Nel mese di ottobre è partita la campagna vaccinale contro l’influenza nella maggioranza delle Regioni italiane. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2023-2025 indicano nel 95% il tasso di copertura ottimale per quanto riguarda gli over 65 e i soggetti a rischio, mentre l’obiettivo minimo è fissato al 75%.
In Italia tuttavia non raggiungiamo il 60%. Il picco è stato toccato nella stagione 2020-2021, quando siamo arrivati al 65,3%. Durante la pandemia infatti, molte persone hanno scelto di proteggersi anche dall’influenza. Con la fine dell’emergenza pandemica, la copertura vaccinale è poi scesa nel biennio successivo: 58,1% nel 2021-22 e 56,7% nella scorsa stagione 2022-23.
“L’influenza è una malattia grave, tutt’altro che banale – afferma Roberta Siliquini, presidente della Siti, la Società italiana d’Igiene, Medicina preventiva e Sanità pubblica – Ricordo che la severità di una malattia dipende sempre da chi colpisce ed è per questo che la vaccinazione è raccomandata alle persone anziane e a quelle fragili”. L’influenza può infatti aggravare condizioni preesistenti come malattie cardiorespiratorie, diabete, nefropatie.
L’esitazione vaccinale
Ogni anno in Europa muoiono tra le 15.000 e le 70.000 persone per cause associate all’influenza. Il 90% di questi ha più di 65 anni. In Italia i morti riconducibili all’influenza sono oltre 9.000 all’anno.
Eppure, nonostante questi numeri, l’esitazione vaccinale resta molto diffusa. “I motivi sono molteplici, ma volendo citare i tre principali direi una scarsissima campagna di comunicazione sia a livello nazionale che locale, l’organizzazione carente da parte delle Regioni, che fa sì che spesso i cittadini stessi non sappiano come e dove richiedere il vaccino antinfluenzale, e una certa stanchezza vaccinale accumulata in seguito allo stress pandemico”, prosegue Siliquini.
Michele Conversano, presidente dell’Alleanza per l’Invecchiamento Attivo Happy Ageing, scende più nel dettaglio: “Abbiamo sbagliato la comunicazione: durante la pandemia abbiamo pensato che il vaccino contro il Covid bloccasse anche l’infezione, poi abbiamo capito che ci copriva dalle complicanze della malattia e dai decessi. Una situazione simile è accaduta con l’antinfluenzale: la vaccinazione non annulla i sintomi, ma evita la sovrapposizione con altre malattie come ictus, infarto, broncopatie cronico ostruttive, tutte patologie che aumentano dopo il periodo influenzale”.
Bisogna quindi rinforzare la comunicazione per favorire la comprensione dei benefici reali della vaccinazione che, spesso, non sono percepiti. La persona vaccinata che presenta sintomi influenzali potrà quindi realizzare che la vaccinazione ha evitato complicanze più gravi o un accesso in pronto soccorso. Questo è il paradosso della prevenzione: quando funziona, non si vede.
Coperture vaccinali e riduzione della mortalità
Di recente è stato pubblicato uno studio italiano che misura l’impatto della vaccinazione antinfluenzale in termini di mortalità correlata all’influenza negli over 65. Si tratta di un dato particolarmente importante per i policy maker chiamati a effettuare valutazioni sull’efficacia delle politiche di sanità pubblica.
“Il nostro lavoro ha dimostrato che a fronte di un aumento dell’1% della copertura vaccinale si ha una riduzione dello 0,6% delle morti legate all’influenza”, afferma Alexander Domnich, primo autore dello studio e specialista in Igiene e Medicina preventiva dell’Azienda ospedaliera universitaria San Martino di Genova.
“Il numero potrebbe sembrare piccolo, ma non lo è affatto – afferma l’esperto – Siccome in Italia muoiono ogni anno oltre 9.000 persone a causa dell’influenza e della polmonite ad essa associata, il dato significa che un aumento dell’1% della copertura vaccinale può salvare quasi 60 persone. E possiamo assumere che con un incremento del 10% le persone sarebbero quasi 600”.
Lo studio ha considerato le coperture vaccinali nelle singole Asl e Province durante 17 stagioni consecutive. “Questo è un dato particolarmente importante perché non è pubblicamente disponibile, quindi abbiamo dovuto eseguire una survey tra i possibili detentori di questo dato, considerando poi anche altri fattori che possono in qualche modo influenzare la mortalità per influenza, come quelli socio demografici, climatici o legati alla disponibilità delle risorse”.
La conclusione del lavoro è chiara: “Abbiamo visto con chiarezza che le Regioni e le Province italiane che hanno ottenuto una più alta copertura vaccinale per l’influenza nei soggetti over 65 hanno sperimentato in media, durante le ultime 17 stagioni antinfluenzali, una significativa riduzione di mortalità per influenza e polmonite. Questo ci dice che dobbiamo aumentare le coperture vaccinali”.
La chiamata attiva come strumento di supporto all’incremento delle coperture vaccinali
Molte sono le idee e proposte da parte di chi lavora sul campo.
Alessandro Rossi, responsabile dell’area di malattie infettive per la Simg, la Società italiana di medicina generale, riassume in tre punti gli interventi necessari: rafforzare il concetto di chiamata attiva, mettere a punto un percorso di counselling per il cittadino e far sì che sia possibile ricevere i vaccini nei tempi e nelle modalità corrette.
“La chiamata attiva viene effettuata dai medici nei confronti delle categorie a rischio per patologia o età che possono beneficiare della vaccinazione – spiega Rossi – Si tratta di un processo attivo che presuppone una selezione della popolazione a rischio. Questo significa essere dotati di strumenti informatici, avere cartelle con i dati e uno strumento di comunicazione evoluto con i propri pazienti”.
Il counselling serve perché la chiamata da sola non basta, un paziente infatti può non essere convinto di vaccinarsi: un confronto personalizzato con il proprio medico è fondamentale per ascoltare dubbi e perplessità e rispondere alle domande sul caso specifico.
Infine, una distribuzione che funzioni: “L’anno scorso in alcune Regioni abbiamo ricevuto forniture in estremo ritardo e in quantitativi limitati – ricorda Rossi – Si tratta di un problema diffuso che l’anno scorso si è particolarmente acuito. Questo è in assoluta contraddizione con l’obiettivo di aumentare la copertura vaccinale”.
I vaccini antinfluenzali sono ormai prodotti differenziati, e per gli anziani sono raccomandati quelli definiti “potenziati”, come il vaccino contenente l’adiuvante MF59 e il vaccino ad alto dosaggio, nato per promuovere la risposta immunitaria nei pazienti con immunosenescenza. Avere a disposizione questo tipo di vaccini avvicina il traguardo stabilito dall’Oms per quanto riguarda le coperture vaccinali e supporta il concetto di equità nell’accesso alle cure – Health Equity.
La medicina territoriale
L’ostacolo nell’attuazione della chiamata attiva è, ancora una volta, l’eterogeneità: “Ci sono differenze sostanziali tra singoli medici di medicina generale – afferma Michele Conversano – Ci sono professionisti che vaccinano il 95-97% degli anziani che hanno in carico e altri che si fermano al 5-7%. Questo accade perché c’è una diversa sensibilità e le coperture più alte sono raggiunte da chi è strutturato in gruppi e associazioni e ha personale amministrativo e infermieristico a supporto”.
Per Conversano “l’esitanza vaccinale e la mancata percezione del rischio scompaiono davanti a una buona organizzazione della medicina generale. Soprattutto per gli anziani, il proprio medico curante è un punto di riferimento importante”.
Sono però sempre di più i casi nei quali i medici di base vengono affiancati nel loro ruolo da altre figure professionali, nelle aree marginali ma non solo.
Va in questa direzione il coinvolgimento delle farmacie territoriali e l’apertura di ambulatori nelle Asl, simili a quelli che già esistono per esempio per le vaccinazioni pediatriche. È importante offrire delle alternative, in modo che vaccinarsi diventi semplice.
“Tra le due soluzioni, la farmacia è sicuramente quella più flessibile, sia a livello di orari, sia per quanto riguarda la sua capillarità”, riflette Conversano.
Questo punto di vista, trova d’accordo anche Alessandro Rossi, che afferma: “Non vedo problemi, purché la vaccinazione rimanga un atto medico e avvenga di concerto con i medici curanti. Abbiamo visto che durante la pandemia le farmacie hanno funzionato bene”.
E, per quanto riguarda l’organizzazione della medicina del territorio, Rossi sottolinea “è fondamentale una buona organizzazione della medicina di gruppo. Non possiamo più parlare di medico singolo ormai. In futuro credo che avremo forme di associazione più complesse, come possono essere le Case di Comunità oppure gli ambulatori associati spoke, dotati di personale amministrativo e infermieristico e di spazi dedicati alla vaccinazione”.
Una migliore organizzazione sul territorio, quindi, può contribuire ad aumentare i tassi di copertura della vaccinazione antinfluenzale e, allo stesso tempo, ridurre la mortalità legata alle complicanze dell’influenza.