In Italia sono più di 27 milioni le persone che avrebbero bisogno di riabilitazione. Lo dice un nuovo rapporto dell’OMS Europa che rileva come oltre il 40% degli europei (circa 390 milioni di persone) ha bisogno di cure riabilitative. Per l’Italia la percentuale è del 44,9% della popolazione.
L’invecchiamento della popolazione, l’aumento significativo del numero di persone con malattie croniche e la mancanza di consapevolezza dei benefici della riabilitazione, secondo l’OMS, sono le principali cause di questo bisogno disatteso.
Eppure la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea che la salute è molto più della semplice assenza di malattia, ma è uno stato positivo che porta al benessere.
Secondo un rapporto OMS, in Italia sono più di 27 milioni le persone che avrebbero bisogno di riabilitazione
Ciò si traduce in una visione che tiene conto della complessità non solo dei bisogni di salute ma della persona nella sua totalità, in cui non si ammalano solo organi o apparati ma anche le funzioni.
La chiave potrebbe essere costruire un’alleanza con la persona assistita, uscire dalla visione meccanicistica e capire che oltre a un corpo c’è altro, avere una visione a 360 gradi dove nessun professionista lavora da solo, ma ognuno porta in campo la propria competenza per lavorare in sinergia. Tuttavia, nonostante sia uno del leitmotiv del mondo medico e politico, quando si parla di sanità, sembra essere una pratica spesso difficilmente realizzabile.
Ma qual è il rapporto dei cittadini (e viceversa) con le diverse professioni sanitarie che si muovono nell’ambito della riabilitazione e della prevenzione e quali sono le criticità che affrontano nell’ambito del SSN?
Professioni sanitarie riabilitative, tecniche e della prevenzione: quali sono?
In Italia sono 18 le professioni in queste aree riconosciute a livello ministeriale e iscritte agli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (TSRM e PSTRP) istituiti con legge 3/2018:
- Assistente sanitario
- Dietista
- Educatore professionale
- Igienista dentale
- Logopedista
- Ortottista
- Podologo
- Tecnico audiometrista
- Tecnico audioprotesista
- Tecnico di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare
- Tecnico di neurofisiopatologia
- Tecnico ortopedico
- Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro
- Tecnico della riabilitazione psichiatrica
- Tecnico sanitario di laboratorio biomedico
- Tecnico sanitario di radiologia medica
- Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE)
- Terapista occupazionale
La legge 3/2018 ha disciplinato le professioni sanitarie a laurea triennale istituendo gli Ordini che diventano enti pubblici non economici e organi sussidiari dello Stato (prima erano “enti ausiliari”), garantendo con maggiore efficacia la salute dei cittadini. È quindi messa nero su bianco la natura giuridica degli Ordini sanitari, indicando non solo la parte economica e patrimoniale, ma anche il loro ruolo e le loro funzioni.
Salute come stato di benessere complessivo e il ruolo delle professioni sanitarie
Nell’ambito delle indicazioni dell’OMS, le professioni dell’area riabilitativa, tecnica e della prevenzione indubbiamente giocano un ruolo molto importante per garantire ai cittadini non solo il diritto alla cura ma anche a una buona qualità di vita.
Ma è anche importante che le persone possano usufruire delle prestazioni vicino al proprio domicilio, che siano presi in carico tutti i loro bisogni di salute, facendo anche prevenzione, ed educandole a gestire la propria salute, a prevenire il danno. Forse si è ancora lontani da questo traguardo, anche se le risorse ci sono, poiché nel PNRR si evidenzia proprio la necessità di puntare sul territorio e di gestirlo con efficacia.
Per Teresa Calandra, Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (FNO TSRM e PSTRP), “quando si parla di salute, questa non può che comprendere il totale benessere della persona, quindi condividiamo pienamente la definizione dell’OMS. Siamo convinti che la reale presa in carico della persona nella sua globalità sia la vera sfida su cui dobbiamo tutti lavorare e che prevede almeno 3 elementi imprescindibili: prendere coscienza dell’importanza del lavoro di équipe, in cui ogni professione sanitaria si integra con le altre per rispondere al meglio al bisogno di salute del cittadino; promuovere e sostenere l’integrazione tra il sociale e la sanità, che purtroppo in questo momento manca, anche tra le professioni sanitarie; sfruttare pienamente le tecnologie digitali, pensando a nuovi modelli organizzativi in cui le professioni sanitarie possono esprimere pienamente tutte le loro competenze. In questo momento, a causa della persistenza di retaggi culturali del passato, non è ancora possibile. Quando questi tre aspetti cammineranno insieme, potremo garantire quanto indicato dall’OMS”.
Aggiunge Tiziana Rossetto, Presidente della Commissione di albo nazionale dei Logopedisti della FNO TSRM e PSTRP, oltre che della Federazione Logopedisti Italiani (FLI): “Il ruolo del logopedista nell’ambito della salute va correlato al benessere psicologico, sociale ed economico. Deve innanzitutto occuparsi della persona e non del disturbo che tratta, questo è un principio anche etico e deontologico. Posso occuparmi della persona disfagica, dove la deglutizione è una funzione vitale, intervenendo sulla consistenza del cibo o sulle posture. Ma in base comunque alla gravità, dovrò interfacciarmi con i colleghi che si occupano, ad esempio, della demenza, della fisioterapia, verificando se ha senso un intervento in quel momento. Perché è importante l’appropriatezza dell’intervento in quel contesto specifico, su quella persona. È fondamentale la visione della complessità clinica che si sta affrontando, che poi può essere anche familiare, sociale, ecc. quindi, guardarsi intorno, relazionarsi. Occorre che il professionista tenga sempre in mente che non lavora con i disturbi ma con la persona. Non ci si trova mai di fronte a un singolo problema, ma a una situazione problematica, è ben diverso. Da soli non si va da nessuna parte, insieme possiamo fare la differenza”.
Una salute sempre più integrata
Molte professioni sanitarie svolgono attività “silenziose”, ma sempre accanto al cittadino per migliorare la sua qualità di vita. Basti pensare all’invecchiamento costante della popolazione e a quanto è importante favorire l’autosufficienza per gli anziani, ma anche accompagnare tutte le altre fasi della vita. Il bisogno c’è, come prevede anche il PNRR con le case di comunità, in cui la multidisciplinarietà tra le figure sanitarie diventa essenziale. Eppure, molto spesso le équipe multidisciplinari non riescono a concretizzarsi e i professionisti fanno fatica a lavorare insieme.
Secondo Calandra, “occorre cambiare paradigma, che passa da un processo di evoluzione delle professioni sanitarie. Se ci convinciamo che ogni professione ha una o più attività tipiche e riservate e poi ci sono delle attività che sono trasversali, pertanto condivise, allora si potrà uscire da una logica corporativa in cui l’équipe e l’interprofessionalità e la multidisciplinarietà funzioneranno davvero. Ci vuole forse ancora del tempo, ma stiamo andando in questa direzione, necessaria al nostro Paese”.
Per Rossetto, invece, “all’interno dell’area della riabilitazione, il lavoro di équipe è sempre esistito. È difficile che, laddove ci sia un logopedista, non ci sia un fisioterapista o un terapista della neuro psicomotricità dell’età evolutiva, un terapista occupazionale o un educatore professionale. I logopedisti sono presenti nel SSN ma anche nei servizi per i minori, nelle comunità protette, nelle RSA e si lavora in team. Più difficile forse è trovare équipe con altre professioni. È consolidata quello con lo psicologo, con l’assistente sociale e il neuropsichiatra infantile. Secondo noi, l’idea della casa di comunità, in cui ci sia il pediatra, il medico di medicina generale e l’infermiere che interagiscono con tutte le altre professioni, vuol dire creare un team di comunità. Chi lavora in prossimità deve avere anche una formazione che va in questa direzione e quindi avere una visione lungimirante, perché i bisogni sono assistenziali, riabilitativi, preventivi educativi e sociali. In quest’ottica anche la formazione andrebbe ripensata, già all’università, in cui certi insegnamenti dovrebbero essere in comune a tutte le professioni sanitarie. Ci sono già dei percorsi formativi specialistici dopo l’abilitazione, che un po’ preparano al lavoro di comunità, ma manca l’omogeneità, ci sono ancora troppe differenze tra le varie Regioni, spesso all’interno della Regione stessa, tra le diverse ASL”.
Nuove tecnologie, innovazione digitale e telemedicina nell’ambito delle professioni sanitarie
La telemedicina è definita dal Ministero della Salute, nel primo documento di linee di indirizzo nazionale del 2012, come “l’insieme di tecniche mediche e informatiche che permettono la cura di un paziente a distanza o più in generale di fornire servizi sanitari da remoto”. In altre parole, è l’insieme delle prestazioni sanitarie che avviene a distanza, per via telematica, e che abbatte anche le barriere geografiche. È la collaborazione tra le nuove tecnologie di comunicazione e le modalità tradizionali dell’assistenza, che non vuol dire “archiviare” la medicina tradizionale, bensì affiancare il rapporto “in presenza”. E se è vero che alcuni aspetti non possono prescindere da un incontro “fisico” con lo specialista, è altrettanto vero che il consulto sull’evoluzione della malattia, o il monitoraggio di una terapia, può essere effettuato a distanza.
I servizi sanitari online, inoltre, possono garantire un accesso all’assistenza sanitaria anche a quelle persone che normalmente avrebbero difficoltà a raggiungere la clinica o l’ospedale e che invece ne possono usufruirne da casa.
Inoltre, le recenti linee guida per i servizi di Telemedicina del 2 novembre 2022, prevedono a livello regionale un insieme di servizi per migliorare e rendere più agevoli ed efficienti le cure, sia per i pazienti, sia per i professionisti sanitari e non soltanto uno strumento per contenere i costi.
Come si collocano in tale contesto le professioni sanitarie, in cui il rapporto in presenza è un aspetto non irrilevante? Risponde Calandra: “Certamente la fisicità dell’assistito è importante ma non può essere l’unico approccio. Rispetto alla digitalizzazione della sanità, alcune professioni saranno interessate ad attività di teleconsulto e telemonitoraggio, ma l’assistenza domiciliare che ci immaginiamo dovrà offrire non solo delle prestazioni diagnostiche ma anche riabilitative, direttamente sul territorio a domicilio. Quindi, quando parliamo di domiciliarità e telemedicina dobbiamo pensare alla diversità delle professioni in cui, per alcune di loro, da remoto si potrà erogare la prestazione. È il caso dei logopedisti, ma anche dell’attività di diagnostica in cui, ad esempio, il tecnico di radiologia effettua la prestazione a domicilio della persona assistita e poi da remoto il medico compilerà il referto. In questo c’è un vantaggio altissimo per gli assistiti che non devono spostarsi presso la struttura ospedaliera e avere le stesse cure e la stessa qualità a casa propria; altri esempi possono essere fatti per i terapisti occupazionali, gli ortottisti, i tecnici audiometristi, i dietisti, gli igienisti dentali e pressoché tutte le professioni rappresentate”.
Aggiunge Rossetto: “Prima della pandemia l’utilizzo delle tecnologie in logopedia riguardava l’uso del computer per i bambini con disturbo dell’apprendimento, l’audio libro, le mappe concettuali, quindi software che hanno aiutato molto. C’era anche la tele-riabilitazione ma non era molto usata, perché per noi la presenza fisica è importantissima. Dopo la pandemia si è aperto, invece, un dibattito sulla tele-riabilitazione che è risultata molto utile, stabilendo però delle linee guida per garantire la privacy, il consenso informato, per assicurarsi che la persona comprenda tutto correttamente, per capire se ha bisogno di un caregiver, ecc. Ma è anche emerso che ci sono fasce di popolazione che non hanno accesso alla Rete, facendo affiorare con maggiore evidenza lo svantaggio sociale. Le tecnologie sono utilissime per le persone che non possono parlare, con gravi disabilità o che abitano in isole o territori distanti ma che hanno diritto ad avere un’assistenza. Va preferita laddove è davvero necessaria, perché la presenza fisica resta ancora molto importante per il nostro lavoro”.
Aspetti politici e criticità
Il tavolo tecnico del luglio 2023 tra Ordini, associazioni, sindacati e Ministero sulle criticità relative ai DM 70/2015 e DM 77/2022, ha evidenziato alcuni aspetti da migliorare come, ad esempio, l’applicazione dei DM non omogenea su tutto il territorio nazionale, la mancanza ormai strutturale di professionisti sanitari, la loro scarsa valorizzazione anche economica, la necessità di migliorare e uniformare a livello regionale gli standard qualitativi, organizzativi e tecnologici, sia ospedalieri che territoriali, per potenziare l’integrazione tra medicina del territorio e ospedale.
Inoltre, si è evidenziata la necessità di valorizzare le competenze e le potenzialità delle professioni sanitarie per rispondere adeguatamente ai bisogni di salute dei cittadini.
“La situazione economica del nostro Paese”, – afferma Calandra – “aggravata anche dalle guerre in corso, certamente non aiuta a colmare il gap tra offerta privata e pubblica. È quindi inevitabile che ci sia un’azione del contenimento della spesa. Ciò che vorremmo è che cambiasse il paradigma del nostro sistema salute, non più una Sanità che pensa e parla solo su alcune professioni e non su tutte le altre. Se invece valorizziamo tutte le professioni sanitarie, dando loro l’autonomia e la responsabilità che gli è propria, riusciremmo a erogare dei servizi migliori e rispondere adeguatamente ai bisogni di salute del cittadino. Dobbiamo invertire la rotta, incentivare tutte le professioni e non solo alcune, come abbiamo già chiesto al Governo. Se penso alle professioni della riabilitazione, ma anche dell’area tecnica e della prevenzione, non posso che affermare quanto siano fondamentali per tenere il sistema. Attualmente ci sono liste di attesa infinite nel pubblico che potrebbero essere abbattute incentivando le nostre professioni, con prestazioni di qualità ed erogate da personale competente. La nostra Federazione nazionale ha sollecitato più volte il mondo politico che si è dimostrato disponibile e ricettivo a tutte le nostre professioni e quindi confidiamo che nella manovra di bilancio si tenga conto della necessità di incentivare non solo alcune professioni sanitarie ma tutte, altrimenti mancherebbe un pezzo di sanità di cui, invece, i cittadini hanno grande bisogno”.
“Chiediamo di assumersi la responsabilità di scelte che siano rispettose del diritto alla salute, di mettere al centro la riabilitazione – afferma Rossetto. L’OMS rileva che più del 40% della popolazione europea non ha accesso ai servizi riabilitativi pur avendone bisogno, anche perché spesso non ne ha la consapevolezza. In Italia sarebbero 24 milioni le persone che avrebbero diritto alla riabilitazione e non vi hanno accesso o perché mancano i servizi o perché non riescono ad accedervi. La riabilitazione non solo cura, ma previene e proprio la prevenzione sarà il centro dei principali bisogni della nostra popolazione sempre più anziana. A conti fatti, costa meno prevenire, curare a domicilio, dove si può, per evitare i ricoveri inutili e per garantire una buona qualità di vita. Poi chiediamo di stabilire dei fabbisogni formativi in base all’indice demografico (più anziani, più cronicità), epidemiologico (pensiamo solo alle malattie degenerative) e sociologico, legato alle persone fragili. È necessario fare un salto di qualità e adottare nuovi modelli organizzativi, come quelli previsti dal DM 77, che non diventino l’ennesimo libro dei sogni. Occorre dare valore alle professioni della riabilitazione nell’ottica dei nuovi bisogni di salute.”
SSN e privato: croce e delizia delle professioni sanitarie dedicate a cura e riabilitazione
Se è vero che i professionisti sanitari degli Ordini TSRM e PSTRP trovano lavoro a pochi mesi dalla laurea, è anche vero che si tratta di lavorare nel privato per la maggior parte dei casi. Il contenimento della spesa sanitaria, negli anni, ha portato allo svuotamento di diversi servizi, tra cui la riabilitazione, con mesi, se non anni, di attesa per un logopedista, solo per fare un esempio, nonostante l’aumento, anche preoccupante, delle diagnosi di disturbi dell’apprendimento e del linguaggio, nonché di autismo.
Secondo Tiziana Rossetto “nell’ambito della professione del logopedista, ciò a cui assistiamo in questo periodo è il rilancio della Sanità territoriale e degli standard ospedalieri, ma anche la riorganizzazione dopo una pandemia che ha evidenziato chiaramente l’importanza della prevenzione, quindi di un intervento di prossimità, e della gestione della cronicità e delle persone più fragili. Ma le criticità non mancano, nonostante la riabilitazione e la collaborazione con un team multi professionale e multidisciplinare sarebbero l’ideale nell’ambito della riorganizzazione territoriale, più vicina al cittadino. Abbiamo la sensazione che non si consideri con la dovuta attenzione quanto la riabilitazione sia un’attività che sarà chiamata a essere sempre più presente nel Paese. Siamo la terza nazione al mondo per anzianità, solo in Italia ci sono 20.000 centenari, tanto per dare un’idea. Si vive di più ma ci si ammala anche di più. Quindi, l’allungamento della vita ci porrà di fronte alla gestione di una serie di bisogni importanti per gli over 65 che aprono scenari diversi in ambito anche epidemiologico e sociale.
Nello specifico i logopedisti sono molto richiesti dai singoli utenti, dalle aziende, dai centri medici privati, ecc. E sta prendendo sempre più piede l’accesso diretto nel privato, perché ci vogliono almeno 12-24 mesi di lista di attesa nel SSN, dove perfino nei reparti di neurologia non c’è un logopedista per le persone con ictus, ad esempio. Ciò vuol dire che la riabilitazione delle persone afasiche è messa in secondo piano, basandosi sugli aspetti vitali e trascurando tutto ciò che riguarda la qualità della vita, anche in uno stato di malattia. Con il Covid-19, ad esempio, le persone uscite da lunghe intubazioni e poi estubati hanno avuto bisogno di riprendere lo svezzamento, di essere curati anche per disturbi neuro-psicologici.
L’intervento del logopedista va da zero a 100 anni, lavoriamo nelle terapie intensive neonatali per favorire, solo per dirne una, la suzione del neonato, ma anche monitorare i bambini nell’acquisizione del linguaggio. È però una disciplina scarsamente incrementata in Italia, in cui abbiamo 16 logopedisti su 100.000 abitanti, laddove in Francia ce ne sono 40 su 100.000. Nel SSN in pratica non vengono assunti, non solo perché mancano i soldi, ma perché il servizio sanitario è prevalentemente assistenziale e non dà il giusto valore alla riabilitazione. Serve una cultura diversa che tenga conto dei modelli di efficienza dell’Unione Europea e che preveda un approccio multidisciplinare. Serve una medicina che agisca anche nell’ottica della prevenzione professionale.
Tanto per fare un esempio, l’insegnante e chi usa la voce per lavoro è soggetto a disturbi come disfonia, polipi delle corde vocali, ecc. Ma siamo pochi e il corso di laurea è a numero chiuso, nonostante quella del logopedista sia la seconda professione scelta dai giovani, con circa 850 laureati l’anno. Il problema è strutturale, ma manca una vera cultura della prevenzione e della riabilitazione, per una migliore qualità di vita anche dopo o durante la malattia”.