Gennaio è un mese in cui ci crogioliamo ancora tra bilanci e buoni propositi, cercando di definire gli obiettivi dei mesi che verranno.
Abbiamo provato a farlo anche per quanto riguarda la governance del farmaco: negli ultimi due anni la sanità è stata sottoposta a un gigantesco stress test e oggi è quanto mai importante programmare con oculatezza i prossimi passi, avendo una visione precisa di dove si vuole andare, ma con la capacità di definire i vari passaggi per riuscire a raggiungere i traguardi che si vorrebbero tagliare.
Abbiamo chiesto a Claudio Jommi, docente presso la SDA Bocconi di Milano, la sua opinione rispetto ad alcune tematiche: silos budget, pricing farmaci e collaborazione pubblico-privato.
L’abbattimento dei silos
Gli ultimi due anni ci hanno mostrato come sia necessaria una logica olistica e non più a silos per la gestione della sanità. Nonostante si cerchi da anni di andare oltre un approccio che prevede tetti di spesa per fattori produttivi, oggi i silos sono tutt’altro che superati. Esistono ancora a livello locale, nelle aziende sanitarie, ma soprattutto a livello nazionale, con la presenza di tetti di spesa sui farmaci e sui dispositivi.
“Da tempo sosteniamo che la logica silos consente un controllo della spesa nel breve periodo, ma ingessa il sistema e, soprattutto, produce una responsabilizzazione sulla spesa per fattori produttivi e non su efficienza ed efficacia dei processi assistenziali – afferma Jommi – Inoltre, i tetti sulla spesa farmaceutica sono stati nel passato definiti senza considerare le dinamiche del mercato farmaceutico”.
Nella programmazione dei tetti sulla spesa ci sono stati però dei passi in avanti con una riallocazione delle risorse a favore degli acquisti diretti da parte delle aziende sanitarie e, dal 2022, aumenti progressivi delle risorse complessivamente a disposizione per la farmaceutica. “Pur in un contesto di maggiore flessibilità rimane comunque un approccio a tetti, che andrebbe superato – rileva l’esperto – Inoltre, nonostante questi aggiustamenti, rimarrà, secondo le proiezioni dell’Osservatorio Farmaci del Cergas Bocconi, un importante sfondamento del tetto sulla spesa per farmaci acquistati dalle aziende sanitarie”.
A livello locale ci sono iniziative che si ispirano a una logica che supera il concetto di silos, dalla gestione per processi ai percorsi diagnostico terapeutici assistenziali, alla definizione di obiettivi diversi da tetti di spesa per fattori produttivi nei sistemi di programmazione e controllo. La presenza di tetti di spesa a livello nazionale rende però problematica la diffusione di queste iniziative e la loro effettiva implementazione.
La logica a silos consente un controllo della spesa nel breve periodo, ma ingessa il sistema e produce una responsabilizzazione sulla spesa per fattori produttivi e non su efficienza ed efficacia dei processi assistenziali
“In linea di principio – continua Jommi – l’attribuzione di risorse adeguate per la gestione della sanità pubblica, compito comunque non semplice, la responsabilizzazione sul loro uso appropriato e la garanzia di erogazione delle prestazioni previste a carico del Ssn sarebbero sufficienti per raggiungere l’obiettivo di tenuta complessiva del sistema”.
Con riferimento alla modalità di allocazione delle risorse, si è discussa la possibilità di prevedere budget per patologia. Per Jommi è troppo complessa e rischiosa: “Anche se abbiamo dati amministrativi che consentono di tracciare le prestazioni erogate per patologia, questo è possibile solo se si riesce ad identificare la popolazione target, non essendovi in tali dati la diagnosi. Nel percorso di una patologia esistono poi fasi con costi decisamente diversi, si pensi a quella metastatica di un tumore. Inoltre, non è chiaro quale sarebbe l’obiettivo di un budget per patologia: se questo è standardizzare il trattamento in relazione ad un costo per patologia ritenuto ragionevole, si tratta di un obiettivo complesso in quanto va identificata l’entità di questo costo. Si tratta infine di un approccio che scarica di fatto su chi gestisce il paziente l’onere di giustificare un costo superiore o inferiore rispetto a quello atteso”.
Il pricing dei farmaci
Da un anno ormai è stato introdotto il nuovo dossier di Prezzo e Rimborso che prevede diverse novità. È possibile fare un bilancio di quanto avvenuto? “Il nuovo dossier ha previsto delle importanti novità sotto il profilo del processo ex ante in quanto contiene linee guida per la compilazione, con un modello strutturato di esposizione dei risultati degli studi clinici e delle analisi di impatto economico – spiega Jommi – Ci sono poi scelte coraggiose, come quella di avere invitato le imprese ad esporre delle analisi costo-efficacia e di impatto sul budget anche nella prospettiva della società nel suo complesso e di fornire informazioni sul vantaggio economico per il Ssn di un nuovo farmaco, in termini di “efficientamento” organizzativo, semplificazione del percorso assistenziale, riduzione di altre voci di spesa Ssn”.
Per l’esperto, però, purtroppo questo tipo di evidenze fanno poi fatica ad avere un ruolo nel processo negoziale, sia per la logica silos, che non riguarda solo il farmaco nella sanità, ma anche la sanità nel welfare, sia perché il costo del farmaco ha natura certa (almeno come evento, non come costo unitario per paziente), mentre la riduzione in altri comparti di spesa è stimata. Non è un caso, in effetti, che nel dossier si mantenga una valutazione di impatto sulla spesa per farmaci a tre anni e che questa valutazione sembri svolgere ancora un ruolo centrale nella negoziazione dei prezzi, data proprio la presenza di tetti di spesa.
Un altro aspetto rilevante è come si intende declinare il principio di un premio di prezzo commisurato al valore terapeutico aggiunto
Un altro aspetto rilevante è come si intende declinare il principio di un premio di prezzo commisurato al valore terapeutico aggiunto. “Da una parte la direzione è chiara – sostiene Jommi – Il premio di prezzo, inteso come prezzo più elevato rispetto ai comparatori esistenti sul mercato, può essere accordato solo in presenza di evidenze di valore aggiunto sotto il profilo terapeutico. Altri elementi come la maggiore accettabilità di un farmaco o la presunzione di effetti di questa accettabilità sull’aderenza al trattamento non sono considerati per ottenere un incremento di prezzo. Sarebbe però importante sapere come il valore terapeutico aggiunto, che può avere diverse dimensioni, si possa convertire in un accettabile premio di prezzo, riconoscendo ovviamente che la determinazione del premio di prezzo dipenda anche, in secondo ordine, dalla dimensione del mercato”.
Il tema del pricing si innesta poi in quello della possibile riforma di Aifa e delle sue commissioni, con struttura organizzativa rivista e modifica alle commissioni, con l’ipotesi di unificazione di Cts (la Commissione Tecnico-Scientifica) e Cpr (Comitato Prezzi e Rimborso). Non c’è ancora alcuna certezza, ma questo potrebbe modificare la negoziazione del prezzo e rimborso.
“In termini generali la valutazione tecnico-scientifica e la negoziazione dei prezzi sono separati in quasi tutti i Paesi Europei, anche in termini di soggetti che li gestiscono – ricorda Jommi – L’Italia, insieme al Portogallo, è l’unico Paese in cui tali due componenti essenziali dell’accesso dei farmaci – valutazione comparativa e negoziazione dei prezzi – sono gestite all’interno della stessa organizzazione, per quanto da due commissioni separate. La ragione per la quale è stata evocata una commissione unica, ovvero la necessità di ridurre i tempi negoziali, è certamente rilevante, ma l’Italia non sembra avere tempi negoziali più lunghi rispetto a molti altri Paesi Europei. Per accelerare i tempi, pur nel rispetto della qualità della valutazione, ci si potrebbe concentrare maggiormente su un’interazione preliminare tra imprese ed Aifa sugli aspetti più critici del dossier, sul miglioramento della comunicazione tra Uffici Aifa e Commissioni e sul rapporto tra le due Commissioni. Con una commissione unica si correrebbe poi il rischio di subordinare la valutazione tecnico-scientifica alle esigenze specifiche di contenimento della spesa”.
C’è poi l’annosa questione dei managed entry agreement, una negoziazione nella negoziazione. Si tratta di accordi di accesso condizionato al mercato per farmaci innovativi o ad alto costo che permettono di mettere a disposizione dei pazienti nuovi trattamenti anche in mancanza di informazioni su benefici terapeutici o costi effettivi.
Nella definizione di managed entry agreement è fondamentale distinguere se l’incertezza è relativa agli effetti del farmaco, alla dimensione del target di popolazione oppure alla normale variabilità di risposta del paziente
L’impressione è che si vada verso la semplificazione: se non si raggiunge un accordo sul prezzo o sullo sconto, il farmaco non viene rimborsato. “In effetti la tendenza è questa, con qualche eccezione rappresentata dalle terapie avanzate per le quali sono stati negoziati complessi accordi misti di natura finanziaria e basati sull’esito – conferma Jommi – Credo sia un errore, così come lo è pensare che un payment by result debba diventare la norma quando non si raggiunge un accordo sul prezzo. Sarebbe utile fare una riflessione più pacata e strutturata, identificando i casi in cui l’incertezza sugli effetti di un nuovo farmaco è tale da richiedere accordi basati sull’esito, le situazioni in cui l’incertezza riguarda più la dimensione del target di popolazione e il conseguente impatto finanziario, che può essere gestita attraverso tetti di prodotto, e le situazioni in cui l’incertezza rientra nella normale variabilità di risposta del paziente in termini di dimensioni e durata degli effetti”.
La collaborazione tra pubblico e privato
Un altro tema caldo degli ultimi anni riguarda le collaborazioni tra Ssn e imprese. Sempre più queste ultime si qualificano come fornitori di pacchetti integrati che includono il farmaco e altre tecnologie (per esempio diagnostiche) o servizi (come la consegna del farmaco a domicilio) e sempre più questo rende complessa sia la negoziazione di prezzo e rimborso sia la successiva gestione degli acquisti.
“Credo che tali collaborazioni debbano essere valorizzate – afferma Jommi – Ci sono però due aspetti chiave affinché abbiano successo. Da un lato, è necessaria una fiducia reciproca, che parte dalla consapevolezza di obiettivi diversi, ma convergenti, verso la tutela della salute dei pazienti. Dall’altro, è importante che il privato riesca a intercettare i bisogni ai quali il pubblico non riesce a far fronte: la collaborazione nasce dall’identificazione di un bene o servizio critico che il Ssn, inteso come rete degli erogatori pubblici e privati accreditati dai Servizi Sanitari Regionali, non riesce a fornire in modo efficace ed efficiente”. Il modello da seguire è quindi quello della complementarietà sotto la regia del pubblico, non quello della duplicazione dell’offerta (e dei costi associati).
Uno degli ambiti in cui potrebbero emergere maggiori opportunità di collaborazione tra pubblico e privato è la sanità digitale
Uno degli ambiti in cui potrebbero emergere maggiori opportunità di collaborazione è quello della sanità digitale. Le imprese possono, ad esempio, fornire programmi di supporto al paziente che includono anche strumenti digitali, finalizzati, tra gli altri aspetti, a verificare l’aderenza del paziente al trattamento e al suo monitoraggio a distanza. “L’aderenza al trattamento, con la combinazione dispositivo-farmaco o servizio di supporto al paziente da remoto è un’area di grande interesse – conferma l’esperto – Così come tutta l’area della medicina di precisione e dell’offerta integrata di strumenti diagnostici e soluzioni terapeutiche. Il fine ultimo di queste collaborazioni è massimizzare il beneficio per il paziente, fornendo una soluzione di vantaggio per il Ssn rispetto alla gestione in economia, riducendo però i rischi collegati ad un’offerta integrata, che sono quelli di aumentare in modo eccessivo il potere contrattuale del fornitore”.
“La collaborazione pubblico-privato andrebbe comunque inquadrata nel più ampio contesto delle relazioni di fornitura di beni e servizi delle imprese – conclude Jommi – Da una parte c’è un’esigenza legittima dei pagatori di ridurre i costi, dall’altra ci sono evidenze degli effetti distorsivi di tale approccio sul lato della fornitura di beni. L’obiettivo è raggiungere un equilibrio tra queste due tensioni, in un’ottica di tenuta complessiva del sistema e considerando la spesa per farmaci acquistati direttamente dalle aziende sanitarie rappresenta ormai una quota sempre più rilevante – il 63% nel 2020 – della spesa complessiva per farmaci a carico del Ssn”.