Scudo penale e obbligo vaccinale per i sanitari: due interventi necessari ma dall’azione limitata

Il decreto del 1° aprile, il n. 44 del 2021, che introduce lo scudo penale per i soggetti vaccinatori, porta con sé alcuni aspetti innovativi, ma lascia aperti anche diversi dubbi (lo scudo funziona anche se si decide di passare a una dose unica di vaccino?) e la porta spalancata alla responsabilità civile.

Lo potremmo definire uno scudetto più che uno scudo penale vero e proprio, ma almeno per la campagna vaccinale i medici e tutti gli operatori chiamati a vaccinare (farmacisti compresi) potranno lavorare con più serenità. Il decreto del 1° aprile, il n. 44 del 2021 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici) che introduce lo scudo penale per i soggetti vaccinatori, porta con sé alcuni aspetti innovativi, ma lascia aperti anche diversi dubbi (lo scudo funziona anche se si decide di passare a una dose unica di vaccino?) e la porta spalancata alla responsabilità civile.

E l’obbligo vaccinale previsto per i sanitari, seppur legittimo, rischia di incagliarsi nella sanzione prevista in caso di inadempienza, una sorta di via di mezzo per salvaguardare i lavoratori e le aziende che presta il fianco però a diverse interpretazioni e possibili cause dinanzi al giudice del lavoro.

Scudo o scudetto penale

Sembra una battuta ma non è così: lo scudo penale tanto richiesto a gran voce dal mondo sanitario fin dall’inizio dell’epidemia (ne abbiamo parlato in questo articolo) in realtà si è trasformato in un mini scudo che copre solo la responsabilità penale per la vaccinazione.

Anche il mondo dei medici è rimasto deluso, come confermano le parole del Presidente FNOMCEO, Filippo Anelli: “I provvedimenti a tutela dell’operato dei professionisti durante il Covid non recepiscono appieno le richieste avanzate dal mondo medico, limitandosi a esimere i vaccinatori dalla punibilità per omicidio colposo e lesioni colpose a seguito della somministrazione del vaccino. E anche le norme che introducono il cosiddetto ‘obbligo vaccinale’ per i sanitari sono in realtà poco incisive, limitandosi alla sospensione, tramite un iter piuttosto farraginoso, dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali”.

Sempre secondo Anelli, la tutela dei medici per la vaccinazione è stato un argomento che, sebbene avesse fatto molta presa sui media, non ha mai preoccupato davvero la categoria: i medici, conferma Anelli, sono abituati ad assumersi responsabilità in tutte le campagne vaccinali. “Oltretutto – ha sottolineato il presidente FNOMCEO – permangono forti dubbi che la punibilità possa essere esclusa laddove non vi siano atti medici propedeutici alla somministrazione del vaccino”.

Lo scudo penale copre tutti i sanitari che partecipano alla somministrazione del vaccino

E veniamo alle responsabilità. Lo scudo riguarda infatti il solo ambito penale, ma non tocca la responsabilità civile che si può sempre sollevare.

Spesso i medici si preoccupano dei processi penali ma non è detto che la leva della responsabilità civile non possa essere altrettanto insidiosa per il professionista.

Per capire se ci sono responsabilità in questo ambito occorre verificare, legge Gelli (n. 24 del 2017) alla mano, in quali circostanze e con quali criteri il professionista ha la possibilità di essere convenuto in un giudizio civile per il risarcimento del danno, e in quali casi invece è convenuta soltanto la struttura sanitaria.

“Un aspetto interessante di questo decreto – ha commentato Roberto Bonatti, avvocato specializzato in contratti pubblici, servizi pubblici locali e diritto della concorrenza – è il fatto che, ancorché sia collegato solo all’operazione vaccinale in senso stretto, lo scudo penale copre tutti i sanitari che partecipano alla procedura di somministrazione del vaccino, quindi il medico, i suoi collaboratori, ma anche il farmacista”.

Probabilmente di questo scudo non ce n’era davvero bisogno, perlomeno per come è stato concepito. A ribadirlo è lo stesso estensore della leggi Gelli-Bianco, Federico Gelli, oggi Presidente della Fondazione Italia in Salute che in un’intervista rilasciata ad ANDI (Associazione Nazionale dei Dentisti Italiani) ha spiegato: “Il tema della ‘responsabilità’ dei vaccinatori in caso di effetti indesiderati o eventi avversi correlati all’inoculazione del vaccino oltrepassa il limite del paradosso e mette a rischio il buon esito della campagna vaccinale, evocando rischi penali e civili di cui i professionisti certamente non vogliono e non possono farsi carico. Rischi che, a mio parere, sono in concreto prossimi allo zero. La corretta somministrazione di un vaccino (un’iniezione intramuscolo sul deltoide), non comporta rischi operativi di sorta, mentre eventuali reazioni avverse (ove oggetto di corretta informativa preventiva) non possono certo essere imputate all’operatore, trattandosi di farmaci autorizzati in via amministrativa”. 

Eventuali reazioni avverse non rientrano nelle responsabilità dell’operatore

Il problema, semmai, è un altro. Lo scudo penale, infatti, non può fare nulla contro i procedimenti penali e civili che i cittadini vorranno avviare e questo indipendentemente da una (probabile) archiviazione. Per lo tsunami di cause in arrivo non c’è scudo che tenga. E questo comporterà costi economici, e in termini di ricorse umane impiegate, notevoli per il sistema sanitario nazionale.

Quindi, scudo penale per i vaccini a parte, per i medici rimangono le normative nazionali vigenti a proteggere la categoria. Ma anche per Gelli ci vorrebbe qualcosa di più, una protezione generale del comparto sanitario: “In un contesto in cui le linee guida e le buone pratiche costituiscono un formante ancora in via di definizione si potrebbe pensare, come già si era ipotizzato agli inizi della pandemia, a una norma emergenziale che, coordinandosi con i principi di base della legge 24/2017, circoscriva tutte le responsabilità comunque correlate al Covid, limitandole alle ipotesi di una colpa grave non generica, ma anch’essa da valutarsi alla luce delle conoscenze e delle risorse disponibili al momento dell’evento avverso“.

Una dose o due dosi: attenzione alle linee guida

Lo statuto della responsabilità dei professionisti, così come disciplinato dagli art. 5, 6 e 7 della legge 24/2017, si fonda sul principio in base al quale non può considerarsi responsabile chi si sia comportato correttamente e abbia diligentemente attuato linee guide e buone pratiche assistenziali. L’art. 3 del decreto 44/2021, che disciplina lo scudo penale per le vaccinazioni anti-Covid, ribadisce questa affermazione: “La punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”.

Ed ecco un primo crinale da superare: le autorizzazioni all’immissione in commercio dei vaccini anti-Covid che si stanno usando in questo momento prevedono due dosi a una certa distanza di tempo. Ma l’opportunità di inoculare solo una dose, per risparmiare tempo e vaccini, circola tra gli addetti ai lavori. Che succede quindi nel caso in cui si decidesse di usare solo una dose? “A quel punto lo scudo penale non funzionerebbe più – sottolinea Bonatti – perché siamo al di fuori delle condizioni d’uso autorizzazione all’immissione. Quell’unica dose (anziché le due previste) genera responsabilità anche penale a meno che non si cambi l’autorizzazione all’immissione in commercio, ma per questo ci vuole comunque un provvedimento di AIFA, o forse addirittura di EMA”.

Lo scudo penale (che, ricordiamolo, esclude la sanzione ma non cancella la responsabilità) è stato voluto con urgenza per generare un clima più sereno tra chi deve somministrare i vaccini e quindi, di conseguenza, per far proseguire la campagna vaccinale senza ulteriori ritardi. Però è chiaro che così come è stato pensato questa protezione presenta dei limiti e tiene aperta la strada per la responsabilità civile.

Farmacisti vaccinatori: sono uguali ai medici?

Dopo i medici di medicina generale, i pediatri e gli odontoiatri, alle categorie di soggetti vaccinatori si è aggiunta anche quella dei farmacisti. Solo che, a differenza delle prime tre categorie, i farmacisti non sono medici. E le farmacie non sono attrezzate come degli ambulatori.

Il Decreto Ristori (il n. 41 del 2021) ribadisce che questi professionisti devono essere formati adeguatamente per poter somministrare i vaccini. In questo senso, l’accordo quadro firmato tra Federfarma, Assofarm, Governo, Regioni e Province Autonome definisce gli aspetti tecnici, organizzativi, logistici per la somministrazione dei vaccini in farmacia e le regole per la formazione del farmacista alla vaccinazione, fino alle modalità operative della seduta vaccinale e la gestione degli eventuali effetti avversi in seguito all’inoculazione.

In ogni caso, in farmacia non si potranno vaccinare persone particolarmente fragili e con una storia di allergie gravi. Per ogni dose somministrata alla farmacia saranno riconosciuti 6 euro.

Sui farmacisti vaccinatori non c’è un completo accordo

Non in tutte le Regioni, comunque, si impiegheranno direttamente i farmacisti: in Liguria le vaccinazioni si possono già fare in farmacia, ma a somministrarle sono i medici.

Se il paziente vaccinato in farmacia dovesse sentirsi male per gli effetti collaterali, il farmacista che ha vaccinato è comunque coperto e questo anche qualora non si riesca a intervenire sul posto o ad assistere in modo adeguato il soggetto. Lo scudo copre anche a distanza di tempo, la cosa importante è che l’evento causato sia collegato al vaccino, una correlazione non sempre facile da dimostrare.

Sui farmacisti vaccinatori in ogni caso non c’è stato un completo accordo.

All’indomani delle parole del Governatore del Veneto Luca Zaia che difendeva l’inclusione dei farmacisti tra le figure che possono vaccinare, Anelli della FNOMCEO ha ribattuto: “Forse – ed è tutto da discutere – non servirà una laurea per fare un’iniezione. Ma serve una laurea, a volte anche una specializzazione, per salvare, con cognizione di causa, una vita. Le conoscenze, le competenze e i valori sottesi alla professione non discendono da scienza infusa, ma sono il frutto di un percorso di apprendimento e di esperienza guidata”.

La domanda che aleggia nell’aria quindi non è tanto se il farmacista sia in grado di fare una puntura, ma se abbia le competenze per gestire gli effetti avversi che dovessero emergere nei minuti successivi all’inoculazione.

Nel momento in cui vaccina, il farmacista è infatti equiparato al medico e come quest’ultimo deve assumere una posizione di protezione nei confronti del paziente. “Questa posizione – ribadisce l’avvocato Bonatti – che vale anche per il farmacista, si concretizza proprio nel fare ciò che è necessario date le circostanze del caso, per assicurare al paziente che non sopravvengano peggioramenti. I farmacisti hanno una deontologia diversa e sono figure diverse dei medici, ma sono equiparati a questi ultimi quando somministrano il vaccino anti-Covid”.

La legge Gelli sulla responsabilità sanitaria in effetti è stata pensata per i medici, ma in questo caso potrebbe esserci la possibilità di interpretare queste norme in modo analogo per i farmacisti che effettuano una prestazione tipicamente sanitaria.

Obbligo vaccinale: a preoccupare sono le sanzioni troppo deboli

Il decreto del 1° aprile prevede l’obbligo vaccinale per tutti gli operatori sanitari. L’art. 4 recita infatti: “Gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”.

Il tema dell’obbligo vaccinale è sempre stato compatibile nel nostro ordinamento anche dal punto di vista costituzionale: da oltre 100 anni esistono le vaccinazioni imposte per legge.

Sotto il profilo dell’opportunità, come detto prima, il sanitario assume una posizione di protezione verso il paziente: “Chi assume questa posizione – sottolinea Bonatti – deve per primo essere protetto contro il virus e quindi vaccinato. È come se un pompiere decidesse di spegnere un incendio senza indossare dispositivi di protezione e usando solo l’acqua: metterà a rischio la sua vita e quella di chi vuole salvare dall’incendio”.

Detto questo, se guardiamo alle sanzioni previste in caso di inadempimento verso l’obbligo vaccinale, c’è il serio rischio che tutto l’impianto si trasformi in un boomerang per le aziende sanitarie.

Il professionista che rifiuta la vaccinazione, infatti, può essere adibito a mansioni diverse, anche inferiori, con relativo trattamento economico. Solo nel caso in cui non fosse possibile assegnare il sanitario a mansioni diverse, scatta la sospensione.

Per il sanitario che rifiuta il vaccino scatta il rimansionamento e poi la sospensione

Ma con questa fase intermedia di “rimansionamento” c’è il rischio di scatenare cause dinanzi il Giudice del Lavoro: che succede infatti se il lavoratore sospeso afferma di essere stato allontanato ingiustamente quando, a suo dire, esisteva una mansione alternativa da fargli svolgere? Forse sarebbe stato più opportuno comminare subito la sospensione in caso di inadempimento, ma qui il legislatore ha voluto usare la sospensione solo come estrema ratio.

“Si è cercato di trovare una via di mezzo tra le esigenze del lavoratore e quelle del datore di lavoro – conclude l’Avvocato Bonatti – allo stesso tempo però questa soluzione intermedia passa per una valutazione di possibilità o meno di riassegnare il lavoratore a delle mansioni diverse e questa è tipicamente una valutazione discrezionale che viene fatta in prima battuta dal datore di lavoro, ma che poi può essere confermata o smentita dal giudice del lavoro”.

E per il momento l’obbligo riguarda solo i sanitari, anche se non si esclude che, qualora arrivino dati scientifici più robusti sui vaccini più usati, questo onere non sia esteso a tutta la popolazione.

Da noi infatti esiste l’obbligo vaccinale, ma non è così in altri paesi.

In generale, gli ordinamenti affrontano il tema degli obblighi vaccinali in due modi diversi. Quelli avanzati sotto il piano civico (come i paesi scandinavi) non obbligano a vaccinarsi ma promuovono le vaccinazioni e, poiché le persone sentono la responsabilità civica di proteggere se stessi e la collettività, il livello di vaccinati sfiora la totalità; negli ordinamenti in cui invece tradizionalmente il senso civico o il senso di responsabilità collettiva non è avanzato (come il nostro e in generale quello dei paesi Ue che si affacciano sul Mediterraneo), l’unico strumento per raggiungere livelli idonei di vaccinazione è l’obbligo imposto per legge.

 

Anche se è prematuro parlarne, prima o poi la questione della vaccinazione di tutta la popolazione andrà affrontata perché tra pochi mesi potrebbe diventare operativo il passaporto vaccinale annunciato dall’Ue nelle scorse settimane. “Credo che questo documento possa essere un’opportunità se utilizzato in modo intelligente – afferma Bonatti – cioè non circoscrivendolo solo a chi solo è vaccinato, ma anche a chi ha adottato misure di protezione per se stesso e per gli altri (quindi a un tampone negativo o alla conferma di guarigione da Covid-19). Il passaporto potrà essere valido naturalmente per lo spostamento tra gli Stati Ue, ma non ha validità all’interno dei singoli Stati. Il Garante della Privacy dovrà pronunciarsi in questo senso, ma non ravvedo difficoltà: il punto non è utilizzare i dati sanitari, ma come farlo nel modo corretto”.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico