Lega), che propone la completa abolizione del numero chiuso
Il calcolo del fabbisogno
Il 2024 sarà un anno cuscinetto prima dell’ingresso vero e proprio della riforma, prevista per il 2025. Dalle dichiarazioni di Bernini le principali novità sembrano essere una banca dati pubblica da cui saranno pescate le domande per il quiz, che durerà 100 minuti e prevederà 60 domande pescate da un database pubblico di 4.000 quesiti appunto.
L’idea per il futuro si ispira invece al modello francese: si parla di un sistema di sbarramento che arrivi dopo un semestre e che preveda il superamento di una serie di esami caratterizzanti e, solo dopo, di un test nazionale.
«Credo che un meccanismo di selezione sia qualcosa di imprescindibile – commenta a TrendSanità Michele Nicoletti, presidente di FederSpecializzandi -. Invece di numero chiuso sarebbe però più corretto parlare di numero programmato: il Ministero dovrebbe bandire un certo numero di posti in funzione alle previsioni della sanità per i prossimi anni».
Il calcolo del fabbisogno è complesso: recentemente Agenas ha iniziato una sperimentazione con il Ministero dell’Economia e quello della Salute per stabilire quanti medici e infermieri servono in ogni ospedale grazie all’intelligenza artificiale.
In realtà l’Enpam, la cassa previdenziale dei medici, da alcuni decenni aveva stimato la “gobba pensionistica” che stiamo vivendo in questo periodo: l’uscita di un numero significativo di medici dal mondo del lavoro per il raggiungimento dell’età pensionabile.
Proprio a causa di una cattiva programmazione, oggi il comparto dei medici (ma soprattutto quello degli infermieri) è in sofferenza: sebbene il rapporto tra dottori e numero di abitanti sia più elevato rispetto alla media europea, è la distribuzione tra le singole specialità a essere problematica. Negli anni sono aumentati i posti sia a Medicina sia nelle diverse specialità: per il 2023-24 sono stati messi a disposizione 19.944 posti, il 30% in più rispetto all’anno precedente.
«Oggi spetta alle Regioni stabilire il fabbisogno di personale all’interno delle proprie strutture sanitarie – ricorda Nicoletti – Tuttavia, non tutte sono in grado di svolgere analisi puntuali sugli obiettivi da raggiungere e sulle a disposizione».
Impoverire l’insegnamento
Anche la proposta di unire gli studenti di facoltà diverse all’interno di un unico percorso iniziale lascia tiepidi gli specializzandi: «Creare anche solo un semestre in condivisione con biotecnologi, biologi, scienziati motori e altre professioni di laurea secondo me significa impoverire gli insegnamenti rispetto a quei connotati specifici della medicina», rileva Nicoletti.
Prendiamo per esempio l’anatomia: «È evidente che lo scienziato motorio sarà interessato all’anatomia dell’apparato locomotore, il biotecnologo avrà un interesse all’anatomia molto limitato, un medico non può non conoscerla. Non posso pensare di avere un insegnamento di anatomia condiviso e generalizzato. Benché gli argomenti siano gli stessi, devono essere studiati con delle attitudini particolari, in base allo specifico corso di laurea. In questo senso condividere il percorso significa impoverire il percorso formativo».
Invece di una banca dati pubblica, servirebbe una bibliografia o sitografia di riferimento per prepararsi ai quesiti
Il problema degli spazi, per il presidente di FederSpecializzandi non sarebbe un tema dirimente: «Già oggi la stragrande maggioranza di chi non passa il test di Medicina si iscrive a facoltà affini per poi ritentare negli anni successivi. Con una buona organizzazione questa difficoltà sarebbe superabile».
Rispetto all’attuale sistema, Nicoletti implementerebbe piuttosto una bibliografia o una sitografia di riferimento, «in modo tale che ciascuno possa prepararsi nel modo che ritiene più opportuno. Creare una banca dati non mi sembra molto efficace perché rischia di stereotipare le conoscenze e di spingere i candidati ad imparare a memoria le domande».
Coazione a ripetere
«È interessante notare come i test di selezione ci siano ovunque, dalle aziende private ai concorsi pubblici, ma i quiz per l’accesso a Medicina sono da sempre i più contestati». Carlo Tabacchi è docente di logica e da oltre 25 anni si occupa della formazione dei ragazzi che desiderano accedere ad alcune facoltà universitarie (tra cui Medicina) e di chi si sta preparando per un concorso pubblico o per una selezione aziendale. È inoltre autore dei quesiti di ragionamento logico a risposta multipla inseriti all’interno dei quiz e si occupa di orientamento.
Tabacchi ricorda come alcune proposte siano cicliche: «Era il 2014, eravamo alla vigilia delle elezioni europee e l’allora ministro dell’Istruzione Stefania Giannini aveva proposto di abolire il test d’ingresso a Medicina a favore di un primo anno accessibile a tutti, sul modello francese», ricorda a TrendSanità.
Durante la legislatura precedente, in Commissione Istruzione si è discusso per cinque anni di una riforma di questo tipo, arrivando alla conclusione che sarebbe difficilmente attuabile.
Da qui la decisione, l’anno scorso, di sperimentare i Tolc-Med introdotti nel 2022 dall’allora ministra dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa. Quelli con il sistema dell’equalizzazione che è stato contestato.
«Secondo me, il test a crocette rimane la prova più democratica per selezionare un gruppo di persone – afferma Tabacchi – I candidati sono messi di fronte alle stesse domande, ci sono le stesse alternative per tutti e dunque le medesime difficoltà. Può essere criticabile la struttura della prova, a volte i tipi di domande che vengono scelte però, soprattutto su grandi numeri, rimane il sistema più equo, più economico e più veloce per effettuare una selezione».
Quando si scende nella pratica, però, la complessità aumenta: è meglio fare una sola prova per tutti, con gli stessi quesiti, oppure dare una seconda opportunità a chi – per i motivi più disparati – non ha potuto essere presente alla prima?
«L’idea della prova one shot può essere snervante – ammette Tabacchi – Un buon compromesso potrebbe essere proporre 2-3 sessioni diverse, a distanza di alcuni mesi. Per ciascuna si potrebbe mettere a bando un certo numero di posti. È più complicato da gestire e non è privo di punti deboli, ma potrebbe funzionare».
Quali difficoltà e quesiti
Un sistema che propone più di una sessione però si trova di fronte al padre di tutti i problemi: come fare in modo che la difficoltà sia la stessa? «Nei concorsi pubblici lo si fa ex ante: chi prepara le prove fa in modo che il livello sia lo stesso. Purtroppo è un lavoro che, a prescindere dal livello di esperienza di chi confeziona i quesiti, è sempre soggetto statisticamente a un minimo di errore. E purtroppo un errore anche minimo in una graduatoria con decine di migliaia di persone significa avanzare o arretrare di diverse posizioni».
Invece di domande specifiche, sarebbe meglio testare la capacità di ragionamento dei candidati e la loro resistenza allo stress
È difficile pensare a un sistema che azzeri la possibilità di ricorso che si annida dietro la possibilità di errore. Sulla bontà delle domande, invece, Tabacchi è risoluto: «È vero, alcuni anni sono usciti quesiti di cultura generale bizzarri. Tuttavia, va detto che sbagliare quelli non avrebbe spostato di molto il punteggio della prova. Anche sui quesiti tecnici, ci dobbiamo chiedere se un ragazzo che sta accedendo a Medicina debba dimostrare di conoscere la biologia, materia che gli verrà spiegata. Forse sarebbe più utile testare la sua capacità di ragionare velocemente, quella di mantenere alta l’attenzione, di reggere lo stress, di muoversi bene all’interno di un problema».