Sebbene siano passati oltre 30 anni dalla legge che ha messo al bando l’amianto, in Italia sono molte le persone che, in alcune aree, continuano a morire a causa dell’esposizione al materiale. Uno studio dell’Istituto superiore di sanità uscito l’anno scorso ha messo in evidenza come, tra il 2010 e il 2016, in Italia ci siano stati circa 4.400 decessi all’anno dovuti all’esposizione ad amianto. Di questi, 1.515 sono persone decedute per mesotelioma maligno (più dell’80% dei mesoteliomi è causata dall’amianto), 58 per asbestosi (una malattia polmonare causata da inalazione di fibre di amianto), 2.830 per tumore polmonare e 16 per cancro ovarico.
“Oggi, a Casale Monferrato, muoiono ancora 30-40 persone ogni anno per mesotelioma”, ha evidenziato Diego Marchioro, sindacalista dell’Istituto Nazionale Confederale di Assistenza di Torino (Inca) della Cgil durante il seminario “Amianto, la sorveglianza sanitaria e la cura” che si è tenuto il 24 maggio a Torino.
Il mesotelioma pleurico maligno è una malattia rara (colpisce cioè meno di 6 persone ogni 100.000), eppure in alcune zone, come Casale Monferrato, ma anche Broni, in provincia di Pavia, l’incidenza è molto superiore. Entrambe le città sono state sede di industrie che lavoravano l’amianto, la cui inalazione è considerata uno dei principali fattori di rischio della malattia. “Il tempo dell’esposizione esterna e interna è diverso – ha ricordato Dario Mirabelli, epidemiologo già responsabile Registro dei mesoteliomi del Piemonte -. Quella esterna a un certo punto è cessata, mentre quella interna è continuata, seppur in modo invisibile, a volte per decenni”.
Il seminario torinese ha ripercorso le vicende di quegli anni, concentrandosi sul Piemonte e sulla Lombardia, e ha fatto il punto sulla ricerca e sulle terapie disponibili.
La raccolta dei dati
La legge spartiacque in Italia è la 257/92, una delle prime al mondo a vietare l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto o di prodotti che lo contengono.
In conseguenza del boom edilizio degli anni ‘60, però, molto del nostro patrimonio edilizio contiene questo materiale. Nel 2020 sono stati stanziati 385 milioni di euro per la bonifica di edifici pubblici, in gran parte scuole e ospedali. La scadenza per l’esecuzione dei lavori è fissata per il 31 dicembre 2025.
Nello stesso anno sono stati messi sul tavolo altri 8 milioni per un’ulteriore mappatura degli edifici e per la digitalizzazione e la catalogazione degli atti sulle bonifiche.
A oggi non esiste una mappatura completa degli edifici che contengono amianto
A oggi, nonostante siano passati oltre 30 anni dalla legge, non esiste una mappatura completa e omogenea a livello nazionale degli edifici che contengono amianto.
Per quanto riguarda invece la salute, sono due gli strumenti con cui intercettare le persone che si sono ammalate per l’esposizione alle fibre di albesto: il Registro nazionale mesoteliomi (ReNaM) e la costruzione di un elenco di ex-esposti professionali realizzato a partire dagli archivi dell’Inail e dell’Inps. Purtroppo entrambi hanno dei limiti. Nel caso del ReNaM, sebbene la raccolta dei dati sia abbastanza capillare, alcuni Centri operativi regionali sono in difficoltà: “La Campania ha sospeso le attività, l’Abruzzo le ha appena riprese, l’Umbria è in difficoltà, mentre Calabria, Sardegna e Molise mostrano una capacità di rilevazione non sufficiente e la capacità di raccolta anamnestica è ridotta in Liguria, Lazio e Sicilia” è il quadro descritto da Enrica Migliore, epidemiologa e responsabile del Registro dei mesoteliomi del Piemonte.
Anche la costruzione dell’elenco degli ex-esposti non è esente da difetti: prima di tutto considera solo chi ha respirato amianto per motivi professionali e non chi lo ha fatto perché viveva in un’area contaminata. In secondo luogo, si basa sui lavoratori assunti presso aziende che hanno pagato il premio assicurativo per asbestosi. “Siamo convinti che questi numeri siano sottostimati – ha affermato Diego Marchioro – e crediamo che i medici di medicina generale possano avere un ruolo fondamentale nell’intercettare i casi sospetti e indirizzarli presso i percorsi più adeguati”.
I filoni di ricerca
A lungo l’unica opzione terapeutica per il mesotelioma è stata la chemioterapia, che non ha mai prodotto risultati significativi.
Da qualche anno è disponibile anche in Italia un’immunoterapia combinata di ipilimumab e nivolumab, due checkpoint immunitari che hanno un’azione sinergica. “Purtroppo questa terapia, che ha mostrato vantaggi significativi, in Italia è rimborsata solo per i mesoteliomi non epitelioidi, che rappresentano circa il 25% – ha ricordato Federica Grosso, oncologa e responsabile della Struttura Mesotelioma dell’Asl di Alessandria – Nel caso degli epitelioidi, si stanno sperimentando combinazioni di chemio e immunoterapia”.
L’immunoterapia ha permesso di migliorare la sopravvivenza di 18 mesi e un miglioramento della qualità di vita dei pazienti
Nell’istologia più rara, l’immunoterapia ha permesso di migliorare la sopravvivenza di 18 mesi, a fronte di una mediana di 8,8 mesi della chemioterapia. Oltre a questo, è stato dimostrato anche un miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
L’esperta ha poi ricordato come in questo settore sia fondamentale la collaborazione multidisciplinare tra professionisti, che comprenda anche la figura del case manager, che aiuta i clinici a gestire, tra le altre cose, i contatti dei pazienti con le associazioni. “Stiamo lavorando anche per migliorare la comunicazione con il paziente, perché avere una condivisione dei percorsi è l’aspetto che più di tutti migliora la qualità di cura”, ha aggiunto Grosso.
Un altro filone di ricerca promettente riguarda quello sul microbioma: “Mentre il microbiota è la popolazione di microrganismi che ci colonizza, il microbioma caratterizza le diverse specie di germi – ha esemplificato Laura Deborah Locati, oncologa dell’Università di Pavia e Irccs-Ics Maugeri di Pavia -. Abbiamo capito che la tipologia di microrganismo può influenzare la risposta immunitaria: quando un tumore si sviluppa significa che c’è stato un fallimento nell’immunosorveglianza”.
Un ulteriore passo in avanti è stato compiuto quando i ricercatori hanno capito che i microrganismi non colonizzano solo l’essere umano, ma anche il tumore: esiste quindi un microbiota del cancro. “Oggi siamo in grado di manipolare questo microbiota: l’obiettivo è interrompere questo processo infiammatorio prima che viri in cancro”.
L’intuizione è stata pensare che il microbioma possa variare nelle varie fasi della malattia: quello del soggetto sano è diverso da quello della persona esposta che differisce ancora da quello del paziente con il mesotelioma.
“Abbiamo risultati molto preliminari condotti su un piccolissimo gruppo di pazienti che testimoniano che le specie batteriche osservate mostrano differenze significative – ha continuato Locati -. Trattandosi di una malattia rara, i numeri sono piccoli: forse in futuro l’intelligenza artificiale potrà venirci in aiuto grazie ai digital twin, modelli di simulazione molto utilizzati dagli ingegneri e ancora poco in medicina”.
Sebbene il principale fattore di rischio rimanga l’esposizione all’amianto, vi è anche una predisposizione genetica che può giocare un ruolo. “Da quello che abbiamo osservato, questa incide nel 10% dei casi circa”, ha affermato Irma Dianzani, professoressa di Patologia Generale all’Università del Piemonte Orientale, Al momento non è stato documentato se individui predisposti possano sviluppare il mesotelioma in assenza di esposizione all’amianto. Tutti i casi studiati sono stati esposti, seppur in modo sporadico, all’albesto.