Fotografia di una battaglia che sta cambiando: è sempre più mirata e dispone di armi più efficaci, dalla diagnosi alle terapie. Ma a oggi il tumore al polmone è ancora il “big killer”, prima causa di morte tra gli uomini, seconda tra le donne dopo il tumore al seno.
Gli investimenti in Europa e in Italia
Un dibattito organizzato dal think thank The European House – Ambrosetti, dal titolo “Nuove strategie per la lotta ai tumori del polmone”, è stato l’occasione per fare il punto sui diversi aspetti dell’argomento, dallo scenario in cui si colloca la lotta a questa neoplasia al dettaglio dei nuovi test genetici e delle terapie personalizzate. La cornice è stata affidata a Giorgio Clarotti, Senior Policy Officer for Health della Commissione Europea – DG Ricerca e Innovazione – Direzioni Persone e Direzione Prosperità, Unità E5 – Transizioni Sociali ed Economiche, e Paola Binetti, componente della Commissione Igiene e Sanità del Senato. Tema: “Da Europe’s beating cancer plan al Piano oncologico nazionale: sconfiggere il cancro si può”.
“L’investimento dell’Unione Europea in salute è di 1.330 miliardi annui, circa il 10% del Pil – ha spiegato Clarotti -. Le competenze delle istituzioni europee in materia sono piccolissime; sono state aumentate di dieci volte quest’anno, sull’onda del successo dell’Unione nel rispondere alla richiesta degli Stati membri di coordinare la risposta al Covid. Era previsto che ci fossero 500 milioni di euro dati per 7 anni, un budget che è stato moltiplicato per dieci: quindi l’Europa ha a disposizione 5 miliardi di euro, che corrispondono allo 0,05 di tutto l’investimento europeo”.
I piani sono ambiziosi e tra questi figura il Beating cancer plan, iniziativa avviata nel febbraio 2020, subito prima del Covid. “Ma il cancro resta una priorità e può contare sull’80% di quei 5 miliardi – commenta Clarotti -. Questo non significa che andranno solo al cancro, ma che l’80% dei fondi per prevenzione, cura e assistenza dei pazienti sarà destinato anche al cancro”.
Fotografia di una battaglia che sta cambiando: è sempre più mirata e dispone di armi più efficaci, dalla diagnosi alle terapie
Per quanto riguarda la ricerca, la salute vale 8,25 miliardi su sette anni: è il capitolo più importante del Pilastro II dell’iniziativa Horizon Europe, che mira a rispondere alle sfide globali e di competitività industriale europea. Il 50% è destinato a bandi, ambito in cui rientra la medicina personalizzata, a seguire (40%) i partenariati fra commissione e Stati membri. “Il ministero italiano della Salute è quello che più investe in partenariati: ne abbiamo nove tra cui uno dedicato alla trasformazione dei sistemi sanitari. Grazie a un’idea di Walter Ricciardi, l’Italia per i prossimi sette anni coordinerà lo sforzo europeo per migliorare il modo in cui funzionano i sistemi di salute – ha affermato Clarotti -. Infine, una ricercatrice italiana purtroppo emigrata a Londra, Mariana Mazzuccato, ha convinto il commissario precedente a investire il 10% dei fondi della ricerca in missioni: quella sul cancro è una delle cinque aree delle missioni europee e ha l’obiettivo è di migliorare la vita di 3 milioni di cittadini, pazienti di cancro, entro il 2030. È guidata proprio da Ricciardi, che è stato eletto dai 27 Paesi membri, e la novità è che non sono i ricercatori a pilotarne l’azione, ma i sistemi sanitari e i cosiddetti stakeholder: pazienti, infermieri, charity come l’Airc e Telethon”.
Entro la fine dell’anno, ha detto Clarotti, saranno lanciati i bandi per intervenire su quattro obiettivi operativi: innovazione, promozione dell’innovazione, monitoraggio e progresso della disuguaglianza e coinvolgimento della “comunità del cancro”. “Inoltre, sempre per la fine del 2021, c’è l’idea di dare vita a un centro digitale in cui ci siano tutti i dati utili per i pazienti nello spazio europeo”.
Alla senatrice Binetti è toccato illustrare la situazione in Italia: “Lo strumento tipico nelle mani dei medici e ricercatori è la diagnosi precoce che va a leggere il sequenziamento genetico, un tipo di indagine cui facciamo la corte da tempo anche per quanto riguarda le malattie rare. Usando questo strumento avremo profili genetici sempre più scanditi sul profilo individuale: prima o poi ogni malattia si presenterà come panorama di varianti e potremo intervenire con una medicina di precisione e fortemente personalizzata”.
I numeri del tumore al polmone in Italia
I dati sulla patologia sono raccolti nella pubblicazione I numeri del cancro in Italia che l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) realizza ogni anno: “Per quanto riguarda il tumore del polmone, l’andamento dell’incidenza è differente fra il sesso maschile, in cui si osserva un’importante riduzione, e quello femminile, in cui si evidenzia purtroppo un aumento – dichiara il direttore del servizio di Oncologia dell’Azienda Ospedaliera dell’Ordine Mauriziano di Torino e segretario del sodalizio Massimo Di Maio -. Tale differente andamento è legato all’abitudine al tabagismo, che negli ultimi anni è fortunatamente diminuita tra i maschi, ma aumentata tra le femmine, specialmente giovani”.
L’abitudine al fumo, in aumento nella popolazione femminile, ha infatti innalzato del 5% negli ultimi cinque anni il rischio delle donne di contrarre il tumore al polmone, che, con 34mila decessi l’anno, è la prima causa di morte in oncologia. Nel 2020 ha fatto registrare circa 41mila nuovi casi, 27.550 maschi e 13.300 femmine: una distanza che si prevede tenderà a ridursi proprio a causa del tabagismo.
Le sigarette sono responsabili nell’85-90% dei casi di questa neoplasia, che ha anche la prerogativa di essere di solito scoperta in ritardo a causa della mancanza di sintomi specifici. Solo il 38% viene infatti diagnosticato nei primi due anni; il 20% tra i due e i cinque anni; il 17% tra i cinque e i dieci anni; infine, ben un tumore su quattro viene individuato a più di dieci anni dall’insorgenza.
I tumori al polmone sono quelli con il più alto numero di mutazioni identificabili
Insieme alla tempestività, anche la precisione nella diagnosi fa la differenza: i tumori al polmone non sono tutti uguali, anzi, sono quelli con il più alto numero di mutazioni identificabili. Gli importanti risultati ottenuti dalla ricerca in campo biologico molecolare consentono oggi di studiare simultaneamente le tante mutazioni genetiche scoperte nel 60% delle forme dette non a piccole cellule (NSCLC), che rappresentano l’85% del totale. Un fattore determinante nella lotta a questa neoplasia, perché proprio sulla base dell’identikit genetico è oggi possibile in quattro casi su dieci fare uso di cure mirate, garantendo ai pazienti una migliore qualità e una maggiore aspettativa di vita.
Quali prospettive per la diagnosi e cura dei tumori del polmone
Per quanto riguarda la diagnosi, che in due casi su tre avviene quando la neoplasia è già in stadio avanzato, il primo passo è proprio individuare la specifica mutazione che origina il tumore, mediante i più innovativi test di profilazione genomica: nel 60% delle forme NSCLC, le più diffuse in assoluto, avere la carta d’identità genetica del tumore consente nel 40% dei casi di accedere a cure di precisione, più efficaci e meglio tollerate.
“Poiché in due casi su tre il tumore del polmone viene scoperto quando è già in fase avanzata, ci si trova nella possibilità di prelevare solo una piccola quantità di materiale tissutale e cellulare da analizzare – afferma Renato Franco, professore ordinario di Anatomia patologica all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e coordinatore del Gruppo Italiano di Studio di Patologia Pleuro-Polmonare della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia diagnostica -. La possibilità di eseguire la profilazione simultanea di più mutazioni grazie agli innovativi test Next Generation Sequencing (NGS) è quindi fondamentale, perché permette di acquisire il maggior numero di informazioni riguardo la profilazione genomica senza rischiare di esaurire lo scarso campione biologico a disposizione, già usato per effettuare diagnosi istopatologiche complesse, indirizzando così il paziente a terapie mirate sulla base della carta d’identità genetica del tumore”.
A oggi nel nostro Paese solo un paziente su due riceve una precisa profilazione genomica della neoplasia che l’ha colpito
A oggi, però, nel nostro Paese solo un paziente su due riceve una precisa profilazione genomica della neoplasia che l’ha colpito. “Meno del 40% dei nostri laboratori di biologia molecolare usa attualmente i test NGS nella routine diagnostica quotidiana dei tumori polmonari – dichiara Marcello Tiseo, professore associato di Oncologia all’Università di Parma, responsabile del servizio Gestione attività ambulatoriali oncologiche complesse e Coordinatore PDTA di Oncologia Toracica all’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma -. Nella maggioranza delle strutture viene eseguito solo uno studio molecolare di base e quindi oltre il 50% dei tumori polmonari NSCLC rischia di non venire adeguatamente caratterizzato da un punto di vista molecolare. Un aspetto tutt’altro che secondario, se si considera che la sopravvivenza a cinque anni (attualmente del 16%) sta aumentando proprio per merito dei trattamenti con i farmaci a target, più efficaci e meglio tollerati dai pazienti rispetto alla chemioterapia, da sola o in combinazione con l’immunoterapia”.
Come contrastare la disomogeneità nei territori: il progetto piemontese
A oggi i test di profilazione genomica non sono ancora a regime, ma c’è chi si sta adoperando per trovare nuove strade: “Al momento in Piemonte non sono attivi percorsi stabiliti e uniformi a livello regionale, ma ogni struttura procede in autonomia per eseguire i test: alcuni li eseguono internamente, altri li affidano ad esterni, alcuni li eseguono in maniera completa, altri parzialmente. Questo determina una profonda disomogeneità territoriale, che invece vorremmo superare – spiega Mario Airoldi, Coordinatore area ospedaliera e Molecular Tumor Board della Rete Oncologica Piemonte Valle d’Aosta -. Per questa ragione abbiamo avviato un progetto con l’obiettivo di fare, non solo sul tumore al polmone ma su tutte le patologie, un inventario dei criteri ormai definiti dei profili genici utili per intraprendere le terapie. Abbiamo quindi coinvolto i referenti di patologia della rete e siamo in attesa di raccogliere, proprio in questi giorni lo scenario completo relativo ai diversi tumori. Il passaggio successivo sarà quello di convocare, a livello regionale, i dipartimenti di anatomia patologica e i servizi di biologia molecolare per chiedere chi fa che cosa, in quanto tempo e, possibilmente, con quali costi”.
Una volta definito questo panorama a livello regionale, precisa Airoldi, l’intenzione è di individuare dei percorsi codificati, soprattutto in termini di convenzioni, per stabilire in maniera sufficientemente rigorosa il percorso: “In questo modo, si potrebbe anche raggiungere l’obiettivo di unificare i test in un pacchetto a livello regionale, per ogni percorso, affinché possano essere rimborsati in maniera completa. Diversamente da quanto accade ora: spesso infatti i test vengono richiesti in più riprese e la gestione non è ottimale, sia a livello di costi sia per l’impegno del personale. Non sarà un lavoro semplice ma è necessario arrivarci”.
Il Molecular Tumor Board può rappresentare la “palestra” della medicina oncologica di domani
Un altro punto critico secondo il professore è la certificazione della qualità dei laboratori: “Trattandosi di test sul Dna, è un tema piuttosto importante e delicato. Oltre all’identificazione dei centri, è necessario valutare anche quale certificazione possiedono questi centri”.
Ma cos’è il Molecular Tumor Board? “Lo definisco una palestra della medicina oncologica di domani, che sarà fondata sugli aspetti mutazionali e genici, senza poter fare a meno delle competenze della biologia molecolare e della bioinformatica, e che possibilmente funzioni da remoto, con possibilità di consulenze rapide”.
I nuovi test sono sostenibili per il SSN? Uno studio risponde di sì
Uniformare il numero di laboratori di biologia molecolare in grado di tracciare l’identikit genetico dei tumori grazie alla NGS sarebbe un’operazione sostenibile da parte del Servizio Sanitario Nazionale, secondo uno studio su due strutture italiane coordinato da Carmine Pinto, direttore del servizio di Oncologia dell’IRCCS Santa Maria Nuova di Reggio Emilia e presidente della Federazione dei Gruppi delle Cooperative Italiane Oncologiche (FICOG).
L’indagine ha prodotto informazioni sui costi della profilazione genomica in Italia e ha contribuito a fornire indicazioni per l’individuazione di una tariffa per il sequenziamento genomico tramite NGS: è emerso che questo tipo di profilazione, con un pannello di 52 geni, per un singolo caso di adenocarcinoma del polmone su biopsia tissutale, costa 1.150 euro. Una spesa inferiore rispetto al costo standard ottenuto sommando i costi dei singoli test eseguiti in sequenza, che offre al contempo l’opportunità di valutare tutte le alterazioni genomiche per le quali oggi sono disponibili farmaci a bersaglio molecolare.
L’ideale sarebbe avere un laboratorio ogni 7-800mila abitanti, con un’organizzazione logistica per far girare i campioni biologici e non i pazienti
“La spesa complessiva per i singoli test eseguiti in sequenza è di difficile quantificazione, perché a seconda dei casi variano molto sia come numero sia come tipologia: questo fa ipotizzare che l’uso del solo test NGS, in grado di valutare contemporaneamente decine di alterazioni genetiche, consentirebbe un netto risparmio per il SSN, permettendo di ottenere tutte le informazioni necessarie per usare i farmaci a bersaglio molecolare già disponibili – spiega Pinto -. L’obiettivo è di assicurare una maggiore equità nelle cure ai malati: l’ideale sarebbe rendere disponibile un laboratorio in grado di eseguire questi test per ogni bacino di 7-800mila abitanti, con un’organizzazione logistica che consenta di far girare i campioni biologici e non i pazienti”.
Gaudioso: aggiornare i LEA per rispondere meglio alle esigenze dei cittadini
Antonio Gaudioso, componente della Commissione LEA e capo della segreteria tecnica del Ministro della Salute, già presidente di Cittadinanzattiva, commenta: “Negli ultimi mesi la Commissione LEA ha lavorato intensamente per tentare di riorganizzare i propri lavori per procedere sulle submission che si erano accumulate negli ultimi tre-quattro anni: il livello di aspettative da parte dei cittadini e della comunità scientifica sulla possibilità di aggiornare quanto prima i LEA è molto alto. Va tenuto in considerazione che stiamo ancora attendendo che siano disponibili i LEA varati nel 2017 e l’obiettivo è far sì che appena questo accadrà si possa iniziare il percorso di aggiornamento dei LEA perché in questi quattro anni ci sono state tantissime innovazioni”.
L’accesso alla diagnostica per l’individuazione del farmaco appropriato deve essere garantito come quello al farmaco
Uno dei temi prioritari, ha detto Gaudioso, è proprio la medicina personalizzata: “Un lavoro che è iniziato e deve essere continuato, per arrivare a garantire la possibilità di usare tutti gli strumenti diagnostici che permettano una diagnosi precoce e di conseguenza di usare in modo appropriato la parte terapeutica. Un altro aspetto che manca è la convergenza tra questi due blocchi, perché i soggetti che se ne occupano sono diversi: da un lato la Commissione LEA e dall’altro l’AIFA. Bisogna far sì che lavorino a stretto contatto e non ci sia distonia nei tempi: non è accettabile ad esempio che la parte diagnostica che serve per poter somministrare quella cura non sia disponibile, o che lo sia in modo complicato, farraginoso e incompatibile con i bisogni delle persone. Questo gap non è più accettabile e nei prossimi mesi faremo di tutto affinché sia colmato”.