Orientare le politiche di benessere a partire dallo studio delle diseguaglianze attraverso i principali indicatori di salute. È questo uno degli obiettivi dell’Health Equity Italy, il Centro Interdipartimentale dell’Università di Torino presentato il 30 giugno scorso.
Il Centro è nato sotto la Mole nel 2022, dalla collaborazione del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, di quello di Culture, Politica e Società e di quello di Economia e Statistica “Cognetti de Martiis”.
Tra i suoi scopi c’è anche la costituzione di banche dati che permettano il tracciamento e lo studio delle storie di salute, di lavoro e di vita ricorrendo ai dati amministrativi. L’ambizione è creare uno spazio di confronto e ricerca interdisciplinare di contrasto alle disuguaglianze.
«HEI nasce da un’intersezione di interessi – ha affermato in apertura il Direttore del Centro, Fulvio Ricceri -: lo studio eziologico sulle disuguaglianze di salute, lo studio sulle relazioni lavoro-pensione-salute e la costruzione di reti e laboratori sul territorio». Sottotraccia, il lavoro per stimolare un approccio integrato ed intersettoriale e promuovere politiche efficaci di contrasto alle diseguaglianze in salute.
Il database WHIP Salute
Roberto Leombruni, associato di Statistica economica presso il Dipartimento di Economia e Statistica “Cognetti de Martiis”, ha posto l’accento sul rapporto tra infortuni sul lavoro e dati a disposizione: «Spesso vediamo che i primi sono in aumento, ma non ci interroghiamo mai se è aumentato il numero di lavoratori o il rischio. Con le informazioni raccolte in WHIP Salute cerchiamo di uscire dai numeri assoluti aggiungendo i denominatori».
WHIP Salute è un database che monitora la salute dei lavoratori nel nostro Paese sopperendo, almeno in parte, all’assenza di studi longitudinali. Il sistema di sorveglianza è basato sui flussi provenienti dagli archivi amministrativi dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS), dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione sul lavoro (INAIL) e del Ministero della salute. È importante che il database sia integrato da più fonti, poiché per esempio l’INAIL non copre tutte le categorie di lavoratori. «Va da sé che chi non è assicurato non compare mai tra gli infortunati», ha osservato Leombruni.
Chiusure aziendali, contesto economico, esperienza e precarietà sono fattori che influenzano il rischio di infortunio
E poi sono tanti i motivi per cui delle persone possono “sfuggire” al database INAIL: secondo un’indagine campionaria somministrata a 1.500 lavoratori tra 18 e 45 anni, è emerso che circa la metà degli intervistati in caso di infortunio dichiara di mettersi in malattia anziché aprire una pratica INAIL; uno su quattro non beneficia né della copertura INPS né di quella INAIL; tra i dipendenti a tempo determinato la percentuale di lavoratori che denuncia l’infortunio è la metà rispetto a coloro a tempo indeterminato; nel caso dei lavoratori a partita IVA, anche nel caso degli infortuni con almeno due settimane di assenza dal lavoro, solo un lavoratore su tre beneficia di un intervento dell’INAIL.
I dati di WHIP Salute ci dicono che, al di là delle esposizioni a rischi fisici, chimici o biologici, i fattori di rischio socio-economici e di carriera che influenzano maggiormente il rischio di infortuni sono: le chiusure aziendali, il contesto economico, il livello di esperienza e la precarietà. Chi perde il lavoro o è in una condizione di instabilità è più propenso ad accettare lavori che non garantiscono un adeguato livello di sicurezza. Per contro, il rischio di infortuni si appiattisce dal terzo anno che si passa nello stesso posto. «I dati ISTAT ci dicono che circa il 40% degli occupati sotto ai 25 anni ha iniziato la propria occupazione da meno di un anno, mentre i dati WHIP che solo il 20% dei rapporti di lavoro iniziati da un anno dura almeno tre anni».
Il WHIP Salute è inserito nel Programma Statistico Nazionale e prevede il rilascio di dati che sono molto utili per la comunità scientifica: «Grazie ad un finanziamento Age-IT/PNRR stiamo finalizzando sia la costruzione di un File per la ricerca da rilasciare a università e istituzioni, sia modi collaborativi per l’accesso sicuro a versioni più dettagliate dei dati», ha concluso Leombruni.
La metrica della salute disuguale
In chiusura, Giuseppe Costa, presidente HEI e professore emerito di Igiene all’Università di Torino, ha portato un suo cavallo di battaglia: l’importanza della metrica della salute disuguale. Misurare le disuguaglianze (sociali, economiche, di contesto…) che impattano sulla salute permette di costruire agende politiche con azioni finalizzate a garantire a tutti una salute più equa e di definire le priorità di investimento. Il percorso è lungo, ma negli ultimi anni ci sono stati compiuti dei passi in avanti.
Nel 2017 il Ministero della Salute ha pubblicato il report “L’Italia per l’equità nella salute”, che istituiva l’Health Equit Audit (HEA), proponendo che diventasse un criterio valutativo nei sistemi di rendicontazione. «Il requisito minimo è che sia facilitato e garantito l’accesso a dati stratificati per posizione sociale attraverso i quali rilevare e valutare l’esistenza di livelli disuguali di salute», ha rilevato Costa. L’HEA è diventato obbligatorio nei Piani Regionali di Programmazione: «È vincolante per ottenere l’approvazione dei documenti, ma mancano adeguati interventi a sostegno».
Il requisito minimo è poter accedere a dati sociali stratificati
Un altro passo in avanti è la nascita del progetto BES all’interno dell’ISTAT, con una serie di indicatori volti a misurare il benessere delle persone. «Questi indicatori sono entrati anche nel documento di accompagnamento alla Legge di Bilancio».
Le sfide ancora sul tavolo per consolidare la strategia italiana nell’equità in salute restano:
- la costruzione di un indicatore di posizione sociale in ogni sistema informativo e non solo in ambito sanitario;
- lo studio dei meccanismi di generazione di salute disuguale per capirne l’evitabilità;
- l’arricchimento dei sistemi longitudinali di indagine
L’Health Equity Italy si pone tra gli obiettivi anche questi, agendo sia nella fase di ricerca e di attivazione di infrastrutture longitudinali, sia sull’applicazione dei metodi a vari livelli, sia per quanto riguarda la comunicazione, per rendere più informati i processi decisionali presso i policy maker e il pubblico.